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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lavoro e Professioni

L’istituzione del Direttore assistenziale non è altro che un’operazione di task shifting

di Ivan Cavicchi
immagine 26 luglio - Invece di aumentare i capi a cui assoggettare gli infermieri bisognerebbe ripensare gli infermieri e quindi il famigerato profilo professionale per permettere loro di essere autori tra autori. “Meno capi e più autori” e vedrete come si abbasserebbero i costi di transazione del sistema e come si alzerebbe la qualità delle sue performance.
L’Emilia Romagna, ha deciso di istituire motu proprio, con legge regionale, una nuova  figura professionale,  quella del “direttore assistenziale”, da non confondere  con “l’infermiere dirigente” che è altra cosa, riservandosi, probabilmente, di assegnare in via esclusiva questo incarico  alla professione infermieristica nonostante questa nuova figura dovrebbe  sovraintendere per funzione ben 22 professioni diverse tra le quali vi sono figure giuridicamente del tutto equivalenti alla figura dell’infermiere.

L’idea sembra semplice e lineare e, da quel che si legge, sembra addirittura avere un proprio razionale più o meno efficientistico, ma in realtà, a esaminarla meglio, ma soprattutto a contestualizzarla, anche politicamente, è più problematica di quello che si crede e quindi per niente scontata senza escludere che potrebbe essere una idea semplicemente sbagliata cioè una cavolata.

Tant’è, che, su questa proposta, come dimostra la discussione proprio su questo giornale è riemerso (nonostante la retorica   del “volemose bene” della pandemia) il vecchio conflitto mai sopito tra professioni, in particolare tra medici e infermieri, quindi i vecchi schieramenti che hanno accompagnato la guerra delle competenze, (comma 566) e la vecchia politica economicistica della task shifting.

Non è un caso che la proposta venga proprio dall’Emilia Romagna cioè dalla regione che è stata una dei più convinti driver della task shifting e il cui precedente assessore alla sanità per problemi proprio di task shifting ha subito una imbarazzante quanto controversa radiazione dall’albo professionale della professione di appartenenza.

Politicamente, ma anche tecnicamente, l’istituzione del direttore assistenziale non è altro che una operazione di task shifting e non come ha scritto ridicolmente qualcuno la ridiscussione del potere monocratico dell’azienda. Per favore evitiamo gli strafalcioni.
Per questo trovo penosi quegli interventi falsamente neutrali cioè quei tecnici che si schierano dalla parte di qualcuno ma che nello stesso tempo vogliono essere con le loro opinioni “tecnicamente” sopra le parti.

Fare finta che non esiste una guerra tra professioni, che non esiste una complicità tra il peggior corporativismo e le regioni che sognano la secessione, che non esiste la Fnopi (il vero committente della proposta emiliana), cioè che non esiste una teoresi precisa circa la “contendibilità dei ruoli”, mi fa sorridere mestamente.

Mi chiedo leggendo per esempio il contributo di Maffei come è possibile ignorare tutto ciò sgranare gli occhi con studiata meraviglia come Heidi che corre tra i prati menarcela con il PNRR e i suoi improbabili cambiamenti organizzativi e meravigliarsi stupiti che i sindacati medici si incazzino e dichiarino la loro “ovvia” contrarietà.
 
Un esempio di controriforma all’Emiliana
Ma in cosa consiste la proposta dell’Emilia Romagna? In pratica si tratta di aggiungere alla direzione strategica della azienda oltre al direttore sanitario e al direttore amministrativo una nuova figura ma che non è per niente ex nihilo ma che, al contrario, nasce facendo una doppia operazione chirurgica:
- togliere al direttore sanitario (figura medica) delle competenze per assegnarle ad una figura professionale sanitaria non medica
- separare in due direzioni distinte l’assistenza dalla clinica e da tutto il resto fino a scadere nelle dicotomie inutili “cura e care” cioè separando “cura” da “cura”
 
Apparentemente, come ci dicono i sostenitori di questa proposta, (a parte le imbarazzanti corbellerie sul  ridimensionamento del potere monocratico delle aziende) si tratta solo di cambiare la composizione della attuale idea di direzione strategica  delle aziende  ma sostanzialmente è ben altro  e molto di più, tanto di più da configurarsi  non come un atto riformatore, come ha sostenuto incautamente qualcuno ma, alla fine, come un vero e proprio atto contro-riformatore da parte  di una regione che per ragioni non proprio trasparenti, crede conveniente reinterpretare l’assetto normativo sui ruoli professionali in vigore.
 
Le contraddizioni tra legalità e legittimità
Il primo problema quindi che sorge non è tecnico come sostengono gli amici di Heidi, ma politico: l’Emilia Romagna può o no istituire la figura del direttore assistenziale?”

Se il “regionalismo differenziato” non fosse stato spazzato via dalla pandemia, quindi se fosse cambiata come auspicavano certe regioni, la normativa sulla titolarità dello stato circa la definizione giuridica delle professioni e la loro formazione, probabilmente la regione Emilia Romagna avrebbe un titolo in più per mettere in campo la sua idea di direttore assistenziale. Ma la normativa sulla definizione giuridica delle professioni è rimasta invariata. Per cui il proposito dell’Emilia Romagna rischierebbe di apparire se non un aperto abuso di potere quanto meno una forzatura nei confronti della vessata quaestio della legislazione concorrente. Se la task shifting è una reinterpretazione arbitraria delle norme esistenti e dei poteri dello Stato centrale, può una regione fare task shifting senza violare le norme?

L’Emilia Romagna ripropone quindi lo spinoso paradosso della legittimità senza legalità, come se la sanità con tutti i guai che ha avesse bisogno di altre rogne, altri conflitti, altri problemi.
   
Ma bastano le opinioni a ridiscutere le leggi?
La cosa che mi sconcerta in questa discussione è la fuffa spacciata per expertise, cioè l’opinione personale   anche ai alcuni autorevoli commentatori ma spacciata come verità giuridica o verità tecnica o verità organizzativa. Mi sconcerta che si pretenda di contro-riformare l’ordinamento sui setting professionali senza che vi sia una analisi sulla fattibilità, l’affidabilità e la plausibilità della proposta. Cioè mi sconcerta che le opinioni quindi i rapporti di forza, il consociativismo decidono di mettere le mani sulla nostra martoriata sanità.

Se il corporativismo come quello ben noto della Fnopi lo consideriamo una opinione e se basta l’opinione per istituire il direttore assistenziale allora l’obiettivo non dichiarato dall’ Emilia Romagna è assecondare nulla di più che degli appetiti corporativi per cui non serve conoscere indagare capire davvero come stanno le cose, i famosi pro e contro. Cioè se bastano le opinioni non serve discutere a fondo della questione.    
In effetti, fino ad ora, su questo giornale da parte dei sostenitori della proposta emiliana ho visto solo apologie tutte basate sulle opinioni, legittime sia chiaro, ma sempre opinioni che in quanto tali si scontrano inevitabilmente con altre opinioni. Per esempio con le mie.

E’ “mia” opinione, ad esempio, che l’analisi di Maffei che tenta maldestramente di legittimare la proposta emiliana con il PNRR, sia del tutto infondata perché è “mia” opinione che nel PNRR non vi siano i postulati per quel cambiamento che Maffei ritiene di vedere. Il PNRR come è stato dimostrato anche dal recente forum sugli ospedali non vuole riformare un bel niente ma solo potenziare a contraddizioni invarianti lo status quo.

E’ “mia” opinione che l’analisi del mio amico Proia (colui che per amore delle dicotomie inutili distingue cura da care spaccando in due lo stesso significato) quindi la sua opinione sia una argomentazione decisamente opportunista che pur di sfasciare il ruolo medico è disposto a sfasciare l’intero ordinamento. In tutta franchezza seguendo il ragionamento di Proia non capisco la ragione per la quale se in una azienda si fanno giornalmente migliaia di migliaia di peti non si debba istituire il direttore dei peti. Il ragionamento di Proia alla faccia dell’integrazione tra competenze, è quello vecchio del mansionarismo tayloristico a cui si rifà la sua teoria delle competenze avanzate e cioè far corrispondere a ciascuna funzione una direzione e quindi un direttore. Chiedo se esistono i peti allora perché escludere il direttore dei peti?  E allora perché non fare il direttore dei peti articolato per qualifiche?
 
L’analisi che servirebbe ma non esiste
Come analista indipendente, non mi sento né di rifiutare a priori la proposta dell’Emilia Romagna né però di accettarla fideisticamente a scatola chiusa e tanto meno di accettare che le opinioni siano contrabbandate per evidenze scientifiche. Al contrario pretendo un’istruttoria che fino ad ora nessuno ha fatto a partire dall’Emilia Romagna sulla sua fattibilità e una ricognizione su tutti i problemi che la proposta potrebbe causare.

L’assessore Donini in un comunicato ha detto che la proposta è stata valutata “sia sul piano giuridico sia in quello organizzativo ed economico” bene allora gli chiedo:
- quale metodologia ha usato per fare le sue valutazioni
- quindi quanto costa effettivamente questa operazione e se i costi direttore/direzioni valgono la spesa
- se è una operazione che si può fare di imperio o al contrario necessita quanto meno di un accordo con coloro che devono rinunciare a delle competenze.
- Se il direttore sanitario una volta che ha perso metà delle sue competenze perde anche metà del suo salario e quindi vorrei sapere quanto dovrebbe guadagnare un direttore assistenziale e quali sono i criteri per valutarne la retribuzione
- a quale teoria dell’organizzazione la proposta si riferisce, cioè se partecipa o no ad un progetto di ripensamento della gestione e capire in che modo.

Ho letto che “l’inserimento delle professioni infermieristiche nella direzione strategica aziendale potrà rafforzare la governance dei processi organizzativi, garantendo una più compiuta visione d’insieme, capace di valorizzare tutte le professionalità presenti, generando una maggior capacità di rispondere ai bisogni dei cittadini”. Vorrei capire come e se è così.

In più siccome tutti dicono, Fnopi in testa, che l’obiettivo del provvedimento è “valorizzare le professioni sanitarie” vorrei capire come questo provvedimento valorizza centinaia di migliaia di operatori cioè non si limiti a istituire una élite di raccomandati gestiti dalla consociazione Fnopi/Emilia Romagna lasciando indietro il grosso della truppa cioè lasciando centinaia di migliaia di operatori nelle peste.

Vorrei quindi capire se rispetto agli infermieri per esempio istituire un “padroncino” giovi veramente alla crescita di questa professione. E poi vorrei capire rifacendomi alla mia vecchia teoria della “coevoluzione” (ringrazio Troise per averla ricordata) come si concilia la valorizzazione di una professione con la svalutazione di un’altra professione. Cioè se per l’Emilia Romagna vale il criterio dei muratori “vuoto per pieno”. E poi siccome tutti danno per scontato che la proposta del direttore assistenziale sia una “opportunità oltre che per i professionisti anche per cittadini” (automatismo privo di ogni fondamento) vorrei capire meglio in che modo l’interesse corporativo coincide con l’interesse pubblico cioè perché ciò che fa comodo alla Fnopi automaticamente va a vantaggio del cittadino.
 
I rischi di transazioni incaute
Secondo l'economia dei costi di transazione (Coase Williamson) una azienda  a seconda di come si organizza  al suo interno e in particolare di come  definisce quelle regole formali che decidono procedure e meccanismi di funzionamento, quindi  la propria gerarchia gestionale, ha più o meno dei “costi” che in letteratura si definiscono di “transazione”. Secondo questo approccio la task shifting e in particolare l’istituzione del direttore assistenziale può essere considerata una “transazione” che si sostituisce ad un a altro tipo di “transazione” con dei costi correlati molto diversi.
 
I costi in questo caso non sono necessariamente quelli diretti cioè quelli ovvi per retribuire il direttore assistenziale e neanche solo quelli per organizzare una direzione (un direttore senza direzione non è un direttore) ma sono costi diffusi di vario tipo che riguardano le relazioni tra professioni, i tempi dell’organizzazione e la sua qualità complessiva. Cioè sono costi finanziari diretti costi finanziari indiretti.
 
Non credo o almeno non mi risulta che l’Emilia Romagna prima di istituire il direttore assistenziale abbia fatto una analisi dei costi di transazione di questa operazione. Spero di sbagliarmi. Questo vuol dire non solo che l’operazione direttore assistenziale potrebbe essere una marchetta al corporativismo della Fnopi ma che non possiamo escludere il rischio di fare una operazione che alla fine  retribuisce  il corporativismo  ma a danno del sistema sanitario e dell’interesse generale. Io non ho dati a parte le opinioni che ho letto su questo giornale di escludere con una ragionevole certezza questa possibilità.
 
La situazione è analoga a quella di quando fu introdotta nel 99, la figura dell’infermiere dirigente. Anche in questo caso l’adempimento di legge non fu accompagnato da nessuna analisi sui costi di transazione e ancora adesso mancano analisi transazionali che ci mettano in condizione di valutare come sia andata questa operazione. Tuttavia molto empiricamente sono anni che gli infermieri mi dicono che da quando è stata istituita la figura dell’infermiere dirigente le cose sono diventate più difficili, i rapporti si sono complicati e i tempi per la soluzione dei problemi si sono allungati non accorciati. Nel frattempo queste nuove figure a proposito di costi transazionali in molti casi sono diventate le prime vere controparti degli infermieri in trincea, dando luogo, in alcuni casi, a delle promiscuità inaccettabili come quelle che fanno coincidere la dirigenza con incarichi di rappresentanza di tipo ordinistico e in altri casi ad abusi di vario genere.
 
Manicheismo e mansionarismo
L’economia dei costi di transazione secondo i suoi promotori ci dovrebbe mettere in condizione di decidere se a livello di management  è meglio (più conveniente) investire in gerarchia inventando se fosse necessario financo i “direttori di peti” o al contrario se è meglio investire  in management diffuso , in una riforma della organizzazione e delle prassi  ripensando anche giuridicamente gli operatori in ballo  allo scopo di trasformarli coevolutivamente come ho proposto a più riprese  in “autori”  cioè in operatori che non sono tanto i direttori di se stessi ma che con le loro prassi partecipano responsabilmente al governo del sistema.
 
E’ del tutto evidente che se investo sui “capi” non investo sui sottoposti e che i sottoposti  resteranno assoggettati  fino alla morte.
 
Come è del tutto evidente che se faccio ricorso alla task shifting siccome i nuovi direttori non sono come dicevo ex nihilo alla fine  finisco per accrescere  le dicotomie e le divisioni complicando e complessificando una organizzazione che al contrario dovrebbe essere sempre più integrata sempre più dinamica e  più snella e sempre più partecipata .
 
Quindi finisco per accrescere e non diminuire i costi transazionali del sistema.
 
La distinzione “cura” da “care” (assonanze retoriche a parte) appartiene ad una mentalità manichea (lo stesso significato viene spaccato in due e i due significati anche se eguali sono distinti e contrapposti) ci ripropone inutilmente una dicotomia esasperata di cui non abbiamo nessun bisogno pratico.
 
Considerazioni conclusive
In attesa di avere da chi propone il direttore assistenziale puntuali analisi transazionali, sperando che si smetta di contrabbandare l’opinione con l’expertise, io so solo che oggi mentre buona parte della sanità chiede trasversalmente di ripensare le aziende, di restituire al lavoro il valore del capitale e la società rispetto  alle complessità del bisogno di cura ci chiede sempre più partecipazione, integrazione, cooperazione, multidiscipliniarietà, cioè  riforme vere, l’Emilia Romagna fa marchette corporative, rinforza l’azienda nel senso più deteriore, investe nella gerarchia perché evidentemente non ha alcuna fiducia nella capacità autoriali di chi lavora senza esitare contrappone tra loro le nostre categorie professionali creando per altro in una pandemia conflitti inutili e perniciosi.
 
Nello specifico la cosa che mi dispiace di più è la “patacca” che tanto la Fnopi che l’Emilia Romagna, con il direttore assistenziale vogliono appioppare all’intera categoria infermieristica e alle altre professioni sanitarie. Il corporativismo di élite cari amici infermieri non farà mai l’interesse della professione intesa come categoria ma solo quello controllabile di alcuni professionisti funzionali al mantenimento del potere corporativo stesso quindi di gradimento Fnopi.
 
Invece di aumentare i capi a cui assoggettare gli infermieri bisognerebbe ripensare gli infermieri e quindi il famigerato profilo professionale per permettere loro di essere autori tra autori.
 
“Meno capi e più autori” e vedrete come si abbasserebbero i costi di transazione del sistema e come si alzerebbe la qualità delle sue performance.
 
Ivan Cavicchi
26 luglio 2021
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