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QS Edizioni - sabato 23 novembre 2024

Lavoro e Professioni

“Anche i farmacisti dovrebbero poter somministrare il vaccino antinfluenzale. I medici da soli non ce la possono fare”. Intervista al presidente della Fofi, Andrea Mandelli

immagine 1 settembre - "È impensabile che i medici di medicina generale riescano a dispensare in un mese 18 milioni di vaccini. Avevamo proposto allora, e continuiamo a proporre, che nelle farmacie si possa praticare l’immunizzazione antinfluenzale, sia da parte di altri professionisti sia da parte del farmacista stesso". E poi c'è il problema degli appovvigionamenti: "Quest’anno andranno al Ssn 18 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale, 6 milioni in più rispetto allo scorso anno, ma i farmacisti rischiano di restare senza approvvigionamenti perché all'appello mancano 1,5 milioni dosi".
La necessità di estendere la copertura antinfluenzale non soltanto a tutta la popolazione a rischio, e le difficoltà delle Aziende di garantire una produzione di vaccini tale che soddisfi la richiesta privata potrebbe penalizzare la distribuzione dei vaccini sul territorio. Ma non solo, c’è anche il problema di come risolvere l’esecuzione delle vaccinazioni. È impensabile che i medici di medicina generale riescano da soli nell’impresa. Eppure le alternative ci sono, basta guardare a quanto attuato in Inghilterra dove nell’ultima campagna circa 1,4 milioni di vaccinazioni antinfluenzali sono state erogate dalle farmacie. In questa intervista a tutto campo con il presidente della Fofi, Andrea Mandelli abbiamo approfondito questi e altri temi. Questioni al centro di un vertice oggi al ministero della Salute dal quale è arrivato l’impegno a risolvere al più presto la questione.
 
Presidente Mandelli, in questi giorni lei ha espresso le sue preoccupazioni sulla possibilità che per il vaccino antinfluenzale si riproponga lo stesso schema delle mascherine. Oggi c’è stato un vertice al ministro della Salute, vogliamo fare il punto e capire quali sono gli aspetti critici?
Il problema è che si raccomanda alla popolazione di immunizzarsi contro l’influenza anche al di là delle categorie a rischio, si crea una maggiore domanda da parte della collettività, ma poi a questa domanda si risponde solo in parte. Infatti l’aumento degli ordinativi da parte delle Regioni rende impossibile all’industria rifornire anche le farmacie. Quest’anno andranno al Ssn 18 milioni di dosi di vaccino antinfluenzale, 6 milioni in più rispetto allo scorso anno, ma i farmacisti rischiano di restare senza approvvigionamenti. Ed è grave perché è attraverso le farmacie che si rifornivano i cittadini che non appartenevano ai gruppi più esposti, chi voleva vaccinarsi in anticipo rispetto all’inizio delle campagne annuali e le aziende che offrono questa prestazione ai propri collaboratori. Si tratterebbe di circa 1,5 milioni di dosi che verranno a mancare, lasciando sguarnita una fascia della popolazione importante anche al fine di limitare la circolazione del virus.
Oggi al Ministero della Salute è stata percepita con chiarezza l’importanza delle nostre preoccupazioni: la questione va affrontata per evitare che si riproponga quanto avvenuto con il problema della carenza delle mascherine. La differenza però è che questa volta possiamo agire con anticipo. Il Ministero si è impegnato a trovare in tempi brevissimi una soluzione, nell’arco di una settimana dovremmo ricevere una risposta. In aggiunta a questo c’è poi il problema all’accesso alla prestazione.

Ossia…
L’aumento della domanda pone anche il problema dell’esecuzione delle vaccinazioni. Lo abbiamo visto anche con la reintroduzione dell’obbligo per alcune vaccinazioni dell’infanzia: le strutture normalmente deputate a questa funzione sono spesso entrate in crisi per il maggior afflusso. È impensabile che i medici di medicina generale riescano a dispensare in un mese 18 milioni di vaccini. Avevamo proposto allora, e continuiamo a proporre, che nelle farmacie si possa praticare l’immunizzazione antinfluenzale, sia da parte di altri professionisti sia da parte del farmacista stesso. È una realtà che ormai riguarda tantissimi paesi europei - solo per citarne alcuni, Regno Unito, Olanda, Francia, Portogallo e, più recentemente, Germania - e nella sola Inghilterra nell’ultima campagna sono circa 1,4 milioni di vaccinazioni antinfluenzali sono state erogate nelle farmacie. È una soluzione funzionale e vantaggiosa per tutti, perché al di là delle campagne di educazione sanitaria e persino dell’obbligo, per diffondere una pratica è fondamentale rendere l’accesso il più semplice possibile. Non è certo un caso che, come ha riportato il British Medical Journal del 29 agosto, nel Regno Unito è stata presentata una proposta di legge per coinvolgere i farmacisti anche nelle future vaccinazioni contro il SARS-CoV2. Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
 
Qui si torna a un altro tema centrale: la semplificazione…
La semplificazione ma anche il potenziamento dell’assistenza territoriale. Occorre portare le prestazioni sanitarie al cittadino e, nel caso in cui non si tratti di emergenza-urgenza o di alta specialità, l’assistenza deve essere, per così dire, a chilometro zero. Ancora quest’estate si è letto sui giornali di pazienti e caregiver costretti a fare la fila sotto il sole fuori dagli ospedali o dalle ASL per ritirare i farmaci. Ma davvero pensiamo che possa continuare questa impostazione? Che senso ha ricorrere a questo sistema quando la rete delle farmacie è tra le più capillari l‘Europa e soprattutto, come si è verificato durante il lockdown, i farmacisti di comunità sono capaci di offrire sempre la massima assistenza possibile? L’esperienza della COVID-19 ci ha insegnato che si deve mettere mano a soluzioni nuove che mettano a sistema le risorse di cui già disponiamo, e faremo tutto il possibile perché questo insegnamento non vada perduto.
 
Ritiene che i decisori politici e sanitari siano sensibili a questi rilievi?
Credo che, sulla spinta dell’emergenza ma anche della solidità delle evidenze che abbiamo portato sostegno delle nostre analisi e delle nostre richieste, la politica abbia avuto un atteggiamento positivo, a cominciare dal Ministro della Salute. E il confronto di oggi al Ministro mi sembra un risultato, e un segnale, apprezzabile.

Prima della pausa estiva la Federazione aveva raccomandato di continuare a rispettare le misure per prevenire il contagio anche nel clima inevitabilmente più rilassato delle vacanze. Crede che questo consiglio sia stato seguito?
Era inevitabile che con l’aumento della mobilità e delle occasioni di socializzazione si sarebbe registrato un aumento dei contagiati, certamente la dinamica di questi contagi depone per un certo alleggerimento delle misure di prevenzione, in particolare nei luoghi del divertimento. Ma, come hanno ribadito tutti gli esperti, a cominciare dal Comitato tecnico scientifico, la situazione è sotto controllo, e oggi il nostro Servizio sanitario è preparato e difficilmente potranno ripresentarsi emergenze come quelle che abbiamo attraversato nella prima parte dell’anno. Ma è chiaro che un conto sono le vacanze e un altro la piena ripresa di tutte le attività nel nostro paese, dalla scuola ai servizi pubblici alla produzione manifatturiera. E quindi credo che il richiamo alla prudenza resti valido sempre e comunque. Non possiamo letteralmente permetterci un’altra chiusura del paese.

Lei ha accennato alla scuola. Verso la fine della pausa estiva è emerso il problema dei test sierologici per il personale scolastico, che la Federazione ha subito affrontato.
Mi sembra evidente che questo sia un aspetto fondamentale per garantire la sicurezza dell’attività didattica e credo che sia indispensabile, per rendere il più efficace possibile lo screening, rendere il più possibile accessibili queste indagini. Di fronte alle difficoltà denunciate dai medici di medicina generale, per esempio a Milano ma non solo, è evidente a tutti che la strada da seguire è quella imboccata dalla Provincia autonoma di Bolzano, dove i test possono essere eseguiti anche in un centinaio di farmacie. Il kit viene fornito dal servizio sanitario, quindi non ci sono problemi di omogeneità dei materiali e delle metodiche, ed è stato preparato un protocollo dettagliatissimo.

Ma i farmacisti sono pronti?
Decisamente sì: non dimentichiamo che già con la Legge 69/2009, nelle farmacie è possibile eseguire test di prima istanza, un aspetto molto apprezzato dal pubblico, tanto che l’Arma dei Carabinieri ha stipulato una convenzione con Fofi, Federfarma, Assofarm e Utifar perché i militari possano effettuare proprio in farmacia un primo screening cardiometabolico e ricordo che in questo progetto è direttamente coinvolto l’Istituto Superiore di Sanità. C’è un know how per eseguire anche i test sierologici, dunque, e ci sono l’esperienza e la preparazione dei farmacisti italiani: non vedo una sola ragione per non generalizzare lo schema attuato a Bolzano ed è per questo che lo abbiamo immediatamente proposto.
1 settembre 2020
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