8 gennaio -
Gentile Direttore,si inizia seminando timori, cosa che le nuove tecnologie hanno fatto diventare sempre più facile. Magari per sostenere che il “disagio giovanile”, condizione con la quale non solo noi, ma tutti quelli che ci hanno preceduto nella storia dell’umanità, hanno convissuto e che ha consentito a molti di acquisire una certa qual maturità, rappresenti un momento di indicibile sofferenza e non di crescita e soprattutto una condizione senza alcuna speranza, se non “adeguatamente trattato”. Poi, dal momento che “la gente crederà prima ad una grande bugia che a una piccola e se lo ripeti abbastanza spesso la gente prima o poi ci crederà” e quindi qualsiasi affermazione, ripetuta molte volte, diventa una verità, ecco che persino distinti parlamentari, opinion maker, personaggi pubblici si danno da fare non tanto per migliorare le condizioni oggettive di una società in crisi, quanto per mitigarne le conseguenza, ad esempio sottoporre a trattamento tutti quei poveri adolescenti affetti da “disagio giovanile”.
Se poi vengono coinvolti addirittura esperti e tecnici del settore come, ad esempio, noti influencer in grado di mettere alle corde persino un normalissimo Ministro della Salute, l’obiettivo è ormai raggiunto. Rapper e politici dalle incerte competenze, associati ai legittimi portatori di interesse hanno coronato il successo del progetto di “più psicologi per tutti” e a questo punto appare sempre più difficile riportare la questione in termini razionali: secondo Joost Meerloo, medico psichiatra, psicoterapeuta ed esperto nelle psicosi di massa, “il logico si può incontrare con il logico, mentre l’illogico non può e confonde coloro che sono nel giusto”.
Siamo homo sapiens da più di centomila anni e siamo comunque sempre riusciti a sopravvivere ai nostri “disagi”, anche quando questi si chiamano guerra, crudeltà, bombe, odio e sopraffazione: a questo proposito appare strano che nessuno allarghi lo sguardo per accorgersi che c’è chi sta male davvero, anche dietro l'uscio di casa nostra e altrettanto strano che nessuno pensi di dare loro una mano. Comunque e nonostante tutti i “disagi” della nostra storia siamo riusciti a raggiungere l'oggi alla ricerca di un sempre migliore equilibrio con l’ambiente che ci circonda. Che poi alla base dei meccanismi evolutivi ci sia il caso oppure qualcosa d’altro, nulla toglie al fatto che sino ad ora la competizione con l’ambiente (necessità) è stata alla base di quello che siamo diventati, in un processo che prende lo strano nome di “evoluzione”. In genere questa competizione è in grado di operare una selezione, con lo scopo di favorire colui o coloro che meglio sanno reagire alle modifiche sociali ed ambientali.
È quindi con un certo timore che si possono interpretare alcune pratiche tese a evitare e superare con assoluta indifferenza i normali meccanismi evolutivi, quelli che ci hanno consentito, nel bene e nel male, di arrivare sin qui. Tra questi meccanismi andrebbe pure citato il “disagio”, parola con la quale ormai si afferma di tutto e pure il suo contrario. In questo contesto
la lucida analisi di Federico Durbano (QS del 19/12/2023) andrebbe scolpita nel marmo: “Curare il disagio è impresa titanica, se vogliamo risolvere tutte le risposte adattative che le asperità della vita ci richiedono. Il disagio è una leva evolutiva, è la messa a prova delle risorse individuali e richiede al soggetto uno sforzo (sano e normale) di adattamento che prevede di attingere alle proprie risorse per ridefinire i propri comportamenti. Patologizzare questo percorso, a mio parere, è molto pericoloso per l’equilibrio e l’identità del Sé”.
Resterebbe poi da definire una condizione nella quale non ci sono quattrini per la sanità pubblica e se ne trovano invece molti per la perpetuazione del concetto di “bonus”, anche stavolta elargito a piene mani a favore di pratiche del tutto avulse dal concetto di “prova di evidenza”. Già, ma qui potremmo riflettere anche su come vengono utilizzati i fondi per la Sanità pubblica nel suo complesso, oggi elemento reale di “disagio” per gli assistiti: chissà che il problema della inaccessibilità alle prestazioni della Sanità pubblica ed il conseguente “disagio” dei pazienti che non hanno soldi per rivolgersi a quella privata non possa venire risolto allargando la platea dei beneficiari del “bonus” in oggetto. Certo che i pazienti moriranno prima, ma vuoi mettere la gioia di lasciare questa valle di lacrime con animo (forse) sereno e magari senza grande “disagio”?
Pietro CavalliMedico