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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Lettere al Direttore

A proposito della “questione medica” e “se il medico fosse medico”

di Vittorio Fineschi
21 marzo -

Gentile direttore,
considero da tempo Ivan Cavicchi un interlocutore imprescindibile su questi temi e, per questo motivo, commento la sua ultima, generosa “fatica” sulla Questione Medica (QM) in una ottica di costruttivo confronto. Preliminarmente trovo che, inconsciamente, stia traghettando la QM nel recinto concettuale della disciplina che, da sempre, aspira a coniugare con esemplare equilibrio il complesso dei doveri e delle potestà del medico con l’ansia delle attese sociali e, prima ancora, individuali, e quindi con i dirittivalori della persona (se si preferisce cittadino o anche paziente): la Deontologia Medica.

Quando è stata introdotta alla discussione la QM, ormai un decennio fa, veniva presentata con una serie di precisazioni, esattamente cinque; adesso nel “Medici vs Cittadini” si raddoppiano i punti introduttivi proponendoli ben dieci ma, in realtà, molti di questi sono una superfetazione, in quanto i temi in discussione sono concettualmente comprimibili in una ottica argomentativa in fin dei conti semplice: cosa vuol dire essere medico nel terzo millennio. Affrontiamola.

Certamente ha ragione Cavicchi quando sostiene che, in questa epoca storica, essere solo medico vuol dire non essere medico ma, a ben vedere, la FNOMCeO (punto 1 del decalogo introduttivo) non è colpevole di aver abbandonato il rinnovamento concettuale della professione, essendo proprio l’intreccio di trasformazioni sociali, legislative e giurisprudenziali che hanno indotto a tenere in standby un drastico ripensamento professionale, ponendosi il dubbio se convenga procedere a piccoli passi oppure con una fuga in avanti nel timore, però, di un mesto ritorno indietro per l’attuale assenza di una necessaria maturità nell’accogliere nuove istanze. Infatti, mi chiedo: siamo veramente sicuri che l’attuale medico sia pronto, prima di una ridefinizione sociale e giuridica a tutto tondo, (punto 2) ad inserirsi in un confronto nuovo, diverso, senza un pabulum che lo accolga e lo faccia crescere? E poi i moniti alla Commissione Nordio-D’Ippolito (punti 3-4), di cui faccio parte e non posso quindi assurgere ad esegeta o difensore, ed a tal proposito posso solo riferire che la cultura e la sensibilità dei Componenti ha sempre avuto come prima lettura interpretativa del mandato proprio il bilanciamento di interessi tra il cittadino ed i professionisti sanitari, nessuno escluso.

Su questo punto non si può transigere in quanto la Commissione ha sempre iniziato il percorso argomentativo dei lavori avendo come stella polare la relazione fiduciaria tra sanitari e cittadini. In quanto ai medici che “sono quello che sono” (punto 5), non si può ignorare che il livello culturale standard del medico italiano è tra i più elevati della Comunità europea e, allargando lo sguardo, la conflittualità medico-cittadino è fenomeno globale che, evidentemente, non ha solo radici culturali latine ma vede una trasversalità di confronto che deve indurre a chiedersi: tutte le Federazioni dei vari Stati hanno fallito oppure c’è qualcosa di più e di diverso, di più profondo, certo di livello societario e non più ignorabile, ma comunque senza colpevoli istituzionali?

Ed ancora, non si può altresì negare che la Federazione ha portato avanti con grande coraggio e dignità un progressivo sviluppo culturale e sociale della professione medica attraverso un codice deontologico che, nelle varie stesure che si sono succedute, è sempre stato anticipatore rispetto al legislatore proprio perché attento all’evolversi della società e della professione (punto 6). Inoltre, nessuno ha mai sventolato la bandiera della depenalizzazione medica, e questo per motivi giuridico-culturali (Costituzionali) prima ancora che di giustizia sociale (punto 7). Veniamo, infine, alla formazione del medico, qui posso vestire l’abito di chi forgia i futuri medici, per affermare come il percorso metodologico-formativo sia di alto livello e non si insegni più (da tempo) basandosi sulla malattia, ma si costruisca il medico del futuro con una integrazione di saperi moderni, attenti alla scienza ma anche alla relazionalità, al rapporto con il cittadino ma anche con le Istituzioni, un insegnamento legato alle contingenze storiche, alle influenze e alle suggestioni della società attuale in un imprescindibile raccordo tra professione medica e tutela dei diritti e della dignità della persona (punti 8-9).

Concludo, pensando alla importante riflessione in merito alla ridefinizione giuridica del medico, alternativa all’ipotesi di una depenalizzazione delle sue azioni (ed in fondo ad una deresponsabilizzazione della sua figura) (punto 10). Riflessione questa che assume ancor più rilievo se si pone come premessa la valorizzazione della deontologia medica, diritto mite da esaltare senza retoriche, in quanto per dirla con il mio Maestro (Mauro Barni), proprio l’insegnamento dei diritti dell’uomo, ai fini di formazione del medico, non può che muovere dall’insegnamento dei doveri del professionista, gli uni e gli altri inscindibilmente connessi nel contesto essenziale di una rivisitazione reciproca dei diritti e dei doveri coniugando con esemplare equilibrio il complesso delle potestà del medico con l’ansia delle attese sociali, e prima ancora individuali, e quindi con i diritti-doveri della persona.

Vittorio Fineschi
Ordinario di Medicina Legale Direttore UOC Medicina Legale e delle Assicurazioni Sapienza Università di Roma Policlinico Umberto I di Roma

21 marzo 2024
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