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QS Edizioni - mercoledì 27 novembre 2024

Lettere al Direttore

Riformare profondamente la relazioni inter-professionali

di Ivan Cavicchi 
immagine 24 ottobre -

Gentile direttore,
circa una decina di anni fa, come forse qualcuno ricorderà, provai a proporre alla attenzione della discussione pubblica due questioni politiche cruciali: quella medica e quella infermieristica.

Le due professioni che nei nostri servizi ancora oggi restano le figure più importanti del processo di cura. Senza di loro la cura semplicemente non si può fare. Due figure ovviamente “concomitanti” cioè obbligate, per ovvie ragioni, ad operare insieme quindi a porsi necessariamente come due professioni contigue, adiacenti e ovviamente complementari. Ma ripeto soprattutto “con-comitanti”.

Ricordo bene che a quel tempo, mentre da una parte gli infermieri lottavano già da un po' per avere una maggiore autonomia dai medici (legge 42) e con il comma 566 (legge di stabilità 2015) provarono senza successo a sgraffignare ai medici le famose “competenze avanzate” poi camuffate come “responsabilità di funzioni” , dall’altra i medici di contro puntavano i piedi tentando di definire l’atto medico come un loro atto esclusivo.

In quel tempo anche su questo giornale provai a dire sia ai medici che agli infermieri che in realtà era uno sbaglio dividersi perché esisteva, a ben vedere, una “unica” vera questione professionale che certamente riguardava in modo diverso sia i medici che gli infermieri ma che comunque restava unica e che quindi era una follia farsi la guerra in casa e che al contrario bisognava unire le forze per riformare di comune accordo questa condizione di concomitanza.

Le ragioni di questa riforma della concomitanza erano semplici: ciò che fino ad ora aveva definito storicamente sia il ruolo dei medici che quello degli infermieri e quindi di conseguenza le loro prassi nella nostra società ma anche nella nostra sanità era profondamente cambiato.

Ricordo che a quel tempo nel proporre l’idea di una riforma della concomitanza, perché alla fine di questo si trattava, insistetti molto sul concetto di “ausiliarietà reciproca” dicendo semplicemente che la relazione tra queste due professioni avrebbe dovuto mantenere la propria natura di reciprocità ma che essa in quanto tale avrebbe dovuto essere profondamente ripensata.

Le cose come tutti sanno sono andate storte. I medici e gli infermieri hanno finito per farsi la guerra ed entrambi non hanno portato a casa praticamente nulla di importante. A parte tante frustrazioni. Nessuno di loro si è dato da fare, pur potendolo fare, per costruire una proposta comune condivisa si riforma della loro relazione, anche perché non è facile costruire una riforma del genere. Ognuno ha seguito strade diverse spesso un po troppo corporative ma sempre contrapposte condannandosi in un certo senso entrambi ad un destino di e di delegittimazione sociale. Non è un caso se entrambi e nello stesso modo oggi sono dentro un pauroso conflitto sociale che li contrappone sempre di più ai cittadini. Ma nessuno di loro ha sentito il bisogno di definire una strategia comune per far fronte ai processi di delegittimazioni che li stavano travolgendo.

Per riassumere questa situazione di sfascio che per me è certamente un segno della stupidità e della miopia ma anche dell’ignoranza (scusate se non uso eufemismi) prima di tutto di chi rappresenta queste professioni ho coniato anni fa il termine “post ausliarietà”.

Post ausiliarietà vuol dire semplicemente cosa siamo diventati come medici e come infermieri dopo che ce ne siamo dati di santa ragione.

Oggi gli infermieri sono, nella post ausiliarietà, cioè in una situazione in cui:
- ancora non siamo riusciti nonostante la legge 42 del 99 a definire “pragmaticamente” il nuovo infermiere del futuro
- nonostante la laurea essi restano sempre come massa infermieri alla vecchia maniera ,
- pensiamo sia possibile definire l’aiuto infermiere ma senza definire l’infermiere
- per dare il contentino a questa malpagata professione abbiamo tolto migliaia di infermieri dalle corsie per metterli negli uffici di direzione, facendoli diventare dei capetti che hanno come unico scopo quello di rompere le scatole a chi fa l’infermiere restando in corsia a lavorare.

Ma oggi anche i medici sono finiti con il sedere per terra forse ancor più degli infermieri. Mi limito solo a fare osservare che quando una professione come i medici arriva a chiedere in contraddizione con l’art 3 della Costituzione la depenalizzazione di quello che fanno cioè quando una professione incapace di ridefinirsi in una società che cambia arriva alla teoria dello scudo cioè alla teoria della professione protetta allora vuol dire che quella professione è alla frutta.

Oggi la professione medica chiede allo Stato attraverso la sua rappresentanza di proteggere la sua invarianza professionale perché di questo si tratta palesemente in difficoltà a mettersi in gioco.

Cioè chiede che per restare essa invariante restino invarianti in ragione della concomitanza di cui parlavo prima anche tutti gli altri.

Il che è una follia e non mi meraviglia per niente che la Fnopi nella sua evidente miopia su questa strategia regressiva dei medici non abbia detto e non dica una sola parola. Come se i problemi dei medici non riguardassero gli infermieri. Cioè come se la concomitanza che comunque c’è, non ci fosse.

E’ in questo quadro tragico e desolante che questa estate mi è arrivato a casa in omaggio il libro di Giuliana Morsiani e di Vianella Agostinelli che ovviamente ringrazio “Caring: dalla visione agli esiti assistenziali. Riformare le prassi dell’infermiere” (Casa editrice Ambrosiana 2024) e che ieri, su questo giornale, la due autrici ci hanno voluto informare della loro iniziativa. (Qs 23 ottobre 2024)

Una occasione che mi è sembrata utile per riprendere un discorso che da tanto tempo mio malgrado avevo interrotto e certamente sia chiaro non per causa mia. Come si sarà capito circa la strategia che è invalsa in questi anni sia per gli infermieri che per i medici il mio personale dissenso di cui rivendico la piena legittimità è profondo. Sinceramente io non avrei scelto la strada della guerra in casa ma avrei preso la strada della riforma della concomitanza e avrei scritto a più mani un accordo tra professioni e a fare l’orso che balla in piazza avrei messo la politica che ci ha messo con le sue incapacità nei guai e che di responsabilità ne ha parecchie.

Devo confessarvi che a un certo punto ho creduto che data la grande crescita di complessità del contesto e gravi problemi di cui soffrivano queste importanti professioni fosse possibile riformarle entrambi. Ma devo dire che mi sono sbagliato. Ancora oggi siamo rispetto ad una prospettiva di riforma ancora lontanissimi.

Resta il dato che i fatti che ho raccontato sono quelli che sono e di certo non è colpa mia se queste due professioni oggi sono praticamente entrambi, non dico alla canna del gas ma sicuramente in caduta libera. E questo credetemi mi dispiace veramente molto.

Ma torniamo al libro che ho ricevuto e all’articolo di ieri delle sue autrici (QS 23 ottobre 2024). Esso pur nelle sue tecnicalità, pur con i suoi schemi, grafici, tabelle e tabelline, come quasi tutti i libri “professional” di questo genere mi è sembrato forse un po troppo tecnico ma nello stesso tempo anche una vera boccata di ossigeno, perché è come se con nuovi argomenti riprendesse il discorso che è stato inopinatamente interrotto in questi anni.

Le due autrici nell’articolo ma soprattutto nel libro dicono chiaramente che si tratta di riprendere il cammino evolutivo della professione ancora fermo agli anni 90, che la questione infermieristica è bloccata, che è arrivato il momento di definire un nuovo valore aggiunto della professione deducendolo dalle trasformazioni sociali che sono in atto, che bisogna andare oltre la logica del prestazionismo e la logica del “compitiere” e puntare decisamente su quella figura nuova che anni fa proposi di definire “autore” e tante altre cose, a dir il vero tutte molto interessanti.

Insomma le nostre due autrici ci dicono sostanzialmente che la ridefinizione della professione è come l’ottava sinfonia di Schubert quindi una sinfonia incompiuta e che suo malgrado aspetta in questo stato di sgradevole incompletezza di essere compiuta cioè che qualcuno si decida a scriver le parti mancanti.

Per scrivere le parte mancanti le nostre autrici ci propongono la teoria del caring che a sua volta altro non è se non una riforma vera e propria dell’idea classica di “cura” quella basata sui compiti o sulle mansioni mai superate e le prestazioni mai riformate, ma ridefinita non solo in un contesto ad alta complessità sociale ma anche in una società come dicono i raffinati post moderna ioè molto diversa da quella rispetto alla quale sono sorte le nostre due professioni. “To cure”, significa curare, mentre “to care” prendersi cura. Il primo che ha usato l’idea di “prendersi cura” non è come credono tutti Lipman (1991) ma è stato Heidegger con il suo famoso “essere e tempo” (1927). Il prendersi cura per questo filosofo non è l’uomo che è curato dall’infermiere o dal medico ma è l’uomo che cura se stesso entrando in relazione sia con il medico che con l’infermiere. Cioè è un altro paradigma.

Le nostre due autrici ci propongono di dedurre da questo nuovo paradigma sul quale anche io rifletto da anni alcuni cambiamenti giuridici importanti che riguardano il ruolo e le prassi della professione partendo dal fatto che se accettiamo la logica del caring per forza dobbiamo cambiare il criterio di valutazione per valutare la cura. Non si tratta più di rispettare dei compiti pre definiti ma di valutare attraverso una relazione di cura gli esiti del prendersi cura quindi i risultati pragmatici della relazione che abbiamo con il malato.

Vent’anni fa pubblicavo un libro “La clinica e la relazione” (Bollati Boringhieri 2004) dove spiegavo che curare le malattie semplicemente come fatti naturali e curare le malattie come fatti naturali ma dentro una relazione sociale quella che ad esempio ci propone il caring, è proprio un altro paio di maniche.

In conclusione, a parte complimentami con Morsiani e con Agostinelli per il loro prezioso contributo, davvero notevole, molto brave, devo tuttavia aggiungere che m i ha colpito che le nostre due autrici abbiano pensato il loro contributo pensando alle direzioni infermieristiche più che per gli infermieri probabilmente perché loro sono a loro volta delle autorevolissime dirigenti di questa professione. Penso sia chiaro che questa scelta non sia sbagliata ma che le direzioni infermieristiche a loro volta avrebbero bisogno di lavorare con degli infermieri giuridicamente altri. Penso che conferendo alla direzione infermieristica quasi dei poteri demiurgici ma lasciando la professione in vecchie gabbie formali accresca le difficoltà non le riduca. Penso che l’idea del caring sia una idea forte ma che va sistemata giuridicamente con una riforma della professione ma che come dicevo all’inizio va messa nella logica della riforma della concomitanza.

Personalmente se fossi un infermiere non rinuncerei alla possibilità di fare un accordo “co-evolutivo” con i medici. Anche se questo accordo fino ad ora nessuno lo vuole fare.

Secondo me il passaggio riformatore resta oggi come ieri fondamentale. E questo passaggio riformatore a chiederlo dovrebbero essere sia i medici che gli infermieri e dovrebbe riguardare la questione della “concomitanza” cioè riformare anche profondamente la relazioni inter-professionali.

Questo passaggio fino ad ora è stato evitato prendendo la strada del conflitto cioè della guerra tra le professioni. Ciò è potuto avvenire soprattutto per mancanza di idee e per un grave difetto di progettualità strategica, per una grave debolezza della rappresentanza, sia da parte degli infermieri che da parte dei medici.

A me piacerebbe che questo difetto di progettualità sia risolto. Complimenti di nuovo a Morsiani e a Agostinelli e comunque ancora grazie. Averne di contributi come quello che ci avete dato.

Ivan Cavicchi

24 ottobre 2024
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