Lettere al Direttore
Numero chiuso a medicina nella campagna elettorale
di Stefano MagnoneGentile Direttore,
come segretario regionale ANAAO di solito non intervengo su temi nazionali, ma quello del numero programmato a medicina e della carenza di medici specialisti e di medicina generale è un tema trasversale, sia nazionale che regionale.
E’ un tema da campagna elettorale, perché chiedere l’abolizione del numero programmato (più volgarmente detto chiuso) fa molto effetto sui 60 mila candidati che ogni anno tentano il test, le loro famiglie e l’opinione pubblica. Fa talmente presa che ogni giorno qualcuno, tendenzialmente zona Lega e dintorni, ne chiede l’abolizione. Gli ultimi in ordine di tempo sono stati Salvini e Zaia. Quest’ultimo vedendo i numeri di iscritti a Padova ha sentito il dovere di ricordare che non è con un quiz che si decide il valore di un medico ma con qualche esame in più fatto il primo anno tra cui statistica e chimica, oltre che fisica e informatica! Io pensavo e penso, invece, che per stabilire chi sia un bravo medico serve all’incirca un’intera vita. Pazienza, io non sono in campagna elettorale, loro sì, quindi possono liberamente sparare al bersaglio grosso rivendicando una totale libertà di dire ciò che più gli aggrada. Chiarisco che ho fatto il test di ingresso anche io, non sono così vecchio.
Per farla breve e dimostrare quanto siano in malafede queste posizioni (nella migliore delle ipotesi sono invece legate a ignoranza), le allego qualche grafico facilmente estrapolabile dai dati presenti sul sito OECD (OCSE in italiano).
La prima dimostrazione del fatto che in Italia non mancano medici viene dal tasso di laureati italiani, attraverso una serie storica comparata con alcuni paesi europei simili per dimensioni e struttura sociale (fig. 1). L’Italia è nettamente in testa e tra l’altro con un tasso in netta crescita negli ultimi anni, segno che l’aumento dei posti è già stato deciso e attuato. Prima conclusione: non servono più medici in Italia. Da notare i numeri nell’età della pletora medica (anni ’70 e ’80), quando l’Italia ha insegnato al mondo cosa non fare con la laurea in Medicina. Unico paese che si avvicina ai nostri tassi la Spagna.
Fig. 1 Laureati in medicina dal 1980 (fonte OCSE, numero laureati/100 mila abitanti)
Un’obiezione potrebbe essere che in Italia abbiamo molti medici, provenienti appunto dagli anni della pletora, e che questo elenco contiene anche i pensionati, medici anch’essi ma non praticanti la professione. Per ovviare a questa obiezione consideriamo allora (Fig. 2) i medici attualmente praticanti la professione.
Fig. 2 Medici praticanti (fonte OCSE, numero praticanti/1000 abitanti)
Dalla figura è facilmente verificabile che, anche tenendo conto dei soli medici praticanti, l’Italia è ottimamente messa rispetto anche alla Germania, spesso portata a esempio di virtù. La differenza tra il tasso italiano, 4.13 medici/1000 abitanti e quello tedesco di 4.53 medici/1000 abitanti, corrisponde a circa 2300 medici italiani in più. La media OCSE è 3.6 medici/1000 abitanti, quindi in Italia non mancano medici.
Se teniamo conto che questi dati sono relativi al 2021 e che nell’anno accademico 2018/2019 i posti a bando erano 9800, mentre proprio il 6 settembre ne verranno messi a bando quasi 15 mila, si capisce bene che i politici mentono o parlano di cose che non conoscono: abbiamo già corretto il gap rispetto alla Germania. Oppure chiariscano bene il rapporto tra un inesistente “diritto a provare medicina” e la seria possibilità di laurearsi per poi sfociare nella disoccupazione. È noto a tutti, infatti, che a partire dal 2026 le uscite per pensionamento crolleranno e chi sarà disponibile sul mercato nei prossimi 5-10 anni rischia di fare grande fatica a trovare lavoro. A meno che non si vogliano preparare medici per gli altri paesi europei.
Un’ultima notazione, a mio giudizio molto interessante. La composizione delle professioni sanitarie in Italia, cioè il rapporto tra numero di infermieri, ostetriche, fisioterapisti, ecc e il numero dei medici è certamente indicativo della modernità del sistema. In molti paesi, infatti, molti dei compiti richiesti dalla medicina moderna non sono appannaggio dei medici ma di altri professionisti della salute. Ciò non ha portato a insoddisfazione dell’utenza né a problemi sulla gestione dei problemi. Ha invece facilitato l’accesso alle cure e ridotto le liste d’attesa, soprattutto dei portatori di patologie minori e quelli bisognosi di follow up di routine, fornendo servizi della medesima qualità dei medici (fonte OCSE). I dati attualmente disponibili dimostrano che l’Italia ha una forte carenza di infermieri (Fig. 3), anche rispetto al numero di medici (Fig. 4). Con tutta probabilità è in quella direzione che va l’investimento maggiore per crescita, formazione e riforme di sistema.
Non credo che ai politici d’accatto interessino questi temi e questi numeri. Meglio proporre l’abolizione del numero programmato a Medicina che suona molto più suadente e porta più voti. Poi se tra 10 anni quei medici saranno disoccupati a chi importa?
Fig. 3 Infermieri praticanti (fonte OCSE, numero praticanti/1000 abitanti)
Fig. 4 rapporto tra infermieri e medici (Health at a glance, OCSE 2021, dati relativi al 2019)
Stefano Magnone
Segretario Regionale ANAAO-ASSOMED Lombardia