Lettere al Direttore
La legge è uguale per tutti: non esiste
Gentile Direttore,
ad un mese dalla pubblicazione della quadrilogia del dott. Proia, termina la mia attesa ad un riscontro sulle idee illustrate, pure espressamente richiesto dall’autore a donne e uomini di buona volontà che vogliano «condividerle anche in parte e svilupparle», in modo da rendere la c.d. «Proposta di riforma delle professioni della salute» effettivamente partecipata e condivisa.
A quanto pare (a tutt’oggi 0 commenti sul plug-in di facebook) quelli di buona volontà sono i soliti noti nell’oceano nazionale di oltre 700000 professionisti, che certamente include anche ogni grado di rappresentanza istituzionale.
Pertanto, codesta solitaria nota si affianca a quelle del dott. Alemanno con cui condivido lo spirito di iniziativa e – senza mai intaccare la stima nel dott. Proia – intende proprio sollecitare un dibattito il cui appello stupisce passi a tutt’oggi sostanzialmente inascoltato.
Partirei quindi – senza “incomprensioni” di sorta – a corroborare l’intervento di Alemanno, cercando di andare al nocciolo di una situazione oggettiva e non di qualsivoglia preteso fuorviante intendimento, peraltro a più riprese per mio conto dibattuta per i TSRM, ma che si adatta perfettamente ad ogni altro professionista.
Come già illustrato in altro intervento, a partire dal 1800, quando Giovanni Alessandro Brambilla tirò per la giacchetta i suoi colleghi dagli scranni dei teatri anatomici per fargli eseguire di persona gli interventi chirurgici, questi ultimi hanno iniziato la spasmodica ricerca di braccia volenterose che gli affrancassero i compiti più sgraditi: una ricerca che ha condotto alla creazione di figure professionali la cui odierna crescita accademica crea periodicamente forti imbarazzi in una classe medica giusto caso impaludata su condivise – ma giammai dichiarate – memorie da gerarchie militaresche di stampo Primo Conflitto Crimea … secondo cui i professionisti sanitari non possano “andare da soli” e che debbano sempre «ubbidire» (ho udito di persona, recentemente, proferire questo verbo) al proprio medico di riferimento; per quanto possa stupire i neo laureati triennali sono tutt’oggi formati – con buona pace di tutti, Proia compreso – in questo modo: il proprio operato deve configurarsi formato a divino insegnamento medico.
Per spiegare meglio questo concetto ricorro ancora una volta alla posizione del TSRM, ove, fatte salve le fattispecie di lavoro d’equipe, come ad es. l’esecuzione di esami con somministrazione di mdc, l’unico esame diagnostico effettivamente eseguito in autonomia resta uno solo: la mammografia 2D dello screening mammografico. Il perché è presto detto: è l’unico esame perfettamente standardizzato nel caleidoscopio degli esami di diagnostica per immagini. Questo il sostanziale motivo della “invasione di campo” sollevata da Alemanno, che Proia indica come “misunderstanding” … la cui comprensione in realtà è invece assai agevole: ogni medico vuole che l’esame debba essere condotto secondo suo “gusto” particolare e non secondo protocolli condivisi, magari al livello nazionale; ed è per questo sostanziale motivo che cambiando casacche e parrocchie le “liturgie” possono anche discostarsi enormemente, per cui i “disorientati” TSRM – con buona pace delle loro frange rappresentative istituzionali, che di tutt’altro trattano, tranne che di questo – non hanno alternative che divenire dei bravi “Yeswomen” e “Yesmen”.
Da non dimenticare che tutto ciò si inserisce nel panorama di IPERTECNICISMO della medicina moderna, ove il nevrotico e forse non sempre utile progresso tecnologico, con profusione di marche e modelli che per fare le medesime cose possono funzionare assai diversamente anche solo da un posto all’altro – ove pure esisterebbe il processo di Health Technology Assessment (HTA) – crei ulteriori enormi difficoltà, con possibile preclusione anche di fondamentali norme professionali, come quella cui all’art. 5.1 del codice deontologico TSRM.
La soluzione a questi problemi è una sola: così come protocolli approvati di conformità tra quesito clinico e prestazione possono rendere condivisibile la responsabilità sulla giustificazione degli esami diagnostici, protocolli approvati di esecuzione standardizzata degli esami libererebbero due figure professionali: il professionista potrà lavorare in autentica autonomia ed il medico potrà essere tranquillo su una qualità standardizzata dell’esame diagnostico relativamente ad un preciso quesito clinico.
Qualcuno obietterà una fantascienza … nossignori … è questa la vera scienza e coscienza. Senza questi interventi, ogni accreditamento di «riconosciuta autonomia e competenza professionali» ed ogni tentativo di «valorizzare l’esercizio di una professione intellettuale e liberale» diventano le solite pietanze a base di aria fritta, servite ad ogni tavolo trattative.
Quanto alla restante cospicua trattazione del dott. Proia, vorrei limitarmi in questo intervento ad un paio di aspetti pescati dall’urna …
Carissimo Dott. Proia … dov’è andata a finire la norma sul Whistleblowing? Glielo dico io: sui tavoli dei consigli disciplina delle aziende, complice il silenzio delle procure interessate, visto che al diligente dipendente pubblico denunciante a distanza di anni non giungano né comunicazioni di richiesta archiviazione, né tantomeno controquerele per calunnia.
Riflessione finale: apprezzando moltissimo lo sforzo intellettuale del dott. Proia, a fronte di ex presidenti di ordine che recentemente hanno dichiarato: «ritenevo che l’autorevolezza della professione non passasse dal riconoscimento normativo … » …
Noi tutti Italiani non possiamo nasconderci dietro un cerino: esigiamo appassionatamente nuove norme di legge che risolvano tutti i problemi, però determinati da una sola vecchia questione, praticamente ci comportiamo come se le norme di legge, tutte: vecchie, nuove e future … compresi i testi di giurisprudenza e di dottrina …praticamente non esistano.
Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale