12 settembre -
Gentile Direttore,ormai è un argomento dei nostri tempi, ossia il fatto che sono in tanti, a volte troppi, coloro che sono chiamati ad occuparsi di temi e di argomenti che non conoscono a fondo. E ciò avviene in molti settori, ma quando questo si verifica in un campo delicato come quello della salute, della malattia, della cura e della professionalità di chi si prende cura delle persone, ebbene, questo deve preoccupare.
Ci riferiamo e riprendiamo il tema affrontato su queste pagine pochi giorni fa dal Dott. Francesco Falli, Presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche della Provincia di La Spezia, che ha definito “impressionante” la proposta di legge finalizzata alla istituzione della figura professionale dell’assistente per la salute.
Leggendo il testo del disegno di legge di iniziativa del deputato De Palma le perplessità che sorgono sono davvero tante, a partire dall’affermazione che l’assistente per la salute sarebbe una figura che dovrebbe permettere, tra le altre, di risolvere il problema della carenza infermieristica. L’ennesima ricetta magica. Come a dire: siccome mancano i Medici di Medicina Generale, creiamo una figura diversa, a cui attribuiamo competenze mediche “di base” e facciamo in modo che svolga le funzioni mediche di “primo livello”, in modo da risolvere il problema.
Qualcosa non torna. Perché nella proposta di legge in questione, come afferma Francesco Falli, si fa largo uso del “copia e incolla”. Prendiamo un po’ di competenze infermieristiche, un po’ di attribuzioni riconosciute all’OSS, inseriamo alcune mansioni del vecchio infermiere generico e creiamo un profilo che rischia di creare più problemi di quanti ne vuole risolvere. Come dire: è peggio la pezza del buco. E così viene fuori la figura dell’assistente per la salute. Che non potrà (mai) essere un professionista sanitario, visto il divieto in tal senso posto dall’art. 5 della Legge n. 43/2006. E quindi rientrerà nella cerchia delle professioni sociosanitarie, come individuate dall’art. 5 della L. n. 3/2018, che già ricomprende l’operatore socio sanitario. Ma abbiamo bisogno di sanitari! Invece, il rischio, è quello di trovarsi alla presenza di un ibrido, di una sorta di innesto disarmonico che pesca a piene mani tra vari profili e confuse attribuzioni. E infatti, nascono le “funzioni infermieristiche di primo livello”. Ci si chiede, allora, quali siano le “funzioni infermieristiche di primo livello”. Da una parte il D.M. 739 del 1994, ossia il “Regolamento concernente l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'infermiere” è chiaro nello stabilire che l’infermiere, e lui solo, è (l’unico) responsabile dell’assistenza generale infermieristica e nel declinare gli ambiti di intervento non è alcun riferimento al concetto di “funzioni infermieristiche di primo livello”. Perché, molto semplicemente, non esistono.
E “i bisogni primari”? Forse chi ha scritto la proposta intendeva riferirsi alla gerarchia dei bisogni creata dallo psicologo Abraham H. Maslow, che ha suddiviso tale gerarchia in cinque livelli? E quali sarebbero, allora, i primari? O ci si vuole riferire alle quattordici componenti individuate nella teoria dei bisogni di Virginia Henderson come basilari dell’assistenza infermieristica? O ancora si vuole far riferimento agli undici bisogni di assistenza infermieristica individuati all’interno del modello delle prestazioni elaborato da Marisa Canterelli? E dunque i primari a che numero si fermano? E la responsabilità? In caso di errore risponde l’infermiere o risponde l’assistente? Già, perché come la mettiamo con la legge Gelli Bianco, che fa riferimento (esclusivamente) alla responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie? L’assistente per la salute sarà soggetto alle ordinarie norme civili e penali in tema di responsabilità, ma non potrà invocare la legge n. 24 del 2017. E dunque, se l’assistente per la salute si occuperà della “somministrazione dei medicinali prescritti ed esecuzione dei trattamenti curativi su prescrizione del medico e, se del caso, sotto il suo controllo” in caso di errore, nei risponde lui, il medico o l’infermiere? Perché l’infermiere rimane sempre garante della corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico terapeutiche, secondo quanto stabilito dal profilo professionale, ossia il D.M. n. 739 del 1994.
La perplessità maggiore, poi, è quanto affermato nell’Allegato B, che elenca le competenze dell’assistente, laddove è scritto che l’assistente è responsabile dell’attività preventiva, curativa, palliativa ed educativa, come definite nell’ambito del percorso assistenziale infermieristico, proseguendo con la riproduzione (drammaticamente fedele) del profilo dell’infermiere. Insomma, un non infermiere ma che svolge funzioni infermieristiche. Con buona pace del delitto di abusivo esercizio di professione. Ma il problema non è solo e tanto giuridico. E’ anche organizzativo. Nel testo si legge che la figura nasce per “favorire i processi di miglioramento dell’organizzazione assistenziale e degli aspetti organizzativi e quelli clinici assistenziali, in un nuovo asset professionale”. Con quali modelli organizzativi e professionali? Da anni, studiamo la letteratura e sperimentiamo modelli dove possano emergere le competenze dell’infermiere nelle decisioni prese all’interno del processo assistenziale e la responsabilità sugli outcome. Distinguiamo i modelli concettuali, da quelli organizzativi e da quelli professionali, per poterci confrontare e decidere quali di questi sono i migliori per gli esiti che producono sulle persone assistite. Qui queste distinzioni non ci pare siano contemplate.
Infine, parliamo di accountability e responsibility, riferendoci, nel primo caso a una responsabilità sui risultati (dell’infermiere) e nel secondo, a una responsabilità operativa (dell’OSS, ad esempio). Come ci dovremmo regolare da ora in poi, se la figura fosse inserita nel panorma sanitario?
Giannantonio BarbieriAvvocato esperto di Diritto SanitarioAnnalisa Pennini PhD in Scienze Infermieristiche - Sociologa