Lettere al Direttore
Il Ssn invecchia male ma non è con la propaganda che si salverà
di Nicola RosatoGentile direttore,
la discussione politica sulla fragilità del SSN è diventata un diverbio non privo di equivoci. Il più eclatante confonde concettualmente il finanziamento e la spesa sanitaria, che non sono sinonimi, ma così, invece, sono usati da tutti nelle dichiarazioni pubbliche. Il finanziamento statale – che include i ticket, una tassa di fatto, da cui alcuni utenti sono ritenuti meritevoli di esenzione per ragioni di reddito o per patologie prolungate ad alto costo diretto o indiretto per le famiglie – è il 6,4% del PIL e sarà più o meno identico nel 2025 (6,3%). La spesa invece è maggiore del finanziamento garantito dallo Stato. Infatti le regioni, con sovrattasse e altre disponibilità prelevate dai bilanci regionali, impinguano ogni anno il finanziamento statale per erogare il servizio. La spesa complessiva così composta è il 7% del PIL (fonte: Rapporto OASI 2023, capitolo 3), ossia il valore minimo accettabile secondo alcune indicazioni politiche. Ma come si dirà più avanti, anche questo valore è sottostimato.
Ugualmente fuorviante è confrontare il più basso rapporto italiano spesa sanitaria/PIL con quello più alto che si registra in altri Paesi con PIL più alti, perché trascura l’elasticità della domanda rispetto al reddito. L’economia sanitaria ci dice che, ceteris paribus, un reddito maggiore induce consumi sanitari più alti, non sempre strettamente necessari (essenziali, secondo le leggi italiane) per la tutela della salute. Il PIL è un indicatore utile ma grossolano non solo in sanità. Supponendo che due Paesi simili abbiano lo stesso reddito nazionale ma nel primo gli ospedali siano ben funzionanti, le scuole di qualità, la giustizia veloce e, al contrario, nel secondo gli stessi servizi siano male organizzati, scadenti e lenti, l’equivalenza è soltanto apparente. Nel secondo caso si spreca e non c’è qualità sociale. Il cuore del problema è nell’espressione ceteris paribus: in Italia i governi degli ultimi anni hanno scelto altre priorità rispetto al servizio sanitario (bonus edilizi, reddito di cittadinanza, sussidi disparati, tagli della pressione fiscale e contributiva, pensioni anticipate) buone o cattive che siano.
Tuttavia, non si tratta solo di questo. Le differenze di spesa sanitaria tra vari Paesi dipendono dalle diverse scelte istituzionali: servizi universalistici come quello italiano o sistemi mutualistici. Questi ultimi sono ritenuti più costosi a parità di efficacia. La scelta istituzionale, come ci dicono diverse autorevoli fonti, trascina una offerta disparata di prestazioni che ciascun servizio sanitario garantisce ai suoi utenti, con una maggiore o minore commistione di prestazioni sociali associate a quelle sanitarie come in Francia, Germania, Olanda e, persino nella piccola Repubblica di San Marino, mentre in Italia le stesse prestazioni sociali sono finanziate da fonti diverse da quelle destinate alla sanità. Non facile, dunque, un confronto omogeneo (per le fonti rinvio a QS 6 aprile 2024).
Un terzo equivoco riguarda la spesa privata di circa 43 miliardi di euro, out of pocket o intermediata da assicurazioni, presentata tout court come lo scandaloso frutto dei limiti del servizio sanitario pubblico. È un giudizio superficiale. La cifra ragguardevole innanzi tutto comprende i ticket, le compartecipazioni al costo di alcune prestazioni che sono già stimate e incluse nel finanziamento indistinto dello Stato. Qui è evidente un errore di doppio calcolo. Una seconda fetta di quella spesa è per prestazioni che il SSN non garantisce perché non comprese nei livelli essenziali di assistenza; soltanto la parte residua, certamente cospicua – depurata però dalla spesa che l’utente decide di sostenere scegliendo liberamente il curante e rinunciando all’assistenza del SSN – è ciò che può essere messo in conto alla fragilità del SSN. Con un ulteriore correttivo, perché di questi 43 miliardi di euro lo Stato ne restituisce una parte agli utenti attraverso sconti fiscali. E questi sconti altro non sono che spesa pubblica che si aggiunge al 7% del PIL che calcola il citato Rapporto OASI 2023.
Con ciò si può negare che un definanziamento del SSN esista? Certamente no. Vi sono liste d’attesa irragionevoli, vi è chi rinuncia alle cure, i bilanci regionali soffrono a discapito di altri settori sociali ed economici, sono violati di fatto princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico. L’esame che precede non si schiera dalla parte di chi sostiene di aver finanziato il SSN come mai prima. È un esercizio di realismo che serve a focalizzare con po’ più di precisione aspetti negativi e positivi della situazione.
La Corte costituzionale nel 2017 (sentenza n. 169) ha sancito che, ferma restando la ragionevole discrezionalità del legislatore nella determinazione dei LEA, una volta che questi siano stati correttamente individuati, non è possibile limitarne concretamente l’erogazione negandone l’integrale finanziamento, come avviene già quando da un anno all’altro le risorse non sono allineate al tasso di inflazione.
Se questa è la responsabilità dello Stato, il suo corollario è, però, che la prestazione sanitaria deve avvenire in condizioni di efficienza ed economicità. Questa è la responsabilità delle regioni, delle aziende sanitarie e dei cittadini, non sempre esercitata al meglio, come ci dicono cronache quotidiane. Chiedere più soldi o più personale è facile ma puramente propagandistico se si censiscono gli effetti di ciò che non funziona (per esempio le liste d’attesa) senza averne analizzato le cause e la loro reale entità (per esempio l’appropriatezza prescrittiva delle prestazioni).
Il SSN porta male i suoi anni. È nato come un’organizzazione conglomerata con prodotti eterogenei ed ha appesantito nel tempo questo carattere. Il suo principale difetto è quello di allestire l’offerta di prestazioni senza prima aver stabilito chi e come programmi la domanda e ne sia responsabile.
Occorre, ripensare la formazione dei medici di famiglia e ricondurre pienamente ai princìpi internazionali che regolano la professione il loro ruolo di tutor durante tutta la vita dei loro assistiti. Serve l’educazione degli utenti all’uso rispettoso e frugale (che non è povertà o razionamento ma ordine, essenzialità, decoro) dei servizi pubblici. Le competenze del SSN vanno probabilmente ripartite tra più enti che già si occupano delle stesse materie. L’organizzazione degli ospedali va innovata e va creata continuità tra cure ospedaliere e cure ambulatoriali e domiciliari. Occorre retribuire il personale in modo adeguato ma secondo il merito (che è talento e produttività insieme). Va rimodulata la babele delle provvidenze pubbliche riposizionando le priorità della spesa. Occorrono, insomma, una visione strategica e una gestione manageriale di alto profilo per avere il miglior rapporto costo beneficio. Cose tutte alquanto diverse dalle propagande correnti e contrapposte.
Nicola Rosato
Analista economico della Pubblica Amministrazione