Lettere al Direttore
Se si condanna lo psichiatra per non avere la sfera di cristallo
di Andrea AngelozziGentile Direttore,
in un interessante articolo comparso recentemente su Quotidiano Sanità, lo psichiatra Marco Iannuzzi pone due esempi della inopportunità di una depenalizzazione della colpa medica. Il primo è il caso di concorso colposo in omicidio doloso per gravi negligenze/imprudenze/imperizie di un un medico che “rilasci a un paziente, sofferente di documentate e profonde turbe mentali, un certificato erroneo che abbia consentito a quel paziente di ottenere un porto d’armi, di acquistare un’arma da fuoco e di uccidere poi con quell’arma, in preda al delirio, delle persone”; e l’altro quello dei sanitari che avessero dimesso dal Pronto Soccorso, e rimandato a casa, un paziente che, “presentatosi in ospedale con dolori toracici e difficoltà respiratorie, all’esame elettrocardiografico e alle analisi ematochimiche aveva presentato segni parziali ma molto sospetti di un infarto miocardico acuto”, a cui consegue la morte. A sostegno della prima situazione vien citato il caso Tarasoff, negli USA.
In realtà i due esempi citati, a mio parere, non sono sovrapponibili.
Nel caso dei sanitari del Pronto Soccorso l’evento è conseguenza diretta del loro agire o non agire, mentre nel caso del paziente psichiatrico, al medico viene addebitato quello che sarà il paziente a fare, ritenendolo che questi agisca in conseguenza dell’operato del medico. Questo concetto nasce dalla posizione di garanzia ex art. 40 cp., secondo comma, per cui non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.
Sentenze della Cassazione, relative alla definizione del rischio consentito per la posizione di garanzia, hanno chiarito che il lavoro dello psichiatra consente dei margini di rischio ma, quando il rischio non è da considerarsi inevitabile e imprevedibile, anche lo psichiatra può rendersi colpevolmente responsabile dei pregiudizi subìti dal paziente o altri. Peraltro sempre sentenze della Cassazione chiariscono che il margine fra consentito e non consentito può essere definito solo a posteriori, rimesso al Giudice, sul caso concreto, con l'aiuto, nella maggior parte dei casi, degli esperti, al di là delle linee guida e dei protocolli.
Al di là anche di quanto afferma la L. 180/78 e della cultura che ha portato alla sua promulgazione, allo psichiatra compete di fatto una attività di protezione e controllo sul paziente. Sono ovvie le conseguenze di una tale visione su un uso del Trattamento Sanitario Obbligatorio che riprenda la pericolosità per sé e per gli altri propria della legge del 1904, come peraltro in fondo suggerito in alcune sentenze della Cassazione; come pure su atteggiamenti generalmente custodialistici che hanno fatto la storia del manicomio e che rappresentano sempre una comoda tentazione.
Ma non vorrei porre la questione sul piano ideologico, anche se potrebbe essere una buona opportunità per segnalare come la Legge 180/78 sia stata in realtà ampiamente riformata in questi anni, sotto gli occhi distratti degli psichiatri.
La porrei sul piano scientifico: la posizione di garanzia in questi casi presuppone che lo psichiatra sia in grado di prevedere comportamenti lesivi o autolesivi dei pazienti, e questo sulla base di quanto pensa la psichiatria popolare e di quanto spesso gli stessi psichiatri hanno avvalorato.
Il problema sorge soprattutto da una visione che privilegia aspetti esclusivamente personali in atti come il suicidio o l’omicidio, quando la letteratura scientifica mostra che molti altri fattori, di tipo situazionale, del tutto incontrollabili ed inconoscibili allo psichiatra, hanno un ruolo determinante. Di fatto, un attento esame della letteratura scientifica al riguardo ci toglie ogni illusione di previsione, come peraltro riportata nella bibliografia che riporto. Di fatto sul tema ci sono oltre a numerosissimi lavori specifici in ambito psichiatrico, anche numerosi testi generali sugli errori strutturali che inficiano questo tipo di predizioni, che vanno da Tetlock & Gardner (2015) fino a Kahneman (2011) ed al recente Kahneman, Sibony & Sustein (2021). Già molti anni or sono Strawson parlando delle capacità predittive della psichiatria segnalava che gli psichiatri fanno i clinici e non i paragnosti, ma che di fatto da essi si pretende questo.
Giustamente si potrebbe fare notare che essendo questa realtà ampiamente documentabile, non dovrebbe essere difficile in sede giudiziaria mostrare i limiti predittivi dello psichiatra, imputato della mancata protezione e controllo. Ma purtroppo, per tanti motivi, è difficile scardinare una visione popolare e poco fondata che dice il contrario e che condanna lo psichiatra per non avere la sfera di cristallo.
E credo che su questo bisognerebbe aprire una riflessione e trovare un meccanismo protettivo, non solo per il paziente, ma anche per lo psichiatria.
Andrea Angelozzi
Psichiatra
Note:
Angelozzi A. (2021). L’ipotesi dello spostamento nel suicidio: persona e situazione in psicopatologia. Psicoterapia e Scienze Umane, 55, 2: 247-264. DOI: 10.3280/PU2021-002004.
Angelozzi A. (2021). Problemi di previsione in psichiatria. Psicoterapia e Scienze Umane, 55, 4: 823-646. DOI: 10.3280/PU2021-004005.
Tetlock P.E. & Gardner D. (2015). Superforecasting: The Art and Science of Prediction: New York: Crown.
Kahneman D. (2011). Thinking, Fast and Slow. New York: Farrar, Straus and Giroux (trad. it.: Pensieri lenti e veloci. Milano: Mondadori, 2012).
Kahneman, Sibony & Sunstein (2021) Noise: A Flaw in Human Judgment. Boston: Little, Brown Spark (trad. it.: Rumore. Milano: DeAPlaneta, 2021).