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QS Edizioni - mercoledì 4 settembre 2024

Lettere al Direttore

I concorsi da primario: come provare a contenere le “forzature” della politica

di Claudio Maria Maffei
immagine 2 settembre -

Gentile direttore,
prima di entrare nel merito della questione “concorsi da primario”, parto da alcuni chiarimenti sui termini, che ho deciso di usare all’antica. So bene che oggi non ci sono più “primari”, diventati Direttori e Direttrici di struttura complessa, come so che le Direzioni di struttura complessa possono benissimo riguardare dirigenti di altre figure professionali oltre ai medici e che le nomine non avvengono a seguito di “concorso”, ma con una procedura di selezione. So anche che storicamente queste “nomine” sono state terreno di conquista della politica (tutta, bisogna dirlo) e di scontro tra questa e i professionisti, con l’esclusione di quelli che di questa invasione di campo sono stati complici e beneficiari. E, per concludere con le premesse, meglio ricordare che il fenomeno dei concorsi forzati dalla politica è diffuso e importante, ma per fortuna non sistematico e omogeneo. Il rischio di concorsi “forzati” da primario (a volte vere e proprie farse, visto che secondo la Treccani farsa in senso figurato sta per “cosa non seria, buffonata”) andrebbe quanto più possibile contenuto e vorrei formulare da tecnico di estrazione sanitaria qualche considerazione e proposta al riguardo.

Un passaggio importante che avrebbe dovuto contribuire a contenere questo rischio è stata l’approvazione giusto nell’agosto di due anni fa di uno specifico articolo, l’Articolo 20, nella Legge sulla concorrenza i cui contenuti erano stati immediatamente analizzati qui su Qs. Queste le principali misure anti-forzatura previste in quella Legge:

  • la commissione, che è composta dal direttore sanitario dell'azienda interessata e da tre direttori (sorteggiati) di struttura complessa nella medesima disciplina dell'incarico da conferire, dei quali almeno due responsabili di strutture complesse in regioni diverse da quella ove ha sede l'azienda interessata alla copertura del posto. La presidenza della commissione viene affidata al componente con maggiore anzianità di servizio tra i tre direttori sorteggiati;
  • la valutazione, che viene fatta dalla commissione attribuendo a ciascun candidato un punteggio complessivo secondo criteri fissati preventivamente sulla base dell'analisi comparativa dei curricula, dei titoli professionali posseduti, avuto anche riguardo alle necessarie competenze organizzative e gestionali, dei volumi dell'attività svolta, dell'aderenza al profilo professionale richiesto dalla Azienda e degli esiti di un colloquio;
  • la nomina, che viene fatta dal Direttore Generale e “sceglie” il candidato che ha conseguito il maggior punteggio;
  • la trasparenza di tutta la procedura, che prevede la pubblicazione nel sito internet istituzionale della Azienda prima della nomina del profilo professionale del dirigente da incaricare, i curricula dei candidati, i criteri di attribuzione del punteggio, la graduatoria dei candidati e la relazione della commissione e dopo la nomina il relativo atto motivato.

Partiamo dalla impostazione generale di questo articolo e della filosofia che lo sottende. Da una parte si è colta l’occasione di ridurre i margini di arbitrarietà che evidentemente hanno caratterizzato la fase precedente. Dall’altra si è fatto il percorso a metà per cui è venuta fuori una strana creatura: da una parte si è tornati ad una logica concorsuale coi punteggi e le graduatorie e dall’altra si è mantenuta la natura anche giuridica di selezione tipica dei rapporti fiduciari di tipo privatistico. In pratica questo vuol dire che gli eventuali ricorrenti debbono rivolgersi al giudice ordinario, il che a sua volta vuol dire in termini pratici non poter contare su una sospensiva e avviare un percorso lungo e scoraggiante. A questa considerazione io ero arrivato per mio conto quando ho trovato un sostegno insperato in uno del mestiere che ne sa più di me, Fabrizio Figorilli, che in suo contributo sul tema conclude che “Forse il legislatore avrebbe potuto osare di più, facendosi carico di attribuire al giudice amministrativo le controversie in tale settore, evitando quelle incertezze che potrebbero favorire una probabile proliferazione di conflitti destinati ad aggravare il carico di lavoro delle Sezioni Unite. Non rimane che attendere l’esito delle future decisioni, confidando però in un atteggiamento della giurisprudenza più sensibile alle esigenze di una tutela piena ed efficace del ricorrente, in linea con i principi sanciti dalla nostra Carta fondamentale e dai trattati eurounitari, opportunamente e non a caso richiamati anche nell’art. 1 del codice del processo amministrativo”.

Chiarita questa incertezza non da poco del legislatore, vale la considerazione che le regole e i criteri di valutazione fissati dalla Legge sulla concorrenza e da tutte le normative precedenti che Figorilli ricostruisce ( D.Lgs n. 502/1992, D.Lgs. n. 517/1993, D.Lgs. n. 229/1999 e il D.L. n. 158 del 2018, convertito nella L. n. 189 del 2012), e che le Regioni hanno ripreso nelle loro Linee di indirizzo per il conferimento degli incarichi di direzione di struttura complessa (nelle Marche la DGR 1503 del 2013 e la DGR 215 del 2023) sono più che sufficienti in un mondo “normale”. Anzi, come spesso avviene in Italia, ci sono forse più regole di quanto non servano. Il problema è che il mondo delle sanità regionali non funziona sempre in modo normale e spesso tutte quelle regole e quei criteri sono “aggiustati” in modo tale che i risultati dei concorsi da primario appaiono come minimo poco convincenti. Peraltro la motivazione secondo cui è giusto che sia la Direzione Generale a prendersi la responsabilità della scelta si scontra col fatto che la longevità nel ruolo dei “primari” è molto più lunga di quella di chi li ha nominati (Direzioni sempre e Giunte troppo spesso) che quindi trasferiscono le conseguenze delle loro scelte alle successive gestioni.

Se esiste un forte e in parte legittimo orientamento della Direzione Generale (e non solo suo) nei confronti di un candidato, i suoi margini di manovra vanno però limitati e controllati. A titolo di esempio, ognuno dei punti che seguono presentano dei potenziali bias (per definirla in modo fine), ovvero vizi, che inficiano la validità dei processi di nomina dei primari:

  • la definizione del profilo soggettivo del ruolo messo a bando, che può orientare in modo specifico verso un candidato;
  • la composizione della Commissione, che, data per scontata la selezione casuale dei componenti esterni, può essere tanto più “malleabile” quanto più digiuna di esperienze valutative e poco familiare con il contesto organizzativo in cui si inserisce il concorso;
  • le modalità di lavoro della Commissione, così frettolose che i lavori a volte durano mezza giornata con firma del verbale prima di pranzo;
  • il peso del colloquio rispetto al curriculum, di cui ho già parlato in un precedente intervento qui su Qs ricordando la eccessiva e incomprensibile variabilità delle procedure adottate nelle diverse Regioni che vanno da un peso di 30 su 80 a un peso di 70 su 100 attribuito alla parte più “maneggiabile” della procedura e cioè il colloquio (con un picco per la ASL di Modena che ha previsto in alcune procedure l’80% per il colloquio);
  • i criteri di valutazione del colloquio in cui siamo, o meglio i candidati sono, letteralmente nelle mani della Commissione (ci tornerò nel Post scriptum);
  • la trasparenza del concorso, che in teoria viene garantita al massimo visto che la legge sulla concorrenza prevede che ci sia un atto di nomina motivato da parte del Direttore, mentre negli atti di nomina solitamente si rimanda alla valutazione della commissione, che però, almeno nelle Marche, viene pubblicata nel sito istituzionale della Azienda solo sotto forma di relazione sintetica, da cui non si ricava niente.

A questo punto suggerisco alcuni possibili rimedi, di cui vale la pena di parlare solo se si ritiene utile affrontare il problema e non lo si dà per connaturato al sistema pubblico, sanitario e non solo, del nostro Paese. Se si accetta che non se ne può più di queste forzature i possibili rimedi iniziali sono:

  • riportare la valutazione dei ricorsi (mi scuso per il linguaggio giuridico grossolano) al Tribunale Amministrativo magari fornendo dei criteri che evitino un loro numero eccessivo;
  • introdurre nella Commissione un esperto “vero” di gestione delle risorse umane e delle politiche di reclutamento;
  • rendere omogenei ed equivalenti in tutte le Regioni i pesi di colloquio e curriculum;
  • produrre linee di indirizzo nazionali sui criteri di valutazione da adottare nei colloqui;
  • produrre linee di indirizzo nazionali sulla costruzione del verbale “analitico” della Commissione;
  • rendere obbligatoria la pubblicazione nel sito aziendale del verbale analitico della Commissione.

Queste nuove regole non impediranno le forzature, ma quantomeno le renderanno più rintracciabili e contestabili. Non si può sentire più che un “buono” dato in un colloquio di dieci minuti fatto in modo non professionale vada a frustrare le legittime aspettative di un professionista che per affrontare al meglio quei dieci minuti ha studiato e lavorato per decenni.

Post scriptum

Torno sulla valutazione dei colloqui che in assenza di una griglia per assegnare i punteggi spesso si basa su quei giudizi sintetici che mi ricordano gli sforzi di mia mamma maestra nel trasformare i vecchi sani voti in un giudizio articolato. Trascrivo da suoi vecchi appunti che ancora conservo l’incipit e il finale di alcuni dei suoi giudizi: ”Giovanna quest’anno è più calma e anche più attiva… Risolve facili problemi. Si confonde nel calcolo orale. A casa deve esercitarsi nella lettura, deve saper ripetere brevemente il contenuto del brano letto”, mentre “Moira è buona, sincera, socievole… In aritmetica è svelta. Legge abbastanza bene e sa riferire il contenuto del racconto letto”. Non c’è alcun dubbio: facciamo primaria Moira. Dei dubbi vengono invece quando, come si è verificato in una vicenda che ho seguito direttamente, un candidato riceve in pochi minuti di colloquio una valutazione altissima (e decisiva) delle proprie capacità gestionali pur non avendo mai rivestito un ruolo gestionale nel suo percorso professionale, mentre un altro candidato con molti anni di esperienza gestionale (di cui alcuni da primario), validata annualmente col massimo punteggio nei processi aziendali di valutazione delle performance, ne riceve una significativamente più bassa in un colloquio altrettanto breve. E pesando il colloquio per il 70% nella Regione in cui si è tenuto il concorso questa differenza ne ha ovviamente condizionato il risultato finale ribaltando la graduatoria fatta in base al curriculum. Non si può sentire più che un “buono” dato in un colloquio di dieci minuti fatto in modo non professionale vada a frustrare le legittime aspettative di un professionista che per affrontare al meglio quei dieci minuti ha studiato e lavorato per decenni.

Claudio Maria Maffei
Coordinatore Tavolo Salute Pd Marche

2 settembre 2024
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