28 settembre -
Gentile Direttore,in pochi giorni nel Veneto tre Primari/Direttori di Radiologia hanno rassegnato le rispettive dimissioni: a Castelfranco Veneto Carlo Biasutti, a Mestre Claudio Fittà, a Treviso Gianluca Piccoli. A questi si aggiunge il Direttore della Unità Complessa di Chirurgia Senologica AULSS 2 Treviso Paolo Burelli che va in pensione tranne ripensamenti, quindi potrebbe restare volendo, ed il Direttore della Unità Complessa di Ginecologia Ostetrica dell’Ospedale di Oderzo Roberto Baccichet che ha dato senza mezzi termini le dimissioni. Le dimissioni precoci non sono purtroppo una novità nel nostro ambiente, ne parlavo come fenomeno in evoluzione anche nel 2018 https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=60537 ma una tale concentrazione in pochi giorni di uscite premature di professionisti top level dal Sistema Sanitario Regionale non si era mai vista a livello in questa regione.
Situazione particolarmente dolorosa quella di Claudio Fittà (Radiologia - Mestre) per le affermazioni contenute in un lungo articolo pubblicato in data sul Gazzettino a cura del giornalista Alvise Sperandio. Fittà lascia il lavoro pubblico e circa 20 specialisti che lavorano con lui in una Radiologia centro HUB di riferimento provinciale a 57 anni di età ed ad appena tre dalla nomina. Tra le motivazioni alla base la frustrazione di dover “correre dalla mattina alla sera per far fronte ad una richiesta di esami cresciuta a dismisura nell’ultimo anno per poi sentirsi anche criticati dalla gente per colpe che non sono nostre? No, grazie“. Una affermazione come “Vado via perché mi sono stufato” fa trasparire senza mezzi termini uno stato di profonda sofferenza personale come quella che riporta “Troppo stress, i ritmi di lavoro nel pubblico non sono più gestibili”. Le richieste di Risonanze magnetiche e TAC sono aumentate del 30-40% nell’ultimo anno, la mole di lavoro cresce sempre di più finché non è più possibile soddisfarla “
Mi spiace per tutti questi illustri colleghi in uscita prematura ma ancora di più mi spiace per i loro collaboratori che restano sulla nave.
Il Direttore di una Unità Complessa si differenzia degli altri colleghi non tanto per i compiti organizzativi ed in quanto riferimento per la Direzione e per le altre figure sanitarie, il suo ruolo è anche operativo per diagnosi e terapia.
Il Primario è il riferimento riconosciuto e rispettato dalla sua équipe perché è semplicemente quello più bravo, quello con maggiore esperienza a cui rivolgersi per i casi più difficili, quello che deve arrivare oltre il limite dove si sono fermati gli altri per le più svariate ragioni, quello che è destinato a reagire allo stress meglio degli altri ed è suo compito evitare o risolvere i conflitti interni.
Lo stile di lavoro del Primario deve servire da esempio per tutti ma in particolare per i più giovani nei più vari aspetti della professione medica quale desiderio di sviluppo della capacità personali, passione dedizione e costanza nell’aggiornamento culturale, disponibilità al dialogo nei confronti di pazienti, parenti e colleghi a vario titolo, pazienza complessivamente tendente all’infinito ma anche rigore nel far rispettare la disciplina nella eterna ricerca di un punto di equilibrio.
Per le ragioni sovraesposte l’abbandono del campo per sopravvenuta incompatibilità ambientale e non per pensione o causa di forza maggiore come ad esempio una inabilità fisica, mina profondamente la tensione ideale di chi resta. Arriverà certamente prima o poi, spesso poi, un altro Direttore ma la sindrome da abbandono per chi resta è ineludibile, e per taluni colleghi provoca anche un senso di smarrimento, di insicurezza per il futuro.
In tali condizioni deve essere fatto un profondo sforzo per continuare a lavorare in un contesto mutato, ognuno sostenuto solo dai propri ideali, visto che quelli del Capo sono improvvisamente cambiati e non contemplano più quello che sembrava essere l’interesse primario fino a poco tempo prima: la vita del suo reparto.
Certo lo spirito di corpo resterà e sarà compito di tutti i colleghi più anziani essere ancora di più responsabili e fare da riferimento ai più giovani, minimizzare la perdita e fare considerare che la giornata va avanti lo stesso, i pazienti aspettano e i loro problemi dovranno comunque essere in qualche modo risolti.
In questi momenti ci si mette tutti alla prova, in una forma diversa, nella ricerca di una ulteriore crescita personale, nel mantenimento della propria autostima, cosa fondamentale, e della capacità di essere autonomi nella eterna ricerca dei propri limiti, magari scoprendo che possono essere anche superati, sempre nel fine ultimo della sicurezza delle cure nei confronti dei pazienti.
Si progredisce anche così, nella maniera più dura.
Giovanni Leoni Segretario CIMO Veneto