Lettere al Direttore
La carenza di personale e come non ‘perdere’ i medici in età pensionabile
di Luciano CifaldiGentile Direttore,
negli Stati Uniti non sta passando inosservata una campagna di informazione, non limitata agli addetti ai lavori, che trae origine dal progressivo ed incessante aumento del numero dei medici di età superiore ai 65 anni. Il quesito principale è "How old is too old to work as a doctor?”.
Anche in Italia recentemente c’è chi ha sollevato il dibattito allo scopo di sopperire, seppur temporaneamente, alla carenza di medici specialisti. In effetti molte discipline sono in grande sofferenza per le motivazioni più varie che vanno dai pensionamenti, al numero non adeguato di borse di studio nelle specializzazioni, alla fuga all’estero dei nostri giovani e comunque alla fuga dal servizio sanitario nazionale.
In parte qualcosa si è mosso visto che, "per rispondere alle esigenze derivanti dall’emergenza sanitaria Covid-19 e stante la urgente ed inderogabile necessità di garantire la continuità assistenziale", sono stati fatti bandi di reclutamento per il conferimento di incarichi di lavoro autonomo a medici in pensione e a giovani medici laureati, abilitati ed iscritti agli ordini professionali.
La cosa che tuttavia ha destato non poche perplessità è stato un contestuale appello fatto al Governo da parte di un nutrito gruppo di direttori di struttura complessa. “Noi primari in età pensionabile, offriamo due anni al SSN senza stipendio”. Questo in sintesi era quanto dichiarato da medici pronti ad offrire esperienza e competenza rimanendo operativi al proprio posto per ulteriori due anni oltre il limite dei settanta.
Un appello forse interpretato come una richiesta per proseguire ad esercitare la potestà clinica e gestionale al di là del limite di età e del conseguente pensionamento.
L’esercizio della medicina è un continuo divenire: sacrifici, studi, passione, esperienza. Oggi potrebbe non bastare vista la crescente disaffezione verso questa professione, i rischi, la carenza di medici e le problematiche organizzative che questo comporta, l’aumento del contenzioso e, me lo lasci scrivere, gli atti di violenza nei confronti dei camici bianchi.
Personalmente ritengo che la questione non possa considerarsi chiusa e che si debba affrontare un doppio tema: a che età è giusto che un medico interrompa la propria attività? Quando un medico è troppo anziano ovvero, al contrario, rischia di essere ancora troppo giovane?
Agli esordi della mia carriera professionale sostituivo il mio medico di famiglia e la sala di attesa era piena di voci. Poi silenzio improvviso, lo studio si era svuotato perché non c’era il titolare ma “il sostituto, quello giovane”. Non poteva essere solo una fuga di fronte ad un medico agli esordi bensì una manifestazione di fiducia verso il medico titolare, anziano e pieno di esperienza. Quando gli feci osservare cosa stava accadendo mi rincuorò: è normale, vedrà che tra un po’ di tempo accadrà l’esatto contrario. Parole profetiche. Poi non proseguii nella attività della medicina generale per inseguire il mio sogno della medicina ospedaliera.
Ora, al di là delle intenzioni degli estensori dell’appello al Governo, e del modo forse non ottimale con cui è stato comunicato, è innegabile che il problema esiste e che si rischia in un colpo solo di perdere un enorme bagaglio di esperienza e di capacità professionali difficilmente recuperabili se non a pagamento nelle strutture private.
Una forte criticità nell’appello dei primari in età pensionabile ritengo fosse la richiesta di “rimanere al proprio posto”, richiesta letta come il tentativo di perpetuare se stessi ed il proprio ambito di influenza. Ben diversa sarebbe stata la lettura nel caso si fossero proposti come consulenti ma totalmente privi di compiti gestionali, dunque con la autorevolezza derivante dalla propria esperienza ma privi di autorità decisionale diretta. Forse avrebbero trovato molti insospettabili alleati e non ci sarebbe stato il mettersi di traverso anche da parte di quanti ambiscono contrattualmente a prenderne il posto.
Così modulato l’appello al Governo sarebbe stato interpretato, ritengo, come una vera e propria offerta di aiuto e non come una forma surrettizia per mantenere l’esercizio del potere gestionale. La proposta potrebbe avere ancora una sua validità laddove collocata nel giusto ambito delle regole contrattuali e per un arco temporale limitato.
Luciano Cifaldi
Oncologo medico