13 marzo -
Gentile Direttore,nel centenario della nascita di Franco Basaglia fervono iniziative celebrative con convegni, seminari, proiezioni, podcast, trasmissioni radio e televisive, persino un francobollo commemorativo. Come sempre le cerimonie possono rasentare la retorica e non rispecchiare fino in fondo le posizioni e il pensiero di chi vi partecipa o le organizza, ma nel caso di Basaglia pensiamo che la statura del personaggio faccia giustizia anche delle possibili differenze culturali se non di quelle ideologiche.
Ci sarà tempo per tornare alle polemiche tardive e sterili sulla bontà della legge che è associata al suo nome, per andare oltre la memoria civile dello psichiatra intellettuale che ha riportato la salute mentale al centro dell’attenzione collettiva con il suo pensiero e le sue pratiche, che ha contribuito alla restituzione della sofferenza psichica a prospettive di cure e non di esclusione sociale, che ha sfidato le prassi reclusorie e violente nei confronti dei malati proponendo un sistema efficace di trattamento e presa in carico. Sarà senz’altro possibile tornare a fare il bilancio di cinquant’anni di psichiatria riformata e delle sue preoccupanti involuzioni contemporanee. Per ora limitiamoci ai riti del ricordo che sono pur sempre dedicati al presente, a tenere viva la memoria e a contrastare l’oblio.
Singolare che in questo primo trimestre di anno basagliano, nella Regione Lazio siano comparsi due provvedimenti che spiccano per il loro originale e paradossale taglio rievocativo. Parliamo prima di un protocollo della ASL Roma1 dedicato ad interventi socio-sanitari nei confronti delle persone senza fissa dimora presenti sul territorio della ASL, che include come noto il centro della capitale e la stazione Termini. Il progetto è mirato a far funzionare in modo integrato i vari servizi coinvolti nella cura e assistenza.
L’intenzione degli estensori e firmatari sembra nello spirito di assicurare la salute fisica, e talvolta quella mentale, a chi si è ritrovato nella condizione di rompere con la propria vita precedente finendo per strada, una percentuale minima del vasto numero di senza fissa dimora nella città di Roma, ma non per questo poco significativa per lo stato di abbandono e di emarginazione in cui essi vivono. Se lo scopo di provvedere sostegno e cure appropriate appare encomiabile, la soluzione appare sproporzionata alle reali esigenze di questa fascia di popolazione: immaginare che i servizi sociali comunali e quelli sanitari della ASL possano attivare processi di integrazione che permettano di ricostruire storie e vite di uomini e donne che hanno trovato la chiave della loro sofferenza agìta nel barbonaggio appare, ahimè velleitario.
Ben più probabile che in luogo di una personalizzazione della presa in carico, il ruolo della psichiatria come contenitore degli scarti del sociale prenda il sopravvento: come non prefigurare che ricoveri in reparti psichiatrici affollati e soggetti a rapido turn over si riveli una soluzione errata e inappropriata per chi ha bisogni specifici che mal si conciliano con la maggior parte delle cure correnti in psichiatria? Come non immaginare che le vie burocratizzate di ‘continuità assistenziale’ tra luoghi della psichiatria pubblica siano una magra risorsa, tuttalpiù caritatevole, per persone ‘indocili’ che hanno fatto della loro esclusione e del rifiuto la cifra della loro esistenza? Sappiamo per esperienza che sarebbero necessari percorsi specifici e originali per poterle realmente agganciare e recuperare a una sorte meno dolorosa, ma quel che è scritto su carta richiede competenze che strutture e operatori oberati del DSM non possiedono.
Il sospetto che, al di là delle intenzioni, il protocollo esiti in una soluzione psichiatrica generalizzata che confonda poveri e matti - anche se nata per un numero ristretto di persone con problemi mentali - è forte e giustificato anche dalle serie difficoltà di servizi che già lavorano in affanno, indotti a soluzioni sbrigative, a cento anni dalla nascita di Franco Basaglia e quasi cinquanta dalla legge 180.
Il secondo evento celebrativo, significativo nella sua implicita provocatorietà, è quello che la ASL Roma5 ha realizzato con un suo atto, deliberato da tempo e che ora, in pieno centenario basagliano, sta avendo la risonanza che merita. In un documento ufficiale di 62 pagine che mira a una presa in carico ‘appropriata’ delle persone con disturbo depressivo maggiore, all’interno di quello che pare un agile manualetto per le migliori cure del caso, compare l’Elettroshock (TEC) tra le opzioni terapeutiche per i casi resistenti insieme a farmaci stimolanti e altrettanto stimolanti interventi transcranici.
La ASL suddetta si doterà, solerte, della adeguata attrezzatura ma se il numero degli utenti bisognosi di stimolazione elettrica al cervello fossero troppi, potrà garantirne il trattamento presso ‘centri d’eccellenza’ sparsi nel territorio nazionale, da Brescia a Verona, da Milano a Bressanone, Pisa, Brunico e Oristano. Un originale fenomeno di migrazione sanitaria per l’effettuazione dello shock elettrico.
Ancora una volta una psichiatria che si fa scudo della sua burocratizzazione e della sua labile copertura scientifica non sembra riuscire a separarsi dalla sua ossessione per il cervello storto da raddrizzare, parente ricco della più plebea contenzione meccanica. Pronta, questa psichiatria, ad argomentare con i suoi numeri, usati come arma retorica, l’appropriatezza di pratiche discusse e discutibili, la cui efficacia nella cura, come sempre, manca di un fondamento teorico dimostrabile, replicabile e falsificabile e che procede perseguendo il fine primario di silenziare la sofferenza. La ‘pratica’, così tanto vituperata e accusata di improvvisazione quando è interpretata, secondo il dettame basagliano, in un rapporto fertile e complesso con la teoria, diventa soluzione ‘praticona’ al mistero della follia iscritta tutta nel cervello.
Buon compleanno maestro Basaglia!
Antonello D’EliaPresidente di Psichiatria Democratica