Lettere al Direttore
I rischi della comunicazione “a distanza” tra medico e paziente
di Stefano FalcinelliGentile Direttore,
in due recenti lettere ho scritto come l’esercizio professionale in medicina generale sia sempre più condizionato da un eccesso di burocrazia, che toglie tempo alla relazione di cura, e da un significativo aumento dell’utilizzo di strumenti digitali nella comunicazione medico paziente. Vorrei ora approfondire come questi due aspetti, che di fatto si frappongono tra medico e paziente, possono incidere sul tema della responsabilità professionale.
Nell’era della comunicazione digitale dei social network, accade con frequenza sempre maggiore che la comunicazione medico-paziente avvenga anche a distanza. Un’indagine dell’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità del Politecnico di Milano ha riportato addirittura come, il 42% dei medici utilizzi WhatsApp per comunicare con i propri pazienti e il 29%, pur non utilizzandolo attualmente, intende servirsi dell’app in futuro. Duplici le conseguenze, dovute da un lato al processo di allontanamento del medico e dall’altro all’emergere di nuovi profili di responsabilità professionale connessi all’impiego di mezzi di comunicazione digitale.
Il primo aspetto concerne la relazione a distanza, correlata all’impiego dei mezzi di comunicazione digitale, che può allontanare il medico dal paziente: il venire meno della relazione di cura incide sul ruolo del consenso nell’ambito del rapporto terapeutico.
Il medico, facendo uso dei sistemi telematici, non può sostituire la visita medica che si sostanzia nella relazione diretta con il paziente, con una relazione esclusivamente virtuale; può, invece, utilizzare gli strumenti di telemedicina per le attività di rilevazione o monitoraggio in remoto, dei parametri biologici e di sorveglianza clinica quali la gestione a distanza dei sintomi, la misurazione di parametri funzionali (saturimetria, temperatura), prescrizione di terapia (farmaci, dosi, posologie).
Gli indirizzi applicativi allegati all’art. 78 del Codice di Deontologia Medica (2014 e s.m.i) in tema di tecnologie informatiche prevedono al punto 6 che “Il medico, facendo uso dei sistemi telematici, non può sostituire la visita medica che si sostanzia nella relazione diretta con il paziente, con una relazione esclusivamente virtuale; può invece utilizzare gli strumenti di telemedicina per le attività di rilevazione o monitoraggio a distanza dei parametri biologici e di sorveglianza clinica”. Al punto 13 è ribadito che “in ogni caso, il consulto e le consulenze mediante le tecnologie informatiche della comunicazione “a distanza” devono rispettare tutte le norme deontologiche che regolano la relazione medico-persona assistita”.
Il secondo aspetto è relativo ai nuovi scenari di responsabilità sanitaria che si presentano nell’impiego di mezzi di comunicazione digitale.
Il messaggio WhatsApp o sms, ad esempio, può essere assimilato ad una comunicazione e-mail, ai sensi dell’art. 20, c. 1-bis, del D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale), secondo il quale «l’inidoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità». WhatsApp rende disponibili ai partecipanti alcune informazioni sensibili relative all’interlocutore, in particolare: immagine del profilo; messaggio di stato; ora dell’ultimo collegamento; situazione di stato.
In ambito penale, è ormai pacifico che i dati informatici già acquisiti dalla memoria del telefono in uso all’indagato (sms, messaggi WhatsApp, messaggi di posta «scaricati») siano idonei a costituire prove documentali. (Cass. pen., sez. V, Sentenza 21 novembre 2017, n. 1822).
La giurisprudenza civile aveva già richiamato il medico ai suoi doveri assistenziali “Responsabilità connessa alla mancata tempestiva diagnosi di una patologia imputabile alla negligenza del medico che abbia trascurato i segnali di pericolo lanciati dal paziente per telefono” (Cass. Civ. Sez. III sentenza 29-11-2010 n. 24143).
L’art. 2712 c.c. prevede che le riproduzioni meccaniche, fotografiche, informatiche (CAD) o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. L’art. 2719 c.c. dispone, inoltre, che le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta.
La giurisprudenza del lavoro si è pronunciata sul fatto che in mancanza di contestazione, da parte del destinatario, il messaggio non fosse integro, completo e adeguatamente leggibile, o che non desse certezza di provenire dalla persona fisica quale mittente, la modalità informatica di comunicazione di una qualsivoglia dichiarazione o volontà può in concreto ritenersi validamente munita del requisito della forma scritta. (Cort. App. Firenze, 5 luglio 2016).
Quindi alcuni suggerimenti:
Stefano Falcinelli
Presidente OMCeO Ravenna
Consigliere d’amministrazione ENPAM