Lettere al Direttore
Aggressioni ai sanitari, no a soluzioni semplici per un problema complesso
di Federico DurbanoGentile Direttore,
faccio seguito alla lettera del collega Angelozzi, "Aggressioni ai sanitari. Siamo sicuri che gli interventi di de-escalation bastino?". Tutti sappiamo, anche se è passata un po' in sordina se non ex post, la recente ricorrenza della giornata contro le violenze agli operatori sanitari. In effetti non mi sembra che ne sia stata data grande rilevanza negli organi mass-mediatici. E questo elemento va esattamente nella direzione di quanto Angelozzi sostiene (e non in modo soggettivo, ma oggettivo): le campagne di informazione e sensibilizzazione universali non portano ai risultati sperati da chi le ha impostate. Questo per una serie di motivi che Angelozzi descrive e che non ripeto in quanto pienamente condivisibili.
Vorrei solo concentrarmi su un aspetto che Angelozzi non ha ulteriormente approfondito, ovvero quello del mito della de-escalation.
Personalmente da qualche lustro mi occupo di formazione finalizzata alla prevenzione dell'aggressività, sia a livello locale sia in convegni nazionali di settore. E in tutte le occasioni sostengo che la de-escalation è una tecnica relazionale che io polemicamente chiamo "buona educazione", caratterizzata dall'ascolto delle ragioni dell'altro, dalla non prevaricazione, dall'utilizzo di una comunicazione chiara e non confusiva, da un atteggiamento non punitivo e non impositivo, dall'utilizzo di messaggi verbali ma soprattutto non verbali (ricordo che più del 90% della comunicazione è non verbale...) coerenti con il messaggio che si vuole dare, eccetera eccetera. Richiamo, nei corsi, anche la ricca letteratura in merito, che sto certosinamente raccogliendo, che declina in maniera approfondita quali siano gli elementi fondamentali delle tecniche di de-escalation, quali siano i momenti migliori per applicarle (tutti dovremmo conoscere a memoria la curva dell'aggressività) e quando invece non è utile o addirittura dannosa, quali siano le modalità didattiche migliori per impostare un corso.
La stessa letteratura scientifica, non ultime alcune recenti posizioni sulla Cochrane, asserisce però che si tratta di tecniche non validate, basate solo su consenso degli esperti, quindi di forza delle evidenze meno che scarsa, per cui non sono mai stati fatti studi controllati (non dico randomizzati in doppio cieco, ma anche solo di banale esposizione / non esposizione).
Sempre la stessa letteratura scientifica (che spazia da riviste mediche a riviste di medicina del lavoro a riviste infermieristiche) dimostra che avere fatto un corso di de-escalation (con tutti i limiti descritti) non è assolutamente in grado di prevenire l'esposizione all'aggressione altrui: chi fa il corso è un operatore, chi aggredisce è un utente che il corso non l'ha fatto, quindi fare il corso non abbassa (logicamente) il tasso di rischio. Facendo i dovuti paragoni, essere vulcanologo non impedisce all'Etna di eruttare... Un altro limite dei corsi è che se devono essere fatti bene, coprendo tutti i pilastri necessari, sono corsi che comportano un impegno di tempo non indifferente, sia da parte dei docenti sia da parte dei discenti, che comportano anche applicazioni monitorate sul campo. Tempo che, purtroppo, non è così disponibile.
Purtroppo si cercano facili soluzioni di impatto e di immagine ad un problema complesso, che non è solo clinico e non è solo sociale, ma coinvolge numerose variabili che andrebbero conosciute e ulteriormente studiate (basti fare riferimento allo studio seminale dell'OMS del 2002 che a livello mondiale ha analizzato tutte le caratteristiche fondanti il comportamento aggressivo; oppure quello coevo ma ancora in atto della McArthur Foundation).
Allo studio dei fattori determinanti, fatto serenamente e senza troppi inquinamenti ideologici, devono però poi seguire i necessari correttivi: adeguati interventi architettonici, adeguato investimento nel personale (la prima raccomandazione che si fa nei corsi è "mai da soli", ma non sempre è possibile), adeguati protocolli comportamentali aziendali che siano realisticamente implementabili nelle singole realtà lavorative... correttivi che necessitano di investimenti.
Altrimenti si corre il rischio di creare false sicurezze (il mito della de-escalation è uno, ma anche quello dei posti di Polizia nei PS), e le false sicurezze producono più vittime di quello che si pensa. Oltre al fatto che anche in aula di giustizia ci verrà chiesto conto "se abbiamo correttamente adottato le tecniche di de-escalation per evitare quello che è avvenuto".
Dott. Federico Durbano
Direttore Dipartimento Salute Mentale e delle Dipendenze ASST Melegnano e della Martesana Lombardia