Il Tar del Friuli Venezia-Giulia ha giudicato inammissibile il ricorso di un’infermiera non vaccinata nei confronti dell’Opi di Pordenone che l’aveva sospesa. Si tratta, per quanto noto, della prima pronuncia presentata nell’ambito della sospensione del personale sanitario non vaccinato nei confronti dell’Ordine delle professioni infermieristiche e non contro le Aziende sanitarie.
I giudici amministrativi, del resto, evidenziano come la sospensione dall’Albo professionale sia una conseguenza di provvedimento precedentemente preso dalla Asl dove la ricorrente lavora. Quella dell’Opi, si legge nella sentenza, è una “mera comunicazione dell’intervenuto accertamento dell’inadempimento all’obbligo vaccinale, compiuto dall’Azienda sanitaria, e delle relative conseguenze giuridiche”. “Ne consegue - spiega il Tar - che, proprio in quanto comunicazione, l’atto non produce effetti giuridici ulteriori e diversi rispetto a quello comunicato, l’unico suscettibile di impugnazione in sede giurisdizionale”. Il ricorso contro l’Opi è, dunque, per il Tar, “carente di interesse”.
I giudici tuttavia stigmatizzano “l’irritualità del modus procedendi seguito dall’Ordine delle professioni infermieristiche” di Pordenone, che “ha ritenuto di adottare una propria delibera collegiale di presa d’atto dell’accertamento operato dall’Azienda sanitaria, con rinnovata dichiarazione degli effetti sospensivi già integralmente determinatisi ex lege”. Per il Tar, infatti, “la scelta di una forma sovrabbondante, pur non incidendo sulla validità e sugli effetti dell’atto (…) né quindi sulla necessità e possibilità di impugnarlo”, oltre a “non rispondere a criteri di economicità dell’azione, può effettivamente ingenerare nel destinatario l’erronea convinzione che si tratti di un provvedimento in senso proprio, avente effetti ulteriori e distinti rispetto a quelli derivanti ex lege dall’accertamento, così onerandolo ingiustamente della proposizione di un separato ricorso”.