14 dicembre -
Gentile Direttore,
da notizie di stampa apprendiamo che l’On. Giorgia Meloni, al termine dell’incontro col Presidente del Consiglio Prof Mario Draghi, avrebbe dichiarato “A dicembre scadrà il contributo di solidarietà ai pensionati (over 100.000 € lordi/anno – ndr) molto, molto più fortunati di quelli che vanno in pensione oggi o dei giovani di domani: chiediamo che si reintroduca il contributo di solidarietà e abbiamo portato al Presidente Draghi la nostra storica proposta di ricalcolo delle pensioni retributive troppo alte per sanare la vergogna delle pensioni d’oro”.
Illustre Sig. Presidente del Consiglio e gentile On. Meloni, la presente per rammentarvi che dal 2000 a oggi il contributo di solidarietà è stato applicato per ben quattro trienni (12 anni su 20) nonostante la Consulta abbia più volte sentenziato “…il contributo sulle pensioni costituisce una misura del tutto eccezionale nel senso che non può essere ripetitivo e tradursi in un meccanismo di alimentazione del sistema della previdenza”.
Voglio precisare che, se il Paese è in difficoltà, a chi riceve una pensione elevata si possa richiedere un contributo eccezionale di solidarietà e limitato nel tempo a patto che tale contributo venga richiesto anche ai lavoratori attivi e ai cittadini con uguali introiti di qualsiasi tipo essi siano. Si tratta infatti di una vera e propria tassa, e le tasse debbono essere pagate da tutti i cittadini, non solo da una sola categoria, a norma di Costituzione.
Contributo di solidarietà definito da Dario di Vico come “slittamento lessicale che sostituisce la parola tassa”, ma che personalmente amo definire come “esproprio proletario di sovietica memoria”, che scaricato sulle pensioni over 100.000 € lordi/anno rastrella risorse tali da assomigliare, dal punto di vista del Bilancio dello Stato, a semplici briciole.
Siamo stati variamente definiti come “parassiti sociali” (termine molto usato, purtroppo in tempi abbastanza recenti della nostra storia che ci auguriamo definitivamente superati), “ladri di pensioni” e “più avari di Arpagone” da soggetti che mentono sapendo di mentire.
Siamo “Dirigenti pubblici e privati” che per oltre quarant’anni di vita lavorativa hanno versato contributi previdenziali per un importo, attualizzato alla data di cessazione del servizio attivo, da 1,8 milioni di euro a oltre 2 milioni, cifre che coprono abbondantemente l’entità delle pensioni in essere come più volte dimostrato dal Prof Alberto Brambilla, Presidente di “Itinerari Previdenziali”, nelle aule parlamentari in occasione della presentazione al Governo e alle Commissioni parlamentari dell’annuale “rapporto sul bilancio del sistema previdenziale”.
Siamo pensionati che contribuiscono abbondantemente ad assicurare a tutti i cittadini il pieno godimento di diritti fondamentali quali istruzione, sanità, assistenza sociale, etc. (da precisare che oltre il 50% dei 16,2 milioni di pensionati è parzialmente o totalmente assistito e che oltre il 50% dei 40 milioni di contribuenti italiani dichiara al Fisco “zero” o poco più: dati questi da terzo mondo e non da settima potenza industriale mondiale).
Siamo pensionati che sono andati in quiescenza nella certezza del rispetto del principio di “legittimo affidamento” ai sensi del quale quando si va in pensione si firma con lo Stato un vero e proprio contratto che non può essere disatteso da una delle parti contraenti. Pacta servanda sunt.
Siamo pensionati che continuano a pagare l’aliquota marginale massima dell’Irpef diversamente da quanto succede nei più importanti Paesi europei dove i pensionati godono di una fiscalità di favore e vengono detassati in rapporto all’età.
Si precisa, inoltre, che il ricalcolo delle pensioni retributive con il metodo contributivo proposto nel tempo da vari politici e caldeggiato dall’ex Presidente INPS, Prof Tito Boeri, il quale dovrebbe sapere che non è realizzabile per assoluta carenza di dati sicuri, soprattutto relativamente agli anni ‘60 e ’70, in quanto il ricalcolo contributivo non può prescindere dalla conoscenza analitica dei contributi versati durante l’intera attività lavorativa.
Si tratta di soggetti i quali da anni sono accecati da anacronistiche ideologie di ispirazione catto-comunista che vorrebbero trasferire risorse previdenziali da chi le pensioni le ha maturate e meritate (sia per le alte funzioni svolte che per i contributi versati) a chi gode oggi di pensioni senza, o con una insufficiente base contributiva, ancora una volta confondendo assistenza e previdenza, i cui bilanci non sarebbero in sofferenza senza il peso improprio dei carichi di natura assistenziale che devono essere sostenuti dalla fiscalità generale ai sensi dell’art. 53 della Costituzione. Separazione già prevista dalla Legge 88/1989 e dalla Legge 335/1995.
Ricordiamo infine che, qualora il maxiemendamento alla Legge di Bilancio 2022 contenesse un comma che rinnovi un contributo di solidarietà a carico dei soliti tartassati, la Feder.S.P.eV. e le Associazioni a essa collegate, si attiveranno per invitare tutti i nostri iscritti, i loro parenti e i loro amici, a non votare per tutti quei partiti che saranno complici di questa reiterata ingiustizia.
Noi non staremo zitti e tranquilli. Sappiamo, però, come agire per tutelare i nostri diritti pensionistici frutto di decenni di lavoro e di contributi.
Torniamo, quindi, a chiedere ai politici di incontrarci per spiegare, cifre e tabelle alla mano, la correttezza delle nostre idee e delle nostre legittime pensioni.
Prof. Michele Poerio
Presidente Nazionale Feder.S.P.eV. e Segretario Generale CONFEDIR