23 novembre -
Gentile Direttore, ho letto
l’articolo di Elisabetta Caredda che riprende il dibattito che si è creato intorno
all’annullamento della delibera 1057/19 dell’AUSL Toscana Centro, relativa all’approvazione del progetto di sperimentazione del modello assistenziale ‘Fisioterapista di Comunità’. Non so cosa ne pensino in Toscana ma non credo che abbiano gradito questo annullamento che, dati alla mano, risolveva problemi senza un aumento dei costi, come anche
riportato da questa Testata. Quanto alla decisione del CdS penso sia stata frutto di un parere errato sul quale anche il ministero della Salute dovrebbe fare autocritica oltre che farci arrivare le sue scuse.
Comunque non è la prima volta che il CdS prende un abbaglio. Ricordo quando un Giudice, Presidente di sezione, sconfessando quanto aveva detto la sua stessa sezione due anni prima, dichiarò eterna l’equipollenza tra Massofisioterapisti e Fisioterapisti. Sappiamo come finì.
Credo che per capire il bandolo della situazione sia utile riferirsi alla sentenza del Tar, prima e dello stesso CdS poi sull’impugnato decreto sulle farmacie dei servizi dove si legge che i fisiatri, “contestano all’impugnato decreto la violazione di asseriti diritti dello specialista, ma non indicano le norme che detto diritto avrebbero consacrato, per la semplice ragione che non esistono. Non esiste infatti una norma che imponga al fisioterapista, allorché eroga prestazioni rientranti nella propria competenza, di agire alla presenza o quanto meno sotto il controllo dello specialista”.
O ancora: “Alla base del decreto impugnato è una scelta precisa del normatore, che non può essere messa in discussione solo per assicurare nuove occasioni di lavoro allo specialista della riabilitazione. Se fosse condivisibile la tesi dei ricorrenti, e cioè che ogni attività riabilitativa deve essere riservata allo specialista, qualunque sia il grado di disabilità sofferto dal paziente, tale esigenza si porrebbe per ogni patologia per la quale è previsto uno specialista. Il medico generico sarebbe costretto ad operare affiancato da una pluralità di specialisti, quante sono le patologie quotidianamente portate al suo esame, e ad essi dovrebbe comunque affidare la soluzione di problematiche che è invece in grado di risolvere autonomamente, con indefinibile aumento dei costi a carico dell’erario e, quindi, con un risultato finale contrario a quello che con l’impugnato D.M. si è inteso raggiungere”.
E’ non senza un senso di malcelata mestizia che ricordo quanto scrisse, sull’argomento citato da Elisabetta Caredda, un amico prima che giurista. Luca Benci ci ha spiegato che “nel nostro ordinamento giuridico non si riconosce alcuna centralità del fisiatra nel processo riabilitativo, neanche all’interno dello stesso mondo medico. Questo perché, nel nostro ordinamento, sono estremamente rari i casi di riconoscimento esplicito di atto medico specialistico. Si rinvengono in alcuni settori molto particolari, quali la radiologia, l’anestesia ( anche se non tutta), la medicina del lavoro. La Riabilitazione non è un’area medico-specialistica da un punto di vista giuridico e di conseguenza l’attività prescrittiva può essere posta in essere da qualunque medico. Inoltre, ogni professionista risponde dei propri errori causativi di danno. In conclusione, il quadro normativo dell’attività del fisioterapista è un quadro di forte autonomia, come lo è anche quello delle altre professioni sanitarie non mediche della riabilitazione, che dovrebbero subire la “centralità” del fisiatra nella sua “Squadra” ?. Tale quadro non lo pone alle dipendenze di alcuno, né alla verifica o al controllo di altri professionisti. E’ un quadro che sposa l’attività tra pari e disegna una organizzazione del lavoro di équipe con i pariordinati a confrontarsi tra di loro”.
Detto questo spero solo che il ministero corregga un parere assolutamente sbagliato.
Gianni Melotti Fisioterapista ed ex pubblicista