Nel nostro Paese operano circa 4mila Audioprotesisti all’interno di circa 1200 centri acustici, proseguiamo il nostro viaggio tra le professioni sanitarie che costituiscono la Fno Tsrm e Pstrp intervistando
Gianni Gruppioni.
Presidente Gruppioni, iniziamo dalla storia che caratterizza l'Audioprotesista.
Gli Audioprotesisti sono lavoratori che hanno attraversato quasi cento anni di storia italiana.
Non è semplice individuare un punto di partenza. Certamente non si può iniziare a parlare di Audioprotesista senza citare l’invenzione dell’apparecchio acustico avvenuta intorno agli anni ’20 del XX secolo, il nostro principale (ma non il solo!) strumento di lavoro. E poi le due Guerre Mondiali, che tra granate e bombe generarono numerosissimi invalidi da trauma acustico, portando forse per la prima volta all’attenzione delle istituzioni di allora il tema della sordità e della sua rimediazione. Dovettero passare molti anni, però, prima che il Ministero della Salute, con la circolare 7 del 1978 “Adozione nomenclatore tariffario per la fornitura delle protesi acustiche agli invalidi civili” prendesse atto dell’esistenza della figura professionale che si occupa di compensare i deficit uditivi mediante protesi acustiche, allora denominata “audioterapista”.
La portata di questa decisione è immensa: è da qui che ha iniziato a formarsi la nostra identità.
La nostra evoluzione non è soltanto l’espressione di un legislatore che, come un deus ex machina, compare ogni tanto sulla scena e stabilisce cosa siamo, cosa dobbiamo e cosa non possiamo fare: le norme hanno, nel tempo, “fotografato” l’evoluzione di questa strana figura professionale (prima audioterapista e poi Audioprotesista) che passava da un ambito strettamente commerciale ad uno sanitario, mutando nel frattempo il modello educativo dai corsi professionalizzanti al titolo universitario. E proprio come un album fotografico dobbiamo immaginarci questo racconto: l’Audioprotesista degli anni Cinquanta che prende confidenza con i primi apparecchi acustici a transistor, quello degli anni ‘80 con la valigetta da agente di commercio, quello del 1994 con il primo camice bianco, quello degli anni 2000 con il tocco di Laurea e quello di oggi, anno 2021, con il tesserino dell’Ordine professionale.
La storia dell’Audioprotesista non è il semplice combinato disposto del D.M. 668/94 (il nostro Decreto di riconoscimento professionale, per la verità ormai un po’ datato e da riformare), della legge 42/99, della legge 251/06 e della recentissima legge 3 che istituisce gli Ordini per tutte le professioni sanitarie, ma è una storia di donne e di uomini che, dagli anni ’60, hanno scelto volontariamente di darsi un percorso formativo presso la Facoltà di medicina e chirurgia e di lottare per la crescita della professione nella sanità. E che lo hanno fatto anche in prima persona: spesso si trattava di lavoratori già esercitanti la professione di Audioprotesista che, senza alcun obbligo, anticipando i tempi, si sono iscritti all’Università nonostante fossero già in possesso di un titolo abilitante.
Sono gli Audioprotesisti che, nel tempo e con grande sforzo, si sono evoluti fino a raggiungere uno status professionale inimmaginabile fino a poche decine di anni fa. Quando pensiamo a questi snodi storici (da venditore a sanitario, da professionista a laureato e oggi inserito nel nuovo Ordine delle professioni sanitarie) dobbiamo ricordarci che si tratta di cambiamenti vissuti, voluti e costruiti da centinaia di Audioprotesisti, che, trasformandosi in prima persona – loro sì, contribuendo alla crescita e allo sviluppo del settore – hanno trasformato la nostra professione.
E poi il 2000: con l’istituzione dei corsi di laurea in Tecniche audioprotesiche, l’Audioprotesista diventa dottore. Una trasformazione epocale. Anche qui il comparto si è dimostrato compatto, accettando la sfida. Ricordo che esistono realtà aziendali, nel nostro settore, per le quali qualsiasi aggiornamento della norma si riflette in vere e proprie rivoluzioni. I cambiamenti, anche se si rivelano positivi, prevedono sempre sforzo, specie se applicati su larga scala.
Per quantificare le dimensioni di questo comparto, può darci qualche numero?
In Italia operano più di 4mila Audioprotesisti all’interno di circa 1200 centri acustici. I nostri assistiti sono circa un milione e 750mila, ai quali vengono applicati, ogni anno, circa 450mila apparecchi acustici. Ogni anno 300 studenti si iscrivono ai corsi laurea in Tecniche audioprotesiche, abilitanti alla professione, organizzate da dodici Atenei italiani.
E i numeri sono destinati a crescere, perché l’Audioprotesista è il professionista sanitario di questa società: una società senescente – ricordo che l’ipoacusia colpisce maggiormente i soggetti anziani – in cui è decisivo garantire la qualità della vita durante la terza età. Anche per questo motivo i dati occupazionali relativi ai neolaureati in Tecniche audioprotesiche a un anno dalla laurea sono tra i migliori tra le professioni sanitarie, ben oltre l’85% da svariati anni.
Qual è il ruolo dell’Audioprotesista? In cosa consiste la sua attività?
L’Audioprotesista, abilitato dalla laurea triennale, è l’operatore sanitario che svolge attività di individuazione, erogazione, adattamento e controllo dei dispositivi audioprotesici per la prevenzione e correzione dei deficit uditivi. Tali dispositivi sono “scelti” dall’Audioprotesista a seguito di un preciso percorso di conoscenza e di fiducia con l’assistito ed “allestiti a misura” dell’assistito stesso. Oggi si inizia a parlare di medicina sartoriale: per noi è già così da decenni.
Ma l’Audioprotesista non è semplicemente un tecnico di prodotto: l’apparecchio acustico è il mezzo e non il fine delle sue attività! L’operato dell’Audioprotesista, infatti, si realizza attraverso interventi sanitari specifici, di natura preventiva, tecnico-riabilitativa e relazionale: è il punto di riferimento tecnico-sanitario per la rimediazione della sordità, sceglie e attua soluzioni uditive e riabilitative, effettua analisi predittive, verifiche audiologiche, disamina dei bisogni specifici della persona assistita; somministra prove di funzionalità valutativa protesica, prove di selezione, prove di regolazione ed applicazione di ausili acustici onde individuarne il più appropriato; utilizza, quale sanitario titolare delle relative competenze riservate, scienze tecnologiche avanzate, che prevedono l’uso aggiornato anche dell’informatica e delle nuove tecnologie per l’effettuazione ad personam della cura.
Sono atti propri della professione sanitaria dell’Audioprotesista, inoltre, l’educazione protesica dell’ipoacusico, il controllo continuo sull’efficacia dell’applicazione, la manutenzione dei dispositivi erogati per tutta la durata della funzionalità dei dispositivi stessi (mediamente cinque/dieci anni). L’Audioprotesista, infatti, interviene sulla correzione dell’ipoacusia, aumentando la funzione e compensandone le mancanze, non una tantum, bensì con un trattamento che va eseguito nel tempo, a titolo di assistenza necessariamente continuativa (esami dell’udito, verifica e rimessa a punto dei parametri di personalizzazione, cambio periodico dell’auricolare ecc.).
I dispositivi audioprotesici sono, quindi, “erogati su misura”, in quanto scelti (oltre che manutenuti) sulla base del deficit sensoriale e delle necessità, stile di vita del singolo assistito, previa effettuazione degli appositi test volti a determinarne il quadro audiologico ed a valutarne le esigenze di ascolto e qualità di vita.
E questo perché l’ipoacusia è una patologia di altissima complessità, e l’udito è il nostro principale canale di comunicazione. Le conseguenze di questo assunto sono inimmaginabili.
Oltre alle proprie problematiche intrinseche (difficoltà di comunicazione, complicazione dell’attività lavorativa, isolamento sociale), la sordità è spesso associata ad altre patologie, soprattutto demenza senile – le probabilità di svilupparla aumentano con l’aggravarsi dell’ipoacusia (Lin, 2011) e depressione – tra i soggetti ipoacusici, il rischio di soffrire di depressione è ridotto del 50% se vengono utilizzati apparecchi acustici (studio SHARE, 2011). Vari studi scientifici pubblicati negli ultimi anni dimostrano che una terapia audioprotesica professionale rende i soggetti ipoacusici molto più sani di quelli che scelgono di non sottoporsi ad alcun trattamento, per i quali crescono i rischi di demenza e di declino cognitivo. Altri studi documentano come l’assenza di terapia audioprotesica possa aumentare i rischi di psicosi e depressione, e persino di morte prematura.
Da un punto di vista più positivo, chi si sottopone ad una terapia audioprotesica professionale non subisce lo stesso declino cognitivo, vive in genere più a lungo e beneficia di una migliore qualità di vita, oltre a sentirsi meno depresso, meno stanco e a dormire meglio. Con conseguente riduzione dei costi socio-sanitari per lo Stato e per le famiglie. Ricerche e studi condotti in Europa e negli Stati Uniti hanno dimostrato che chi cura il proprio udito mantiene più stabile il proprio reddito ed è meno soggetto a licenziamenti o a pensionamenti prematuri rispetto a chi non sceglie una terapia professionale.
Mi permetta di citare un esempio su tutti. La ricerca “Ipoacusia autoriportata, apparecchi acustici e declino cognitivo nei soggetti anziani: uno studio lungo 25 anni”, pubblicato su
The American Geriatric Society,
Amiéva ed al. (2015), indica che coloro utilizzano apparecchi acustici applicati da un professionista sanitario hanno lo stesso declino cognitivo dei soggetti normoudenti, annullando così gli effetti nefasti della sordità!
Inoltre, l’ipoacusia può essere sintomo di malattie anche gravi. L’Audioprotesista, entrando a contatto con il soggetto ipoacusico e valutandone le condizioni audiologiche, è in grado di segnalare al medico, ad esempio, la presenza di quadri otoscopici dubbi o altri “campanelli d’allarme” per i quali si rendono necessarie indagini cliniche più approfondite.
Insomma: nella rimediazione dell’ipoacusia la figura dell’Audioprotesista è centrale, perché centrale è la personalizzazione degli apparecchi acustici nel raggiungere l’appropriatezza terapeutica. Questo principio non è stato salvaguardato nel Dpcm sui nuovi LEA, che ha collocato l’assistenza ai deboli d’udito e gli apparecchi acustici tra i dispositivi a bassa personalizzazione acquistabili tramite gare d’appalto ritenendoli dispositivi standard (uguali per tutti!), modalità che compromette seriamente la qualità delle nostre prestazioni sanitarie.
Mi pare di capire che questa sia una grave criticità…
Sì, è una criticità gravissima. L’acquisizione tramite gara d’appalto degli apparecchi acustici rappresenta, infatti, non solo a parere dell’Associazione di categoria e della Commissione d’albo nazionale che rappresento, ma anche secondo le Commissioni Affari Sociali della Camera ed Igiene e Sanità del Senato, Consip nonché numerose associazioni di persone assistite (FIADDA, FISH, Luca Coscioni), una modalità del tutto inappropriata per l’erogazione di assistenza audioprotesica agli aventi diritto.
L’erogazione di un apparecchio acustico, infatti, non si esaurisce nella consegna di un dispositivo (o della sua “messa in sicurezza” come prevederebbero i LEA) ma è un percorso sanitario altamente personalizzato del quale il dispositivo molto complesso destinato a bisogni ugualmente complessi è solo una parte: preponderante è la professionalità dell’Audioprotesista, come detto in precedenza.
L’apparecchio acustico non è un “dispositivo finito” ma, come previsto dal tuttora vigente Nomenclatore tariffario “predisposto” per poter essere allestito dall’Audioprotesista. Per questo non può essere standardizzato: è un dispositivo di cui non solo la personalizzazione ma anche la sua stessa scelta all’interno del parco di dispositivi disponibile è essenziale per il suo funzionamento. Acquisire uno stock di apparecchi acustici selezionati ex ante qualsiasi valutazione audiologica non permetterebbe in alcun modo di individuare il dispositivo corretto per il singolo né di personalizzarlo e adattarlo in base alle sue esigenze in base al suo quadro audiologico; personalizzazione che, per altro, non si esaurisce alla consegna del dispositivo ma deve essere mantenuta nel tempo, come evidenziato poco fa. Una vera emergenza sanitaria.
Approfondiamo il primo punto. Qual è stata la risposta istituzionale a questa discontinuità rispetto al vecchio sistema?
Le Commissioni competenti di Camera e Senato, durante le fasi di approvazione del Dpcm sui nuovi LEA hanno stabilito che venisse mantenuto il sistema tariffario per alcune tipologie di dispositivi, tra cui gli apparecchi acustici, al fine di garantire la massima personalizzazione e aderenza alle esigenze degli utenti, obiettivi difficilmente raggiungibili mediante procedure di gara. Questo orientamento è stato ribadito dalla Camera con gli Ordini del Giorno n. 345 e n. 420 pubblicati nel quadro dell’iter di approvazione del Bilancio dello Stato dell’anno 2020, che hanno richiesto formalmente al Governo di valutare l’opportunità di stabilire nell’ambito della Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA, il ritorno al sistema a tariffa e dunque nell’elenco 1 dei dispositivi acustici.
Una posizione analoga è stata da sempre sostenuta da Consip (ente che gestisce le pubbliche gare d’acquisto per il Ministero dell’economia delle finanze) e tuttora ribadita all’interno del documento “Linee Guida per la compilazione delle schede tecniche per la fornitura di prodotti e di servizi relativi agli ausili tecnici per persone disabili”, dove Consip non ha inserito alcun ausilio di serie che necessiti di alta personalizzazione, proprio come gli apparecchi acustici.
Parallelamente, le pochissime gare d’appalto per l’assistenza audioprotesica bandite da alcune amministrazioni per l’assistenza audioprotesica a partire dal 2017 (Regione Basilicata, Regione Piemonte ed ASL di Bari) sono state tutte annullate dalla giustizia amministrativa per la loro manifesta incoerenza formale e sostanziale. Nonostante tutto ciò, il ricollocamento degli apparecchi acustici all’interno dell’elenco 1, e quindi il ripristino del sistema tariffario, che dovrebbe essere attuato dalla “Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA e la promozione dell’appropriatezza nel Servizio Sanitario nazionale” non è mai avvenuto.
Il ritardo nel recepimento dei pareri di Camera e Senato in tempi utili ha originato, uno stallo in qualche caso problematico per le amministrazioni. Nell’ultimo periodo, tralasciando le criticità legate all’emergenza- Coronavirus, tutte le Regioni e le ASL stanno procedendo con l’erogazione di assistenza audioprotesica utilizzando il D.M. 332/99, strumento che, nonostante l’alto livello di perfettibilità e la naturale obsolescenza - il Decreto ha ormai più di vent’anni - rappresenta tuttora l’unico modello utilizzabile per la disciplina delle forniture di assistenza protesica.
Veniamo ora alla collocazione in ambito internazionale.
L’Audioprotesista è tra i pochi “hearing care professionals” laureati nel mondo. Possiamo affermare che, per storia e tradizione, l’audioprotesi italiana rappresenti un vero e proprio benchmark.
Nella comparazione internazionale, infatti, (su tutte cito le ricerche Censis “Il valore sociale dell’audioprotesi” del 2019 ed EUROTRAK 2018) i livelli di soddisfazione manifestati dagli utilizzatori di protesi acustiche pongono l’Italia al vertice della graduatoria di gradimento, seconda solo alla Francia (di un punto: 82% contro l’81%), ma davanti a Paesi come Germania, Olanda, Regno Unito e Danimarca.
Sempre relativamente al livello di soddisfazione, il dato sale all’86% tra coloro che hanno diritto al rimborso previsto dal Sistema sanitario nazionale, segno evidente della bontà del servizio che viene loro erogato.
Interessante notare come tutti i Paesi che conseguono i più alti valori di soddisfazione dell’assistito paziente si basino su un sistema di normative che poggia sui medesimi principi: libertà di scelta per la persona assistita, mercato competitivo, professione riconosciuta e regolamentata, grande facilità di accesso e, condizione fondamentale, un sistema di rimborso a tariffa.
Il mondo dell'Audioprotesista ha anche una propria rivista, giusto?
Sì, è “L’Audioprotesista”, la storica rivista tecnico-scientifica sull’udito fondata nel 1979 dall’associazione di categoria. Oggi la rivista è distribuita, oltre che digitalmente attraverso il sito e i canali social ufficiali, a più di 14mila addetti ai lavori tra Audioprotesisti, Audiometristi e Medici Specialisti.
Qual è il rapporto della categoria con l’Ordine TSRM e PSTRP?
Ottimo. E da professione in crescita e avvezza al miglioramento costante sin dagli anni ‘60, ci aspettiamo molto da questo nuovo maxi Ordine. Ma non con l’atteggiamento di chi resta a guardare, perché l’Ordine, la FNO, siamo noi, insieme ad altre 18 professioni. Se vogliamo “ricevere”, dobbiamo (e vogliamo!) prima di tutto “dare”.
Su questo punto mi permetta, in chiusura, qualche parola di elogio per la categoria che rappresento. Dopo quasi quattro anni possiamo dirlo: gli Audioprotesisti sono stati eccezionali nell’adempiere all’obbligo di iscrizione all’Ordine. Il 90% di essi si è iscritto nel primo anno di vita dell’albo.
Questa enorme percentuale non si sarebbe raggiunta, se non ci fosse stata una risposta piena e coscienziosa da parte degli Audioprotesisti, che ancora una volta hanno risposto presente alle richieste che la legge, in virtù dell’evoluzione del settore delle professioni sanitarie, ha loro presentato (negli ultimi 20 anni: equipollenza, Laurea, ECM…).
Lorenzo Proia
Leggi le interviste precedenti: Audiometristi (Cino); Perfusionisti (Scali); Tecnici di neurofisiopatologia (Broglia); Podologi (Cassano); Terapisti occupazionali (Della Gatta); Tecnici ortopedici (Guidi); Ortottisti (Intruglio); Tecnici della riabilitazione psichiatrica (Famulari)