Lettere al Direttore
Monitoraggio fetale intrapartum, un paradigm shift sia nelle sale parto che in tribunale
di Salvatore PolitiGentile Direttore,
da quando la cardiotocografia (CTG) è stata introdotta nella pratica clinica a fine anni ’60 e successivamente adottata come gold standard per il monitoraggio del benessere fetale intrapartum, essa è diventata oggetto di dibattito, sia in àmbito clinico che medico-legale. La registrazione elettronica continua ha soppiantato, infatti, l’unica metodica utilizzata per secoli fino ad allora, e cioè l’auscultazione intermittente (AI) del battito cardiaco fetale. Mentre però la registrazione della AI faceva fede solo su quanto dichiarato dal ginecologo e dall’ostetrica che avevano assistito al parto, la CTG lascia invece una traccia permanente minuto-per-minuto del BCF durante tutto il corso del travaglio e che a distanza di anni può essere rivalutata.
La CTG rappresenta un “paradosso” della medicina moderna perché essa è stata introdotta nella pratica clinica prima che qualsiasi studio o ricerche scientifiche ne dimostrassero l’efficacia o meno per lo scopo per cui fu proposta e tutt’oggi utilizzata: cioè la riduzione della Paralisi Cerebrale Infantile (PCI). Inoltre, comparata all’AI, la CTG in travaglio non è associata a chiari miglioramenti né della mortalità perinatale e né della riduzione della PCI, mentre aumenta notevolmente il rischio relativo di parti operativi vaginali e l’incidenza dei TC.
Nel mondo Occidentale, nonostante l’utilizzo estensivo della CTG il tasso di PCI nei neonati a termine dopo la 35° settimana è rimasto pressocché invariato (circa 2 casi ogni 1000 nati vivi). Questo perché la suscettibilità genetica insieme a numerosi fattori ante- intra- e post-partum a carico della madre, della placenta e del feto possono concorrere nel causare un danno cerebrale neonatale permanente, e la loro esatta identificazione risulta spesso molto difficile.
Queste evidenze confutano “falso mito” della PCI causata primariamente dall’asfissia acuta intrapartum: infatti, proprio per la sua eziopatogenesi multifattoriale e l’eterogeneità delle manifestazioni cliniche, le cause che hanno portato allo sviluppo di una PCI spesso rimangono indeterminate e per questo non prevenibili né prevedibili. Allo stato dell’arte infatti, non esiste alcun test diagnostico prenatale specifico per la PCI.
La Letteratura scientifica non supporta quindi il parere diffuso, soprattutto in ambito medico-legale, che l’asfissia intrapartum possa essere riconosciuta in maniera facile e affidabile soltanto sulla base di segni clinici aspecifici quali le alterazioni del tracciato CTG. Il danno cerebrale che si realizza durante il parto può infatti rappresentare la slatentizzazione di una preesistente condizione patologica e quindi avere soltanto un «legame temporale» e non "causale" con l’insulto ipossico-ischemico del parto.
Ciononostante, una pletora di medici-legali e periti-consulenti asserisce ciò che le evidenze scientifiche hanno ampiamente dimostrato essere un’affermazione fallace e priva di fondamento scientifico: cioè riuscire ad identificare, basandosi sulle inaffidabili re-interpretazione ex-post dei tracciati CTG quando l’esito neonatale sfavorevole è noto, l’esatto momento in cui un parto più veloce avrebbe portato a un danno cerebrale inferiore o addirittura assente. Queste asserzioni sono confutate, oltre che dalla Letteratura, anche dai numeri: il tasso di TC da quando è stata introdotta la CTG è quasi sestuplicato (arrivando a circa 1/3 dei parti nei Paesi Occidentali) mentre quello della PCI a termine è rimasto pressocché invariato. Inoltre in Italia, così come nel mondo, le partorienti non vengono adeguatamente informate di questo aumentato rischio di TC (e relative complicanze nel breve e lungo periodo) senza prove di efficacia nella riduzione del danno neurologico neonatale, in violazione dei princìpi della Bioetica.
Il libro “Monitoraggio fetale intrapartum. Ricadute cliniche e medico-legali alla luce della giurisprudenza recente” (Piccin editore) prende spunto dalla sentenza n.26568/2019 della Corte di Cassazione -IV sezione penale - che ha sentenziato come il nesso di causalità tra la condotta di un medico e il danno lamentato dal paziente si deve identificare attraverso leggi scientifiche certe ed affidabili che devono rispettare i criteri giurisprudenziali americani di Daubert. Se tali requisiti non vengono rispettati, la prova o la teoria scientifica non possono essere ammesse al processo perché considerate “pseudo-scienza” o “junk science”. Tenuto conto dell’inaffidabilità delle reinterpretazioni ex-post dei tracciati CTG quando l’esito neonatale sfavorevole è noto e dell’elevato numero di falsi positivi (fino al 99%), la CTG non rispetta i criteri di Daubert e quindi non andrebbe utilizzata come prova tecnico-scientifica nei processi.
Al fine di cercare di risolvere definitivamente quel “nodo gordiano” clinico, etico e medico-legale che grava sull’assistenza ostetrica e la sorveglianza fetale intrapartum, è necessario pertanto un paradigm-shift sia nelle sale parto che nelle aule di tribunale. Da un lato si dovrebbe adottare una Nota Informatica o condividere un Consenso Informato con la paziente per spiegarle i limiti della CTG intrapartum nella prevenzione della PCI, al fine di rispettare gli indirizzi giurisprudenziali e bioetici, allo scopo di rendere più “consapevole” la partoriente e migliorare il rapporto fiduciario medico-paziente. Dall’altro lato, si dovrebbero bandire dalle aule di tribunale tutte le re-interpretazione ex-post dei tracciati CTG in quanto non rispettano i noti criteri giurisprudenziali americani di Daubert che impediscono l’adozione di quelle metodiche tecnico-scientifiche dimostratesi fallaci e tendenziose.
Per sopravvivere come strumento di monitoraggio del benessere fetale intrapartum, infine, la CTG necessita di una profonda riforma della sua definizione e interpretazione, passando da una schematica ma aspecifica pattern recognition verso un approccio individualizzato di interpretazione fisiopatologica.
Dott. Salvatore Politi
A.R.N.A.S. Garibaldi-Nesima di Catania
Dipartimento Materno-Infantile
U.O.C. Ginecologia e Ostetricia