Lettere al Direttore
Monkeypox e rischio in oftalmologia
Gentile Direttore,
un recente articolo appena apparso su The BMJ (Monkeypox: Virus DNA is widespread in treatment rooms, study finds ) richiama l’attenzione circa la sottovalutata diffusione nell’ambiente che deriverebbe da materiale biologico dei pazienti affetti dalla malattia data dal virus Monkeypox (MPX), nota come il Vaiolo delle scimmie [1].
Infatti, sono state trovate particelle virali attive dopo che è trascorso diverso tempo dal momento in cui il paziente ha soggiornato in un determinato ambiente.
I ricercatori hanno scoperto che il DNA virale circola ampiamente nell'aria, in ospedale e nelle stanze per trattamenti di isolamento, rappresentando così un rischio di trasmissione dell’infezione nelle comunità o negli ambienti domestici.
Dato che il virus si trova nelle particelle della pelle e fino al 50% della polvere domestica potrebbe contenere le cellule distaccatesi dalla superficie cutanea, si forma un aerosol quando la polvere viene mossa [2].
Per tale motivo, gli operatori sanitari che curano i pazienti con MPX dovrebbero utilizzare dispositivi di protezione individuale (DPI), disinfettare regolarmente le superfici che vengono toccate di frequente e praticare l'igiene delle mani per proteggersi, nonché sono auspicabili impianti di aereazione a pressione negativa [2].
In tale contesto epidemico e per altri numerosi agenti infettivi trasmissibili, è noto a tutti quanto siano a rischio alcuni settori delle attività mediche, es. specialisti come Odontoiatri, Otorinolaringoiatri, Oculisti, Pneumologi, ecc...
Di conseguenza, in questo ambito di attività medica si consiglia la necessita di ricorrere a cautele e protezioni, per quanto possibile: non solo le maschere respiratorie, occhiali protettivi, guanti, camici monouso ma anche aspiratori e ventilazione scrupolosa della sala visita tra ogni visita, disinfezione dell’ambiente e degli strumenti, anche se la persona appare in buona salute.
Purtroppo, talora si sente dire: “… abbiamo altro a cui pensare”.
La rara possibilità di trovarsi di fronte ad un paziente affetto da un agente patogeno a noi pressoché sconosciuto, ci induce a pensare che non conviene perdere tempo e risorse a considerarlo come un evento reale.
Poiché molte persone viaggiano rapidamente in varie regioni geografiche, è necessario prestare attenzione ai problemi delle malattie infettive trasmissibili, anche per quelle di rara frequenza nell'attività quotidiana.
L'MPX si presenta tipicamente clinicamente con febbre, eruzione cutanea e linfonodi ingrossati e può portare a una serie di complicazioni mediche: oltre la pelle, sono colpite anche le mucose orali (nel 70% dei casi), i genitali (30%) e le congiuntive (20%), così come la cornea. Il coinvolgimento oculare può essere complicato con risultati fino alla cecità [3,4].
Un recente articolo conferma che la malattia da Monkeypox talvolta manifesta un coinvolgimento oculare come prima sintomatologia, con il rischio che MPX non sia individuato correttamente [5]: si viene quindi a dedurre che anche gli oftalmologi potrebbero trovarsi di fronte un caso di MPX, verificandosi negli occhi i primi sintomi di insorgenza [6].
Poiché la visita oculistica avviene a distanza ravvicinata con il paziente, gli oftalmologi dovrebbero adottare misure di prevenzione efficaci, soprattutto per quadri di infezione che iniziano con un'infiammazione oculare (come congiuntivite, cheratite, uveite, ecc.) e possono poi sviluppare un quadro sistemico.
È necessario proteggere gli altri pazienti, dare istruzioni in caso di contatto accidentale con fluidi biologici e non trascurare un adeguato ricambio d'aria nelle stanze buie dove visitano gli oftalmologi.
Dr. Gianni Zuccheri
Medico Oculista
Bibliografia:
BMJ 2022; 379 doi: https://doi.org/10.1136/bmj.o2460 (Published 12 October 2022)
10.1093/cid/cit703. Epub 2013 Oct 24. Erratum in: Clin Infect Dis. 2014 Jun;58(12):1792. PMID: 24158414