Lettere al Direttore
Essere DSA non vuol dire avere meno opportunità rispetto agli altri
di Vita TarulliGentile Direttore,
prendendo atto dell’intervento del dott. Mengheri, peraltro corretto al livello di contenuto, in qualità di pedagogista specializzata sul sostegno nella scuola secondaria di secondo grado, premesso che la l. n. 170/2010 (che peraltro ha costituito il “core” di una mia discussione in sede di concorso pubblico) nel merito dei disturbi specifici di apprendimento denominati «DSA» che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma che possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana, così dettaglia:
- si intende per dislessia un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà nell'imparare a leggere, in particolare nella decifrazione dei segni linguistici, ovvero nella correttezza e nella rapidità della lettura;
- si intende per disgrafia un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nella realizzazione grafica;
- si intende per disortografia un disturbo specifico di scrittura che si manifesta in difficoltà nei processi linguistici di transcodifica;
- si intende per discalculia un disturbo specifico che si manifesta con una difficoltà negli automatismi del calcolo e dell'elaborazione dei numeri...
...e considerato che tali “disturbi” possono sussistere separatamente o insieme, molto spesso presentando una comorbità, ovvero una pluralità di ulteriori disturbi, come il disturbo del linguaggio o il disturbo del deficit di attenzione in presenza dell’ ADHD (disturbo dell’iperattività), e che essi possono avere difficoltà nell’ambito prassico, ossia nello svolgimento dei movimenti fini e nell’ambito visuo manuale, cioè nella coordinazione, vorrei precisare, che il Q.I dei DSA nella maggioranza dei casi non è solo perfettamente nella norma, ma è addirittura nettamente superiore.
Essere dei “DSA” pertanto non vuol dire avere meno opportunità rispetto agli altri; i disturbi di questi soggetti se riconosciuti ed opportunamente trattati con l’utilizzo di strumenti compensativi e materiali dispensativi, non ne limitano affatto la carriera scolastica, infatti questi studenti possono attendere normalmente e con profitto anche agli studi universitari.
Tale precisazione mi sembra dovuta, anche perché in questo modo si va a caratterizzare in modo forse più corretto ed esaustivo, in assenza di equivoci o intese discriminazioni, quanto espresso dallo psicoterapeuta.
Vita Tarulli
Educatrice professionale, Pedagogista e specializzata sul sostegno per la scuola secondaria di secondo grado della provincia di Bari