27 gennaio -
Gentile Direttore,
la degenerazione maculare legata all’età e la retinopatia diabetica continuano ad essere tra le principali cause di cecità legale e di ipovisione nel mondo industrializzato. A causa del progressivo invecchiamento della popolazione la prevalenza globale della degenerazione maculare legata all’età aumenterà da 170 a 288 milioni di casi entro il 2040. Nel 2020 il numero globale di adulti con retinopatia diabetica è stato stimato in 103 milioni di casi. Entro il 2045 le proiezioni indicano un incremento a 160 milioni. Una stima del 2015 ha segnalato a livello globale 36 milioni di ciechi e 405 milioni di persone affette da difetti visivi.
A fronte di questo scenario francamente preoccupante si deve però segnalare anche qualche buona notizia. Un recente studio ha rilevato che la prevalenza, standardizzata per età, della cecità è diminuita di quasi il 30% tra il 1990 e il 2020. Questo risultato è legato all’uso diffuso dei farmaci biologici somministrati per via intra-vitreale nel trattamento delle maculopatie.
La terapia intra-vitreale, con farmaci di varia tipologia, è oramai il più frequente intervento eseguito in oculistica. Tale procedura rappresenta lo standard di cura non solo della degenerazione maculare legata all’età e dell’edema maculare diabetico (principale causa della perdita visiva nei soggetti con retinopatia diabetica), ma anche di altre patologie retiniche quali l’edema maculare secondario a trombosi venosa retinica e la maculopatia neovascolare miopica, che cumulativamente rappresentano le principali cause di cecità e ipovisione nei paesi industrializzati. La peculiarità di questo trattamento sta nella necessità di somministrazioni ripetute nel tempo, a intervalli adeguati, con conseguente significativo carico di lavoro da parte delle strutture eroganti, anche in considerazione dell’elevata incidenza annua di nuovi casi. Questo fattore, se non adeguatamente affrontato, potrebbe causare una limitazione all’accesso alle cure, laddove invece la tempestività della cura è fondamentale per il successo terapeutico.
Risultati clinici molto confortanti, come accennato, giungono da numerosi paesi nei quali il corretto utilizzo di questi farmaci ha permesso una significativa riduzione dei casi di cecità e di ipovisione. Già nel 2011 uno studio basato su un modello matematico aveva ipotizzato che l’uso sistematico di farmaci antiVEGF intravitreali nelle principali maculopatie avrebbe ridotto l’incidenza biennale della cecità legale del 72% e dell’ipovisione del 37%. Più recentemente in molti paesi, tra i quali Israele, Danimarca, Scozia, Corea del sud, Germania e Australia i casi di cecità legale da degenerazione maculare legata all’età e da edema maculare diabetico si sono di fatto dimezzati nel corso di un decennio.
Questi straordinari risultati sono la conseguenza non solo dell’introduzione dei farmaci intravitreali antiVEGF e del loro utilizzo ottimale, ma anche di una profonda riorganizzazione dei sistemi sanitari mediante l’applicazione di nuove strategie e modelli di assistenza. Gli esempi sono molteplici e spaziano dal ricorso a nuove tecnologie, a nuove modalità di rimborsabilità, a percorsi dedicati per i pazienti affetti dalle maculopatie. Tutte le esperienze internazionali testimoniano infatti che l’impatto di queste terapie innovative nel contesto di sistemi sanitari organizzati, con i giusti investimenti tecnologici e di personale, con adeguati sistemi informativi e registri degli indicatori di qualità e dei casi di cecità e ipovisione è sostanziale e in definitiva comporta una riduzione delle disabilità visive con ricadute rilevanti per l’intera collettività.
In questo scenario è doveroso chiedersi dove e come sia collocata l’Italia. Nonostante il nostro paese sia stato tra i primi a introdurre addirittura la rimborsabilità del farmaco antiVEGF bevacizumab, off-label e meno costoso, molti dati suggeriscono che non si sono verificati significativi progressi in termini di riduzione della cecità legale. Il rapporto OSMED 2019 sull’utilizzo dei farmaci in Italia ha evidenziato che per la degenerazione maculare legata all’età nel periodo 2013-2019 il numero medio di iniezioni intra-vitreali per occhio nel primo anno di trattamento sia stato pari a 3,5. Tale valore è di poco superiore al numero di iniezioni necessarie durante la sola prima fase (di attacco) della terapia nei primi due mesi di trattamento e ben lungi dal raggiungere il valore di 7-8 iniezioni nel primo anno, necessarie perché la terapia sia efficace nel migliorare o stabilizzare la vista.
Molti sono i fattori che hanno contribuito a questo insuccesso. Accanto a motivazioni organizzative, alla carenza di risorse tecnologiche e umane, alla mancanza di percorsi integrati che raccordino i centri ospedalieri e quelli territoriali, esistono anche cause amministrative che limitano l’accessibilità a questi trattamenti salva-vista. Ad esempio, secondo la normativa vigente questi farmaci andrebbero somministrati esclusivamente in ospedali ad alta specializzazione, senza che vi sia un vero razionale per questo obbligo che infatti, essendo demandato alle Regioni, viene da queste superato indicando in quasi tutte le Unità di Oculistica centri ad alta specializzazione. Ancor più, in Italia i farmaci intra-vitreali sono classificati con il codice OSP, ovvero “utilizzabili esclusivamente in ambiente ospedaliero o struttura ad esso assimilabile”. E’ proprio sulla definizione di assimilabilità che c’è un completo vuoto normativo che appare urgente colmare.
Sfortunatamente molte regioni interpretano questa classificazione in modo restrittivo imponendo appunto che le terapie intra-vitreali vengano somministrate solamente all’interno di strutture ospedaliere, quando anche strutture ambulatoriali extra-ospedaliere sarebbero certamente assimilabili, così come avviene a livello internazionale, dove il problema del setting chirurgico (ospedaliero o extra-ospedaliero) normativamente non esiste.
Sarebbe sufficiente definire con chiarezza i requisiti di idoneità specifica degli ambulatori chirurgici extra-ospedalieri al fine di definirne l’assimilabilità all’ambiente ospedaliero e quindi l’idoneità alla somministrazione dei famaci intra-vitreali nella piena sicurezza dei pazienti e degli operatori.
E’necessario peraltro sottolineare che né la procedura, né i farmaci in questione sono associati a effetti collaterali peri-operatori che ne richiedano la somministrazione in ambito strettamente ospedaliero.
Non da ultimo, la recente pandemia ha di fatto evidenziato che l’accesso e la permanenza nelle strutture ospedaliere debbano essere limitati ai casi che ne abbiano una reale necessità. La vigente normativa sanitaria è concorde sulla riorganizzazione dei percorsi di diagnosi e terapia privilegiando, laddove possibile, l’ambito ambulatoriale anziché quello ospedaliero. Ciò in virtù del fatto che molte delle prestazioni possono essere eseguite anche in strutture di chirurgia ambulatoriale extra-ospedaliere purché queste siano in grado di garantire i medesimi livelli di sicurezza e di qualità delle prestazioni (vedasi D.P.C.M.12/1/2017). Un esempio antesignano fu quello della regione Emilia Romagna che negli anni novanta sviluppò una rete territoriale per la chirurgia della cataratta, che allora aveva tempi di attesa inaccettabili all’interno di un sistema ancora basato sull’ospedalizzazione.
Complice la pandemia e in virtù dell’evoluzione che ha coinvolto l’oftalmologia più di altre discipline mediche, è dunque essenziale potenziare percorsi ambulatoriali extra-ospedalieri dedicati alla diagnostica e alle terapie intra-vitreali delle patologie retiniche. Il quadro normativo e applicativo italiano è quindi deficitario rispetto a quello degli altri paesi Europei e di altri continenti dove l’utilizzo dei farmaci intra-vitreali avviene di routine sia in ambito ospedaliero che extra-ospedaliero. In questo contesto la semplificazione delle modalità di somministrazione dei farmaci intra-vitreali costituirebbe un doveroso e significativo passo in avanti per rendere il sistema più adeguato alle esigenze sia dei pazienti che degli operatori sanitari. Confidiamo che questo appello possa venire prontamente accolto dal suo giornale e dalle istituzioni nell’interesse della salute dei nostri cittadini.
Edoardo Midena
Segretario generale
Per il Consiglio Direttivo Società Italiana della Retina