Lettere al Direttore
Il fallimento delle politiche verso le professioni sanitarie
di Calogero SpadaGentile Direttore,
rispondo molto volentieri all’invito del Prof. Cavicchi, per porre l’accento su una questione che certamente viaggia parallelamente ai motivi da lui sintetizzati nella cronologia del nostro SSN, ove la prima lampante contraddizione è stata quella di essere passati quasi “improvvisamente” – nel 1978 – da un sistema Bismarkiano (le “mutue”) ad uno Beveridgiano (l’universalismo), sicuramente svelando dei motivi di perplessità intellettuale sull’Italia, che al di là della base politica di tale scelta, nel lungo periodo sembra brava a non far funzionare due sistemi che in realtà sono a capostipite di varie loro interpretazioni implementate da più stati in Europa e nel mondo, perfettamente tutt’ora funzionanti, comunque annoverate tra i dieci sistemi sanitari migliori d’Europa.
Un elemento fondamentale a questo duplice fallimento è stato la politica attuata verso le professioni sanitarie che – piaccia o no – costituiscono l’ineludibile ed insostituibile spina dorsale di ogni sistema-salute, tant’è che la questione dello human resource è quella ora più dibattuta, soprattutto dall’esperienza del covid-19; lezione forse complessivamente non compiutamente appresa.
E pur senza la necessità di sciorinare una rassegna dettagliata sulle tappe giuridiche (comprendenti ben oltre il «mezzo secolo» di Cavicchi, perché bisognerebbe almeno partire del regio decreto degli anni ’30 del secolo scorso) del percorso di crescita – prima ancora che di emancipazione – delle “altre” professioni al di fuori di quelle dei medici, è assai evidente che il mancato raggiungimento di uno status di veri “professionisti”, confrontabile e non sostitutivo – è indispensabile ribadirlo – di quello dei medici, è uno dei motivi, legati più a ragioni di mera ristrettezza culturale, per cui «le cose in sanità restano saldamente invarianti».
E non è nemmeno sempre vero, come si legge oggi, che «Senza i decreti attuativi le leggi rimangono sulla carta», così come non è vero che bisogna arrivare alle sentenze per capire la norma di legge; mi dispiace ancora una volta – penso sia la 20a qui – di dover citare la legge sulla radioprotezione dal 2000 in poi, il comma 566 della legge di stabilità 2015 e la sentenza n. 54/2015 della Consulta; norme che richiamandosi alla pesante eco degli epiteti lanciati dalle sigle sindacali dei medici di «apprendisti stregoni» e di «assalto alla diligenza», hanno ricacciato professionisti laureati dietro la lavagna con un comunque assai anacronistico ed ingiusto cappello d’asino (e relativo stipendio) come in nessun luogo d’Europa e del mondo.
È quindi più per via della medesima ristrettezza culturale – non per molto altro – che siamo così abituati a lasciare le leggi sulla carta al punto da rinunciare sia ad approfittare dei vantaggi, sia a contestare gli errori che pure le stesse propongono – che è solo una parte di un giustamente titolato «processo di negazione del diritto».
Non è stata una casualità se si sia giunti:
- all’assurdo che la stessa sentenza di Amato & co. del 2015 potesse essere, assai surrealmente, essa stessa anticostituzionale;
- al paradosso normativo sui consensi informati e sulle giustificazioni ed ottimizzazioni degli esami radiologici; competenze per niente “avanzate” o “specialistiche” del tutto gestibili dai non medici, di fatto mai gestite dai medici;
- al completo fallimento – decretato nell’anno appena trascorso – della riforma cui all’art. 33 della legge 214 del 2011, meglio nota con il nome di “Educazione Continua in Medicina” o “ECM” …
Ciò è accaduto perché nessuno (tra oltre 700.000 professionisti interessati + i loro rappresentanti sindacali e professionali) sia insorto contro codesti atti tipici di dominanza medico-forense.
Per quanto ai sindacati si è passati da un ruolo di onesta contrapposizione al “sistema” e di “rivendicazione operaia” ad una forma di “collaborazionismo” di stampo clientelare con il medesimo sistema, che ha rapidamente dilapidato ogni forma di protezioni così difficilmente conseguite, oggi poi diventate obiettivi di un “welfare aziendale” e di un “age menagement” nemmeno troppo decollati da almeno 20 anni a questa parte. Questo perché non si è scritto da nessuna parte nella legge che la contrattazione decentrata poteva e doveva soltanto migliorare le clausole dei contratti e mai peggiorarle.
In definitiva la di fatto mancata – a tutt’oggi – coerente e pragmatica ridefinizione delle competenze professionali dei sanitari, già oggetto dei tavoli tecnici Governo Regioni fin dal 15 dicembre 2011 resta una delle gravi pecche di diversi governi e relativi ministeri della Salute e dell’Università e della Ricerca.
Un elemento con cui invece non concordo affatto con Cavicchi è che «una storia delle incapacità in sanità nessuno fino ad ora ha avuto mai il coraggio di scriverla» … non è affatto vero: proprio in questa testata sono sempre molte le voci responsabili che coraggiosamente si sottraggono a quella ipocrisia collettiva che per paura o viltà ci impedisce di porci contro ogni andazzo successivamente sdoganato come metodo, magari anche declinato in elegante modalità forense, ma comunque espressione di quella «politica sciatta e ignorante», facendo divenire surreale tutto un panorama sanitario che, tra legge “Bossi Fini” – nota all’OECD già dal 2008 come legge sbagliata – ed altre similari amenità normative, giurisprudenziali e dottrinali, ha addirittura oggi condotto alle c.d. “donazioni in abbonamento” , vere raccolte fondi da 7, 9, fino ai 10 euro al mese, anche per contribuire alle spese sanitarie fuori sede … un vero out of pocket dell’out of pocket … direi che siamo pienamente nell’effetto finale – e catastrofico – della storia … Bismarkiana o Beveridgiana che si voglia.
«Pensiero di riforma» … riformare … cosa riformare … e cosa fare? Anzitutto dovremmo riformare le coscienze, le persone e soprattutto le responsabilità di chi è a vario titolo incaricato, nominato, scelto o selezionato. Al famoso “Chi fa che cosa” va sostituito il “Cosa deve fare chi deve farlo”.
Solo dopo vengono le scelte, anche di un qualsivoglia modello, che se ben conosciuto ed implementato può ben funzionare e che se invece è vilipendiato da ogni sorta di abuso mai funzionerà.
Perché non può essere non umano sbagliare, ma perseverare non può non essere diabolico.
Dott. Calogero Spada
TSRM – Dottore Magistrale