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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

Lettere al Direttore

La strada è ancora lunga, ma non è impossibile riformare la medicina territoriale

di Lorenzo Jorio
28 novembre -

Gentile direttore,
in questi giorni ho avuto modo di apprendere della assimilazione delle diverse tipologie di cancro a tre specie animali. Alla tartaruga, intendendo per tale quella patologia che per la sua lenta progressione è possibile raggiungere e fermare, tanto da essere sintomatica di una guarigione probabile. Al coniglio, intesa come specie che consente l’inseguimento e la cattura, tale da imporgli una soluzione terapeutica, spesso risolutiva. Al gabbiano, considerata quel genere di malattia che vola via, cui viene interdetta ad ogni metodologia di cattura perché troppo in alto, troppo veloce, troppo determinato nel volare via.

Una distinzione che costringe tutti a riflettere su un male che appartiene alla vita tanto è frequente. Tanto è preoccupante, da dovere fare di tutto per diagnosticarlo non appena si affaccia nel corpo. Fare bene ciò divide il successo della guarigione dalla sconfitta della morte. Quante di queste partite si sono perse con una sanità inefficiente, ragionieristica e messa in mano ad incoscienti che trattano l’utenza come prodotto economico, ma soprattutto con una disattenzione assoluta all’assistenza alla persona, assicurata vicina al suo domicilio.

Finalmente si avrà, in via progettuale, una medicina territoriale avviata verso l'efficienza, quantomeno sul piano della maggiore disponibilità oraria e, quindi, di una più efficace assistenza alternativa al ricovero ospedaliero superfluo, spesso richiesto dai cittadini per rimediare ad una offerta territoriale insufficiente. Insomma, è da tempo che la collettività nazionale, con particolare forza di quella residente nel sud del Paese, rivendica una più qualificata assistenza di prossimità, da garantire attraverso un potenziamento della rete dei distretti, da poco tempo destinataria di una quota del fondo sanitario nazionale maggiore di quella destinata all'ospedaliera. Le case di comunità e gli ospedali di comunità potrebbero essere il supporto ideale. Le COT costituiscono, seppure in entità embrionali, lo strumento per dirigere “il traffico” della domanda impropria, individuando l’offerta ideale per ogni istanza sociale di assistenza sociosanitaria.

Il problema è che ci vorrà del tempo. Il termine è fissato per il 2026. Si pone quindi l’esigenza di capire cosa fare nel mentre. Per curare le tartarughe, acciuffare i conigli, ammaestrare il più possibile i gabbiani.

Le soluzioni sono poche e occorre, quindi, fare tesoro degli strumenti utilizzabili, considerata anche la penuria di medici che sarà progressiva per un po’ di tempo.

Diamo seguito alla vista lunga che ebbe Renato Balduzzi, ministro della salute nel 2012, a pensare e istituire le forme di erogazione aggregata di assistenza primaria. Con questo ebbe ad individuare una offerta al plurale idonea allo scopo, purtroppo non ancora a regime, così come il fabbisogno avrebbe preteso.

Le Aggregazioni Funzionali Territoriali, le c.d. AFT, necessitano di una loro rivalutazione. Occorre affidare a loro una più qualificata assistenza «familiare», cui affidare nel frattempo alcuni dei compiti assegnati alle case di comunità. Devono e possono divenire dei perfetti salvagente, ma non di quelli in uso ai non abili in mare bensì a quelli purtroppo “attenzionati” dalle tartarughe, dai conigli e dai gabbiani, ai quali necessita una assistenza intima e una diagnosi precoce. Ciò che il sistema attuale non è affatto capace di garantire.

Ovviamente occorrerà il resto del prosieguo, diagnostico e curativo. Con un medico di base al plurale sarà più facile pretendere liste di attesa privilegiate, assistenza diagnostica specialistica accelerata, chirurgia più tempistica. Le distrazioni e i favori dei CUP & Co perderanno cittadinanza, ripristinando il rispetto per la gravità del malessere della persona.

Lorenzo Jorio
Farmacista

28 novembre 2023
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