Lettere al Direttore
Prendiamoci anche noi medici qualche responsabilità sulla crisi della sanità
di Pietro CavalliGentile direttore,
ad integrazione di quanto sostenuto da Ivan Cavicchi sulla catastrofe sanitaria imminente ed annunciata della sanità pubblica, varrebbe la pena di riflettere non solo sulle colpe e responsabilità di partiti, sindacati, governi, istituzioni, politica, amministratori (tutto vero, aggiungendo magari anche le politiche sanitarie regionali, piegate troppo spesso al dilettantismo e talvolta alla malafede dei politici locali), ma anche alla responsabilità dei medici e del personale del SSN.
Responsabilità forse minore rispetto a quelle già elencate e tuttavia sarebbe opportuno ricordare che in un esercito nel quale soldati ed ufficiali sono mandati al macello a seguito di scelte incomprensibili e talvolta scellerate, dove la strategia è la disfatta e la tattica è la decimazione, dove i comandanti non hanno alcuna idea di quello che dovrebbero fare e gli obiettivi sono quelli di favorire l’”avversario”, allora potrebbe essere giustificata non dico la diserzione, ma almeno una voce forte di protesta e di denuncia. Magari anche un’analisi.
Nulla di tutto questo: abbiamo obbedito senza fiatare a ordini deliranti, troppo spesso impegnati ad essere accolti nel “cerchio magico” dei Direttori Generali, contribuendo pertanto a selezionare una schiera di professionisti la cui unica vera dote è stata ed è l’obbedienza. Se è giusto quindi sollevare il velo pietoso che per troppo tempo abbiamo steso sull’azione dei nostri Sindacati e degli altri rappresentanti delle nostre categorie professionali, non andrebbe dimenticato anche il nostro ruolo, troppo spesso confinante con l’indifferenza e la rassegnazione.
Solo a mò di esempio cito Cremona, dove esiste un ospedale “vecchio” di cinquant’anni, un modello all’avanguardia quando fu costruito e destinato oggi ad essere sostituito da un nuovo edificio del quale nessuno ha ancora compreso il motivo e le funzioni, se non quelle di entusiasmare stakeholder, politici e categorie produttive. Una barca di soldi pubblici da spendere senza che nessuno pensi di impiegarli meglio, magari per porre un freno alla progressiva marginalizzazione della sanità pubblica, al personale sanitario malpagato, scarso e demotivato, ad una attività assistenziale in caduta libera, a liste d’attesa infinite, a mobilità in uscita non pervenuta, a dati di mortalità specifici allarmanti, a migrazione in massa verso il privato, oltre che ad una diffusa insoddisfazione dei dipendenti.
Nulla di nuovo, è certamente la stessa cosa in altre realtà pubbliche ed è quindi normale aspettarsi che sindacati e ordini professionali accettino senza alcuna riflessione/analisi/coinvolgimento le politiche sanitarie locali e regionali e si adeguino prontamente e passivamente al contesto. Meno comprensibile che gli attori principali dell’assistenza sanitaria pubblica si limitino ad un sommesso mugugno, senza cha alcuno manifesti pubblicamente le critiche e i dubbi che espone in privato.
Prendiamoci quindi, anche noi medici, la nostra parte di responsabilità per la catastrofe annunciata. Però potremmo anche riflettere sul fatto che persino Napoleone, nei suoi giorni migliori, nulla avrebbe potuto se i suoi veterani si fossero fermati prima della battaglia. Paragone del tutto improprio, certo, ma solo perché oggi non possiamo disporre di alcun condottiero, neppure di un onesto caporalmaggiore.
Pietro Cavalli
Medico