23 giugno -
Gentile Direttore,
la cronaca sanitaria lombarda di questi giorni posto all’attenzione dell’opinione pubblica la supplenza degli infermieri in alcune attività dei medici di medicina generale. Le due figure professionali sono l’una complementare all’altra e si intrecciano nel tempo fornendo un servizio continuo e puntuale al letto del paziente. La carenza di figure mediche e un evoluzione tecnico- culturale del ruolo infermieristico hanno indotto a formulare il concetto secondo il quale è possibile la parziale sostituibilità del medico di medicina generale da parte dei professionisti sanitari infermieristici.
La velocità del pensiero ha concretizzato immediate prese di posizione:i due ordini, rappresentati dai rispettivi vertici hanno rinnovato la collaborazione integrativa e non invasiva finalizzata a ottimizzare i processi di diagnosi e cura a cui sono sottoposti i cittadini. La cronaca politica riferisce poi che la Regione Lombardia
ha specificato (
Quotidiano Sanità del 09/06/2022) che la supplenza degli infermieri professionali nei riguardi dei medici di medicina generale è solo di tipo organizzativa e non professionale indicando poi il modello delle case di comunità come paradigma di questa riassetto.
Le case di comunità sicuramente rappresentano un'innovazione organizzativa importantissima ma, sottotraccia e in modo produttivo, nell'ambito palliativistico si sono venuti a delineare profili professionali e ruoli organizzativi degli infermieri degni di nota e anche di essere valutati e analizzati come modello operativo. I professionisti in questione quotidianamente svolgono azioni terapeutiche, educative e organizzative.
L’infermiere palliativista domiciliare esprime la dignità di una professione che non deve essere vista come una serie di competenze reversibili in ambito medico ma uniche ed esclusive. Il palliative home care a tutt’oggi registra mancanze di formazione culturale dei caregiver, di preparazione e di educazione sanitaria. Queste lacune diverrebbero incolmabili se i dottori in infermieristica(perché così vanno qualificati) comincerebbero a tralasciarle per sostituirsi ai medici di medicina generale.
L’analisi del modello dell’infermiere palliativista domiciliare è irrinunciabile da parte di coloro che detengono il timone dell’organizzazione sanitaria. Se si osserva la quotidianità un equipe palliativistica territoriale si scoprirebbe l’affiatamento, la complementarietà tra medico, infermiere, operatore sociosanitario, assistente sociale, psicologo e fisioterapista che porta a quell’armonia assistenziale ideale per i pazienti.
In cure palliative domiciliari, in uno scenario estremo e drammatico di una dipartita prevista, gli infermieri si muovono tra le 4 mure domestiche sopperendo a tutte le carenze dovute alla depauperizzazione delle file mediche. Oltre a tutta l’assistenza vera e propria,essi svolgono un azione che diventa una chiave di volta nel sistema delle cure territoriali:l’educazione sanitaria del caregiver.
Ma non finisce qui, mantengono una comunicazione con il paziente recependo le sue necessità, organizzano in un angolo di casa un point of care, si fanno carico delle problematiche sociali, comunicano con tutti i medici coinvolti, organizzano i trasferimenti, le visite, effettuano consulenze infermieristiche, condividono quotidianamente con un debriefing le informazioni in modo tale che il paziente abbia al suo letto un professionista costantemente informato sulle sue esigenze. Vi pare poco?
Bruno Nicora Medico palliativista, Asl alessandria