Con gli incontri svoltisi il 15 giugno con la Federazione Nazionale Ipasvi prima e successivamente con i sindacati del Comparto Sanità (Cgil, Cisl, Uil, Fials, Fsi, Nursing Up) e i componenti del Ministero della Salute e delle Regioni del “Tavolo tecnico per l’implementazioni delle competenze sanitarie e per l’introduzione delle specializzazioni delle professioni sanitarie” sulla bozza di documento sull’evoluzione della professione infermieristica, si passa alla fase di redazione della proposta di documento finale da sottoporre e al ministro della Salute e agli assessori alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano-Bozen.
La proposta di documento finale terrà conto, è stato questo lo scopo della consultazione, sia delle osservazioni delle rappresentanze professionali e sindacali degli infermieri che di quelle dei medici e delle altre professioni sanitarie con l’obiettivo di sottoporlo all’esame della Conferenza Stato-Regioni di fine luglio.
In parallelo il Tavolo tecnico ha iniziato l’esame del primo gruppo di professioni sanitarie che si è convenuto di esaminare (tecnici sanitari di radiologia medica, fisioterapisti, ostetriche, tecnici di laboratorio biomedico, audiometristi ed audioprotesisti, questi ultimi due con l’obiettivo di ricomporli in un’unitaria professione) per pervenire, nel più breve tempo possibile, a redigere analoghe proposte con il coinvolgimento delle rappresentanze professionali e sindacali interessate.
Allo stato attuale lo strumento giuridico che si intende utilizzare è quello dell’Intesa tra il ministero della Salute e le Regioni, ma si stanno studiando altre possibilità, che dovrebbe prevedere tre parti:
la Relazione che inquadri il contesto normativo, di richiamo alla programmazione sanitaria e sociosanitaria, l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro in sanità e l’estensione delle buone pratiche, avviate sperimentalmente in alcune Regioni;
l’Intesa che inquadri come realizzare l’implementazione delle competenze della professione infermieristica e che rinvii ad una successiva con il Ministero dell’Università per adeguare a questi nuovi obiettivi tutti i corsi di studio universitari in infermieristica (laurea abilitante, laurea magistrale, master di primo e secondo livello);
l’elencazione delle nuove competenze che si propone di affidare all’infermiere oltre ed in aggiunta a quelle già di sua competenza in base alle leggi di riferimento (42/99, 251/00 e 43/06) e cioè i contenuti del DM del profilo professionale, dell’ordinamento didattico della laurea e del codice deontologico.
Quest’ultima parte, cioè le nuove competenze, dovrà essere intesa quale linee guida di riferimento per le Regioni e le Aziende/Istituzioni sanitarie (che saranno aggiornate periodicamente sia sulla base della verifica che dei nuovi bisogni sociosanitari che dell’evoluzione scientifica, tecnologica e dell’organizzazione del lavoro); si tratterebbe, quindi, di “consigli per l’uso” di Ministero e Regioni dopo di che la vera e completa attuazione di questo processo di ridistribuzione e di ricomposizione delle competenze tra professionisti della salute viene affidato ad un meccanismo istituzionale di ampia partecipazione professionale attraverso prima i provvedimenti attuativi di ciascuna Regione o Provincia Autonoma, che sulla base della specificità organizzativa e programmatoria decideranno come dar corso e poi ai concreti atti prodotti dalle Aziende e Istituzioni sanitarie, le quali, sulla base di protocolli concordati e condivisi tra infermieri, medici e le altre professioni, potranno attribuire e realizzare l’implementazione delle competenze infermieristiche.
E’ evidente che così delineato questo processo non può che essere il risultato della più ampia partecipazione dei professionisti coinvolti, ad iniziare da infermieri e medici, ma non solo, in particolare, poi, al livello regionale ma soprattutto in quello aziendale, partecipazione che sia in grado di dar corso a nuove e più avanzate relazioni funzionali interprofessionali in grado di accettare la sfida di costruire modelli organizzativi più adeguati ai bisogni di salute dei cittadini e alla nuova realtà formativa ed ordinamentale degli operatori.
La Federazione Ipasvi ha soprattutto evidenziato due questioni: la prima è quella della concretizzazione dell’articolo 6 della legge 43/06 che prevede l’articolazione dell’infermiere, come delle altre 21 professioni comprese in tale norma, in:
1. professionista
2. professionista specialista
3. professionista coordinatore
4. professionista dirigente.
Allo stato attuale il professionista specialista non ha avuto realizzazione né nei contratti né nella normativa contrattuale, di converso le università hanno attivato numerosi master clinici ed assistenziali slegati da una reale programmazione quanti - qualitativa.
L’istituzione di questa nuova articolazione del percorso di carriera dell’infermiere, come degli altri professionisti, non solo perché è una doverosa applicazione di una norma è condivisibile ma soprattutto perché è funzionale alla valorizzazione dei professionisti interessati con l’obiettivo di dar piena dignità alle due diversi sviluppi sia quello gestionale, consolidato e talora utilizzato impropriamente, che quello professionale, sinora sottostimato rispetto all’enorme potenzialità d’innovazione che contiene e che produce.
E’ questo l’altro obiettivo, oltre l’implementazione delle competenze, che sta alla base del mandato del Tavolo tecnico e che per la sua complessità prevede tempi diversi ed il coinvolgimento del titolare della formazione universitaria cioè il Miur.
Infatti una simile scelta, giusta e doverosa, prevederebbe che siano dal Ssn individuati quali master siano utili per il conseguimento della nuova articolazione professionale di infermiere specialista, che siano concordati tra Miur e ministro della Salute e Regioni i relativi ordinamenti didattici, che dalle Regioni siano date indicazioni programmatorie della presenza quanti - qualitativa degli infermieri specialisti negli organici delle Aziende sanitarie e che queste la prevedano nei propri atti nonché che siano individuate le modalità selettive per conseguire tale nuova articolazione professionale e che possa essere prevista l’adeguata collocazione normativa ed economica da parte della contrattazione collettiva.
Questa complessità non impedisce l’attivazione di questo processo, anzi lo stesso schema di intesa ministero della Salute e Regioni all’articolo 2 già lo annuncia prevedendo che con successivo provvedimento, d’intesa con il Miur, siano rivisti gli ordinamenti didattici di tutti i corsi di studio universitario in scienze infermieristiche (laurea abilitante, laurea magistrale, master di primo e secondo livello): è quella la sede nella quale dar corso all’attuazione di tale processo.
L’Ipasvi ed anche i Sindacati hanno poi posto la questione della sede della formazione: il documento del Tavolo tecnico conferma e condivide la scelta che la sede dell’alta formazione sia quella universitaria, diversa questione è la necessità che al fine di implementare le competenze dei professionisti, che non rientrino in quelle proprie dei professionisti specialisti, che prevedano la conoscenza e l’addestramento a tecniche nuove derivanti da scelte programmatorie ed organizzative aziendali e che coinvolgano l’intera linea di produzione di salute ospedaliera e distrettuale, possa esser prevista una formazione in competenze ed attività avanzate svolta dai Servizi Sanitari Regionali sulla base di programmi concordati a livello regionale.
Si tratterebbe di una formazione complementare e non specialistica, questa propria del livello universitario, che potrebbe vedere un auspicabile riconoscimento di crediti formativi per chi voglia conseguire un master specialistico nella medesima area nella quale abbia visto implementate le proprie competenze.
Da parte dei sindacati del comparto è stata posta la questione di come riuscire ad estendere in tutte le Regioni i nuovi modelli organizzativi che non siano circoscritti ai cosiddetti Servizi Sanitari Regionali virtuosi; è evidente che lo stesso provvedimento sull’implementazione delle competenze degli infermieri e delle altre professioni sanitarie, per la sua stessa natura, costituisce un volano per l’estensione delle buone pratiche in sanità , tuttavia se, sarà necessario, è auspicabile che si possa dar vita ad un’intesa a latere tra le parti con la quale delineare il percorso e le modalità con le quali possa esser promossa e facilitata l’attuazione estensiva e generalizzata di una più avanzata organizzazione del lavoro sanitario e sociosanitario.
Saverio Proia