Lettere al Direttore
Medici in appalto
di Flavio CivitelliGentile Direttore,
medici a gettone e servizi appaltati alle cooperative. Una tendenza che svilisce la professione medica, eleva il rischio clinico ma, contrariamente a quanto sbandierano i giornali, non rappresenta un maggior costo per le aziende.
Uno degli argomenti preferiti dalla stampa in questo periodo è quello dei medici a partita IVA che, attraverso cooperative, girano l’Italia coprendo turni in modo spot nei vari ospedali della penisola.
Tale fenomeno, già ampiamente diffuso al Nord è stato rilanciato agli onori delle cronache dal ricorso, massiccio, deciso dalla Regione Calabria, di ricorrere a medici forniti da una cooperativa, ovviamente di stato, con sede a Cuba. Una sorta di ponte aereo che dovrebbe trasportare, a regime, ben 500 professionisti dal mar dei Caraibi al Mediterraneo.
La deriva del ricorso alle cooperative nasce per affrontare in modo emergenziale e occasionale transitorie carenze di personale, ovviamente i medici che lavorano in reparti a corto di risorse hanno salutato positivamente tali soluzioni per il respiro che danno ai pochi che ancora resistono nella trincea di un sistema ospedaliero che, da anni, sembra aver perso qualsiasi capacità progettuale e di programmazione. Purtroppo, negli anni, una risposta emergenziale è diventata prassi consolidata.
Secondo la logica del si salvi chi può ogni regione se non singola azienda, si arrangia per trovare soluzioni e arrivare a fine mesi con i turni coperti anche nelle sedi più improbabili, prive spesso del minimo indispensabile in termini di qualità del lavoro, ove nessuno vuole andare e i pochi medici presenti meditano la fuga verso lidi più tranquilli, come la medicina di famiglia che, attualmente, offre un buon numero di posti, un lavoro meno stressante, senza notti né festivi, e remunerazioni alle quali un ospedaliero non arriverà mai anche al culmine della carriera.
In tutto questo è necessario chiarire alcuni termini del problema. L’ordinamento legislativo nazionale ha imposto un tetto alla spesa del personale fissandola a quella del lontano 2004 ridotta dell’1,5%. Quanto sia illogica questa norma è evidente.
Un dipendente tra costi diretti e indiretti, il più importante è costituito dagli oneri previdenziali che incidono per un 30% sulla busta paga e per la stessa percentuale sulle casse dell’azienda, rendono comunque non così svantaggioso rivolgersi a contratti a partita IVA.
Si tratta di una pratica diffusa nel settore privato che ha preso ampiamente campo anche nel pubblico.
Settori come le pulizie, la lavanderia, la mensa sono da tempo affidate non a ditte esterne ma a cooperative di lavoratori che guadagnano solo se lavorano, sono privi di qualsiasi tutela compresa la pensione che senza o pochi contributi è destinata ad essere sempre più lontana e inconsistente.
Nessun governo, di destra o di sinistra ha mai posto l’attenzione su questo fenomeno che sta dilagando anche tra le corsie degli ospedali.
Di fatto il ricorso alle cooperative per coprire i turni dei medici (solo ospedalieri) taglia i costi del personale e semplifica l’amministrazione giuridica prevista per i dipendenti.
Se il costo del lavoro è oramai considerato insostenibile vanno poste le basi per riformarlo prima che il lavoro dipendente si estingua completamente.
Tra blocco delle spese del personale al 2004 (i costi per le cooperative vanno su altre voci di bilancio) e carenza di specialisti le condizioni per innescare lo smantellamento del gioiello di famiglia, il Sistema Sanitario Nazionale (oggi purtroppo regionalizzato) si sono pienamente realizzate.
Qualche passo è stato fatto per arginare il problema, Il decreto Calabria prevede la possibilità di anticipare l’assunzione in servizio degli specializzandi fin dal 3° anno di scuola, un modo per coprire il gap generazionale creato dal famoso, e irragionevole, imbuto formativo sviluppatosi in Italia. Una norma che il Governo e le Regioni non hanno avuto la forza di applicare appieno per la cavillosa opposizione di una parte del mondo accademico ancora legata ad una visione arcaica della formazione professionale e un non chiaro inquadramento in termini di ruolo e responsabilità per questi colleghi, una pignoleria che si dissolve quando si tratta di immettere nel sistema medici che si materializzano per un turno notturno per poi scomparire la mattina successiva.
Su questi temi sembra che nessun politico metta la testa a parte quelli che hanno fiancheggiato leggi e norme che, lungi dal risolvere i problemi economici della sanità pubblica, li hanno acuiti creando sacche di inefficienza e di rischio clinico insostenibili.
L’Anaao dice no a questa deriva, ci opporremo in tutte le sedi, politiche e giudiziarie laddove ne ricorrano i termini. Denunceremo le norme sbagliate, le Regioni e gli Enti che non rispettino quelle giuste e sosterremo il diritto ad un lavoro dignitoso e sicuro a tutti i medici Italiani.
La tutela della salute è un bene primario che va difeso ad ogni costo se vogliamo salvaguardare un diritto di civiltà che non può essere cestinato in pochi anni.
Flavio Civitelli
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed