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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lettere al Direttore

Nella complessità competenze o capacità?

di Giuliana Morsiani
1 agosto -

Gentile Direttore,
nel ringraziare il Dr. Proia e il collega De Caro degli argomenti del dibattito, seppur nella necessità di inserire criteri di diversificazione delle carriere, le riflessioni su cui vorrei ritornare a portare l’attenzione si concentrano sul concetto di “competenza”.

L’essere competente, come dal dizionario Treccani, indica l’idoneità e l’autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate questioni.

Misura l’attribuzione dell’agire, equivalente a quello che possiamo intendere come ambito di autonomia e responsabilità. È il saper, saper fare e, in una visione estesa, può rientrare anche il saper essere. Prima con il mansionario erano le prestazioni, oggi prestazioni più moderne inserite nel processo assistenziale.

Più nel dettaglio si può indicare il governo del processo assistenziale nelle facoltà di identificare-pianificare-gestire e valutare. È questa la traduzione infermieristica del processo del problem solving, quello che fa riferimento alla dottrina positivista che nel rigore del metodo scientifico ha guidato le modalità del ragionamento del sapere dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi. Una razionalità prettamente scientifica che nello studiare i fatti, gli elementi oggettivi li riduce ai minimi termini seguendo una logica causa-effetto. Un modo di conoscere adeguato alla malattia quale lesione organica complicata e indaginosa, ma parziale se riportata alla persona in quanto entità complessa che interagisce in un contesto dato.

Seguendo la modalità epistemica razionale dall’accertamento si prosegue al ragionamento diagnostico, fino ai risultati correndo il rischio di procedere con compilazioni meccanicistiche che seppur personalizzate per certi aspetti e inserite in una relazione di fiducia, rispetto, accettazione positiva, ascolto, comprensione empatica e assertività quali componenti più specifiche di un saper essere, mantengono una postura dell’”occuparsi” dell’altro.

La complessità richiede capacità A più voci oggi i concetti che guidavano l’agire infermieristico, quello di salute, ma anche di uomo e di ambiente sono profondamento cambiati. La restitutio ad integrum dell’organo leso amplia il concetto di salute verso un processo dinamico di adattamento e self care lungo tutto il percorso della vita; il concetto di uomo supera il significato di paziente inteso come passivo, per essere visto come portatore di risorse e capacità residue che insieme ad una consapevolezza dei diritti acquisiti chiede co-decisionalità e risposte di salute personalizzate.

Anche il contesto socioculturale pressato da congiunture economiche, da risorse differenti, contingenze ambientali “in situazione” contribuisce a complessificare il quadro della situazione che ogni giorno ci si trova ad affrontare.

Davanti a questo pluri dimensionalità di variabili in gioco la logica della competenza risulta riduttiva. Ovvero “all’idoneità e autorità di trattare, giudicare, risolvere determinate questioni” va aggiunto un’altra abilità.

Alle nostre tecniche prestazionali e ai tecnicismi del ragionamento clinico va aggiunto quello che il premio nobel Sen e la filosofa Nussbaum[1] indicano come “impegno”. Koloroutis[2], infermiere americana chiama questo ulteriore ingrediente “assunzione di responsabilità” e lo declina come interesse, sollecitudine, premura, tensione, propensione che attiva la mente e offre un’abilità diversa nell’agire il ruolo.

Una postura mentale che trasforma il comportamento dell’infermiere da una condotta dell’”occuparsi” a “preoccuparsi” della persona[3].

Un salto cognitivo che può avvenire solo cambiando il ruolo della relazione: non è solo rapporto di fiducia, empatia, ma è una facoltà epistemica che nel dialogo arriva a conoscere le verità del malato che sono diverse da quelle scientifiche. Non è infatti una novità che le verità della cura sono sia scientifiche sia culturali e queste ultime sono verità soggettive, custodite in quel cloud[4] tutto personale che solo modalità di conoscenza adeguate riescono ad entrare e svelarne i significati più propri, le aspettative e i desideri in grado di riallacciare i legami con la vita attivando un processo di capacitazione che sviluppa possibilità, potenzialità e responsabilità.

Il “rafforzamento della capacità decisoria del cittadino” la “capacità di sostenere le scelte autonome e l’autodeterminazione del malato” sono condotte che agisce l’infermiere non riducibili a una razionalità scientifica e neppure con una relazione di “amabilità”. Sono raggiungibili oltre il ragionamento positivista, algoritmico, computazionale. Entrano in quelle maglie, ma aggiungono altre trame epistemiche e complessificano il ragionamento infermieristico per renderlo più completo e più speculare alle necessità dell’esigente di oggi.

Sono questi ragionamenti di natura fenomenologica e pragmatica che possono essere raggiunti nella chiarezza della responsabilità della pianificazione assistenziale, coordinamento e continuità della cura, presente nel modello del Primary nurse e dell’Infermiere di famiglia e comunità nella cui mente si dovrebbe coagulare l’autonomia, la responsabilità e l’ancora sfuggente assunzione di responsabilità esprimendo un ruolo che completa il comportamento atteso oggi richiesto.

L’unione degli ingredienti tecnici con l’impegno dà forma alle capacità e un infermiere capace ha qualcosa in più rispetto a quello competente. Recupera il valore morale, quell’idealità spesso smarrita e in ogni azione sa posizionarsi, sa relazionarsi, ma soprattutto sa scegliere nella logica non solo di proattività, ma di prendersi a cuore l’altro. L’infermiere capace dona calore e vitalità alle nozioni fredde e teoriche della scienza e grazie alla sua abilità di ragionamento rende sapiente il suo agire.

Nella pluralità di dimensioni in cui ci espone la complessità oltre al saper, saper fare e saper essere, la condotta che sta acquisendo sempre più importanza è il saper scegliere[5] per rispondere alla singolarità delle situazioni esistenziali. E se questo è l’ambito del Caring, penso che ciò che dovrà essere prevalente nel determinare le scelte non sarà la razionalità clinica codificabile dai software, ma quella fenomenologica e pragmatica. Un’epistemologia della pratica[6] che nell’unicità situazionale e negli indicatori costruiti in modo consensuale indirizzano la strada per ampliare e caratterizzare la potestà decisionale infermieristica.

In questa commistione di più ragionamenti esce la “ragione del Caring” che arricchisce la struttura sintattica, quindi i pensieri del professionista e torna indietro in termini di autorevolezza e reputazione. Una misura di qualità ampia, da operazionalizzare per poter offrire criteri di sviluppo di carriera, ma che agisce un cambiamento importante: non più sugli input, sui titoli, su criteri burocratici, ma sugli output, su ciò che è utile, di valore sociale perché importante per gli altri, in primis il cittadino, ma anche all’equipe.

In conclusione, se il valore sociale dell’infermieristica è il prendersi cura di una società complessa, la risposta non può che essere complessificando le capacità di osservare, giudicare e scegliere. È questo un punto di grande importanza che ripensa la scientificità aggiungendo alle verità scientifiche anche quelle culturali. Ma questo richiede nuove abilità, sensibilità, capacità nonché ulteriori approfondimenti che chiamano in causa il mondo della filosofia per aggiornare e mettere ordine all’intero impianto disciplinare.

Giuliana Morsiani
Infermiere, PhD

[1] Magni S.F. “Etica delle capacità”. La filosofia pratica di Sen e Nussbaum. Il Mulino, 2006.

[2] Koloroutis M. “Cure basate sulla relazione. Un modello per la pratica clinica”. CEA, 2015.

[3] Mortari L. “La pratica dell’aver cura”. Mondadori, 2006.

[4] Morsiani G., Agostinelli V. “Caring dalla visione agli esiti assistenziali: Riformare le pressi dell’infermiere”. CEA, 2024.

[5] Cavicchi I. “La medicina della scelta” Bollati Boringhieri, 2000.

[6] Schon D.A. “Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale”. Dedalo ed., 1993.

1 agosto 2024
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