Lettere al Direttore
Quattro cose da fare per riformare davvero la medicina generale
di Saverio Proia, Roberto PolilloGentile direttore,
ha sicuramente ragione Belleri nel mettere in luce la mancanza di coerente determinazione da parte del decisore pubblico per quanto riguarda la riforma delle cure primarie.
Le riforme non fatte
Non è questo il contesto per ripercorre per intero una lunga storia che inizia con il fallimento della legge Balduzzi che avrebbe dovuto "rifondare le cure primarie" come era solito dire il segretario pro tempore della fimmg Giacomo Milillo.
Basterà ricordare che gli ultimi ministri della sanità non hanno certo brillato nella loro opera riformatrice. Forse l'unico che avrebbe potuto per provenienza politico culturale provare ad essere innovativo era il ministro Roberto Speranza. Un'attesa delusa perché, aldilà del DM 77 strettamente integrato con la missione 6 del PNRR, non è stato fatto quanto sarebbe stato necessario per il personale sia in termini di finanziamento/reperimento della risorsa umana drammaticamente carente (anche se il ministro ha incrementato il numero di borse per il corso triennale) ma soprattutto né in termini di rimodulazione dello stato giuridico del personale.
Anzi su questo aspetto il livello di concordanza tra il ministro e i vertici della FIMMG ha registrato un indice decisamente superiore alla media.
Le ragioni per una radicale riforma della medicina di base
La medicina generale non funziona, come abbiamo più volte sostenuto, per una serie di motivi che è giusto richiamare a partire dai requisiti di accesso alla professione:
1) il percorso formativo per diventare MMG è decisamente inadeguato e ci colloca come fanalino di coda in Europa. È troppo breve, è poco formativo dal punto di vista clinico ed è impropriamente cogestito dai sindacati autonomi insieme alle regioni;
2) il mantenimento dello stato di libero professionista ha portato a un drammatico trade/off tra qualità professionale e carico burocratico;
Il MMG ha accettato il ruolo di gatekeeping della medicina amministrata, sobbarcandosi il crescente carico burocratico ma rinunciando al lavoro clinico pur di continuare a coltivare l'illusione di appartenere a quella medicina liberale di oltralpe. Uno scambio in cui hanno perso i fanti della professione e ne hanno tratto giovamento ufficiali e generali la cui carriera si è aperta al management degli organi di rappresentanza della professione e dell'ENPAM;
3) la transizione epidemiologica con il prevalere delle patologie croniche e della non autosufficienza richiede la costituzione di team multiprofessionali ( MMG, infermiere, psicologo, personale amministrativo, uso di tecnologia diagnostica solo ed esclusivamente con refertazione specialistica a remoto, consulenze di altri specialisti) irrealizzabile nello studio molecolare, due locali e servizio, tipico di molti studi di medicina generale
Solo le case della salute o della comunità possono garantire il setting organizzativo adeguato ad offrire tali servizi e impedire che il MMG precipiti nell'isolamento professionale e nella sensazione di impotenza operativa
4) Nella medicina moderna bisogna integrare l'intensività assistenziale delle strutture ospedaliere con l'estensività dei processi di cura a domicilio. Uscire dalla dicotomia ospedale/territorio è possibile solo rendendo interconnessi questi due mondi oggi separati. Una sfida non impossibile ma che necessita di due chiare assunzioni di responsabilità politica:
Roberto Polillo
Saverio Proia