Lettere al Direttore
Quanta confusione sulla carenza dei medici
di Carlo Palermo e Giammaria LiuzziGentile Direttore,
molto si è discusso, durante la campagna elettorale e anche successivamente, sulla presunta carenza di professionisti medici specialisti e non. Le analisi avanzate in merito a questa criticità si sono rivelate molto distanti tra loro, addirittura divergenti: dal riconoscimento del problema con la proposta dell’eliminazione del numero programmato per l’accesso al corso di laurea in medicina al fine di dare una soluzione in prospettiva (ma solo tra 11/12 anni!!) fino ad arrivare alla negazione del problema stesso almeno per quanto riguarda gli specialisti ospedalieri, a nostro parere basando l’analisi su numerose incongruenze, omissioni ed errori di valutazione dei dati.
Si è fatto riferimento, in particolare, su un presunto dominio del nostro Paese nelle graduatorie europee relative al numero di medici in rapporto alla popolazione che praticano attivamente la professione.
Secondo i dati statistici riferiti all’anno 2020, in realtà, l’Italia (4,1 medici per mille abitanti) nella graduatoria Ocse, considerando solo i Paesi europei, si trova al 12° posto, poco al di sopra della media dei Paesi EU (3,8 per mille abitanti, con una media dei Paesi Ocse valutata al 3,6‰) e lontano dalle posizioni di vertice: Grecia (6,2‰, Austria (5,3‰), Portogallo (5‰), Norvegia (5‰).
L’Italia, invece, domina decisamente sulle altre nazioni relativamente all’invecchiamento dei medici ancora in attività. Infatti ben il 56% di questi ha più di 55 anni ed è prossimo al pensionamento, mentre in Gran Bretagna gli over 55 sono appena il 14% dei medici attivi (Oecd; Health Statistic, 2021). Insomma, abbiamo la popolazione medica più anziana al mondo, dotata certamente di grande esperienza clinica, ma è evidente che senza un adeguato turnover nei prossimi anni l’Italia rischia di precipitare nella graduatoria dei medici attivi per mille abitanti, diventando un Paese con una importante carenza rispetto alle medie europee di professionisti sanitari (quindi non solo infermieri ma anche medici) proprio nel pieno di una transizione demografica ed epidemiologica che richiederebbe il rafforzamento dei servizi sanitari.
Un dato che non viene considerato nei vari commenti è quello relativo all’andamento della dotazione di medici ospedalieri nel decennio che va dal 2009 al 2019, in pratica dall’anno di massima espansione delle dotazioni organiche di personale nel SSN, a ridosso della crisi economica del 2008, a quello antecedente alla crisi pandemica.
Mentre in Italia, a causa della spending review, in tale periodo si è avuta una contrazione di circa 5.000 unità di personale medico, in Francia e Germania vi è stato un incremento del 20-30%. Eppure, proprio la carenza di personale ha rappresentato uno dei motivi principali per cui il nostro SSN è arrivato indebolito e vulnerabile all’appuntamento con il COVID-19, penalizzato da anni di ridotto finanziamento, tagli dei posti letto, riduzione del personale e politiche che hanno inciso negativamente sulla tenuta dei servizi. La capacità del SSN di rispondere ai bisogni delle persone è stata progressivamente intaccata in misura tale da mettere in discussione quel diritto fondamentale alla salute sancito dall’ articolo 32 della Costituzione.
La stima che viene effettuata da molteplici istituzioni delle uscite dei medici dal SSN per raggiunti limiti di quiescenza nei prossimi anni è molto variabile: la Fiaso indica in 35.000 i pensionamenti nel periodo 2020/2024, il Centro Studi Sumai individua il numero in 28.125 nel periodo 2021/2025, l’Agenas calcola nel periodo 2022/2027 e con una età media di 65 anni, 29.000 unità in uscita.
Un dato ben superiore a quello degli infermieri (circa 21.000) pur essendo questi professionisti globalmente più numerosi nel SSN (260.000 contro 103.000 medici) ma con una età media meno problematica. Comunque, i criteri di pensionamento nel pubblico impiego sono molto articolati (quota 100/102; opzione donna; norme “Fornero” per la pensione “anticipata”; “vecchiaia” a 67 anni procrastinabile a 70 anni, senza considerare “totalizzazioni” e “cumuli” per quanto riguarda i contributi previdenziali) ed è molto difficoltoso individuare una età media attendibile di uscita dal lavoro a causa della estrema variabilità delle scelte individuali, per cui preferiamo indicare una stima più prudenziale riferendoci ad una età media di 67 anni e calcolando in circa 25.000 le uscite nel periodo 2023/2027.
I nostri dati derivano da una analisi del database Onaosi* relativamente ai medici contribuenti obbligatori al 31/12/2021 e dipendenti pubblici (aziende USL, aziende ospedaliere, Irccs). A questo numero è, però, da sommare quello legato alle dimissioni volontarie (la cosiddetta Great resignation) fenomeno che abbiamo analizzato in un recente lavoro riferito agli anni 2019/2020/2021 utilizzando il database Onaosi e il Conto Annuale dello Stato. Se il trend rimarrà invariato potremmo attenderci come minimo circa 10.000 dimissioni anticipate rispetto al raggiungimento dei criteri contributivi ed anagrafici per la pensione.
A questo punto, rispetto alle 35.000 uscite stimate nel quinquennio 2023/2027, dobbiamo chiederci quale sia la reale possibilità di sostituzione in base al numero di neo specialisti che si formeranno nello stesso quinquennio.
I contratti di formazione specialistica finanziati dallo Stato, dalle Regioni e dai privati dal 2018 al 2022 sono esattamente 64.537 (Osservatorio Nazionale Specializzazioni). Ovviamente non tutti gli specializzandi arriveranno al traguardo. L’Agenas indica un abbandono intorno al 5%. I dati reali ci dicono come la percentuale sia ben superiore. Sono poche le specialità che presentano un tasso di conseguimento finale del titolo superiore al 90% (Ematologia; Ginecologia e Ostetricia; Malattie dell’Apparato Cardiovascolare; Nefrologia; Oftalmologia; Otorinolaringoiatria; Pediatria). Per le altre specialità le percentuali sono molto più basse collocandosi tra il 24 e l’81%.
Tra quelle più importanti ai fini dell’organizzazione ospedaliera, che rappresentano anche quelle con il maggior numero di contratti di formazione post-laurea destinati, indichiamo Anestesia e Rianimazione 63%; Medicina Interna 77%; Chirurgia Generale 55%; Medicina di Emergenza Urgenza 53%. Quindi è molto più attendibile una stima del 15% di abbandoni o mancata assegnazione dei contratti finanziati. In definitiva, saranno circa 54.850 i neo specialisti che effettivamente saranno formati.
Ma di questi, quanti accetteranno il rapporto di dipendenza nel sistema sanitario pubblico? Da più parti viene indicata una percentuale del 75%. Si tratta di una percentuale che risale a circa 12 anni addietro e che in passato anche noi abbiamo utilizzato nei nostri studi. Oggi le condizioni del mercato del lavoro in sanità sono totalmente mutate. Siamo in epoca di Great resignation, irrompono sul mercato del lavoro le Cooperative, i neo specialisti preferiscono emigrare all’estero per le migliori retribuzioni e la maggiore valorizzazione professionale, i concorsi negli ospedali vanno deserti e le specializzazioni più gettonate sono quelle che offrono possibilità di lavoro fuori dal SSN. Pensiamo, pertanto, che la disponibilità sia crollata e che si collochi tra il 50% e il 66%. Quindi solo uno specialista su due, o al massimo solo due su tre, accetterebbe oggi un lavoro nel SSN considerando retribuzioni attuali, carichi di lavoro e rischi professionali.
È verosimile che rispetto alle 35.000 uscite attese la possibilità di sostituzione oscilli tra 27.500 e 36.500. In definitiva, al massimo, potremmo garantire uno status quo e cioè un contesto organizzativo palesemente carente, come hanno evidenziato le criticità organizzative emerse durante l’epidemia e le liste d’attesa oramai valutabili in semestri, se non in anni, che si sono sviluppate dopo la pandemia per ricoveri ordinari, visite specialistiche, attività diagnostiche e interventi chirurgici in elezione.
Conclusioni
Il protrarsi del blocco delle assunzioni, interrompendo la regolare alimentazione dei ruoli, ha determinato l’innalzamento dell’età media del personale medico dipendente del SSN e rischia di precipitare in pochi anni l’Italia sotto la media dei Paesi Ocse (3,6‰) nel rapporto tra medici e popolazione. Il fenomeno della “gobba pensionistica” legato al picco di assunzioni nella fase successiva alla costituzione del SSN nel 1978 continuerà ad alimentare un importante esodo dal SSN anche nel quinquennio 2023/2027, soprattutto se valutato insieme a quello della “Great Resignation”. Tale fenomeno, sebbene riguardi tutto il personale sanitario, appare naturalmente più minaccioso per i profili professionali già carenti.
Tra le categorie più a rischio rientra senza ombra di dubbio quella dei medici specialisti del SSN, anche a causa delle dissennate politiche assunzionali durante la spending review, dei madornali errori nella programmazione della formazione post laurea tra il 2010 e il 2018 e del netto peggioramento delle condizioni di lavoro durante e dopo la pandemia.
Comunque, come riportato nella ricerca dell’Agenas, gli interventi limitati all’incremento dell’offerta formativa in altri paesi europei si sono rivelati parzialmente inefficaci. È cruciale allora rendere allettante il lavoro nell’ospedale e nei servizi territoriali del SSN per cercare di incrementare l’opzione in favore del SSN da parte dei neo specialisti. Si ritiene, pertanto, necessario abbinare all’attuale offerta formativa un sistema di incentivi e di valorizzazioni in grado di rendere attrattivo il lavoro medico nel SSN in termini di riconoscimento sociale ed economico, oltre che di ruolo all’interno delle aziende.
Anche perché solo attraverso un incremento della disponibilità ad essere assunti, e quindi con un incremento delle dotazioni organiche, si potranno migliorare quei carichi di lavoro oramai diventati insopportabili per molti operatori del SSN. Il medico oggi abbandona il SSN perché male retribuito, esposto a rischi di contenzioso medico-legale e perché le condizioni di lavoro sottraggono quel tempo che dovrebbe appartenere ad ogni essere umano per dedicarsi senza ostacoli ad una vita sociale e familiare fonte di felicità e piena realizzazione personale. La politica e i gestori della sanità a tutti i livelli dovrebbero capire che senza il “capitale umano”, gli ospedali diventano cattedrali nel deserto, i presìdi territoriali arredi del paesaggio urbano, i Livelli Essenziali di Assistenza una chimera.
Carlo Palermo
Presidente Nazionale Anaao Assomed
Giammaria Liuzzi
Responsabile Nazionale Settore Anaao Giovani
*Si ringrazia il Presidente del CdA dell’Onaosi Amedeo Bianco e lo staff tecnico della Direzione Generale per l’accesso ai dati.