"Sembra ci sia un malinteso senso di territorio e di quali categorie professionali rappresentano la vera porta di accesso al Ssn per i cittadini di ogni età. Parlarne in maniera appropriata significa avere consapevolezza dell’importanza del rapporto fiduciario che si sviluppa con le famiglie e di tutto ciò che ne consegue in termini di assistenza. Ciò di cui ha bisogno il Sistema ora e per il futuro è che le Cure Primarie nel suo complesso e la Pediatria, in particolare per bambini ed adolescenti di cui spesso ci si dimentica, abbiano le risorse necessarie per poter sviluppare una migliore organizzazione e una maggiore offerta assistenziale di servizi. Questo ci aspettiamo dal Governo a partire dal Decreto Rilancio, questo chiediamo con forza, perché questo è il momento giusto per agire per rafforzare il territorio".
A parlare è il Presidente della Federazione Italiana Medici Pediatri, Paolo Biasci con il quale abbiamo parllto anche della proposta di passaggio alla dipendenza per la categoria e soprattutto della prossima riapertura delle scuole a settembre. Ma partiamo dal decreto Rilancio.
Dottor Biasci, soddisfatti dei provvedimenti del Governo per il potenziamento dell'assistenza territoriale?
Ben vengano gli interventi sulle risorse umane dovuti alla fase di emergenza Covid-19, ma c’è bisogno prima di capire come, su cosa, per quali compiti ed obiettivi. È vero che i Dipartimenti di Prevenzione, al centro degli interventi del Decreto Rilancio, hanno palesato difficoltà organizzative e di efficienza che hanno condizionato durante la fase di emergenza, ma probabilmente questo è dipeso da scelte sbagliate che ora devono essere corrette. Se si vuole veramente investire sul territorio lo si deve fare stabilmente e non con provvedimenti spot. In particolare c’è bisogno di un incremento del fondo dedicato all’indennità per l’assunzione del personale infermieristico, prevista nel nostro ACN, risorse esaurite da anni. Sono figure professionali il cui apporto, pensiamo solo alla presa in carico delle funzioni vaccinali ed a tutta una serie di servizi aggiuntivi a disposizione delle famiglie, si tradurrebbe in una migliore offerta assistenziale e presa in carico. Il Ministro Speranza ci ascolta, è sempre attento alle nostre istanze e sappiamo che ci sta lavorando. Permetterci di mettere a sistema, seguendo i principi di efficacia ed efficienza, la nostra attività di prevenzione e cura nei confronti di una fascia di età così importante per il futuro di questo paese, sarebbe un segnale concreto di vera attenzione al territorio, che noi attendiamo e di cui le famiglie hanno bisogno.
Negli ultimi mesi si è parlato molto di dipendenza per medici di famiglia, pediatri e specialisti ambulatoriali. Pensa possa essere la soluzione?
Assolutamente no. Ciclicamente riemerge la tentazione di intervenire sull’autonomia professionale dei medici delle Cure Primarie. Rappresenta la volontà di controllo a tutti i costi, soprattutto da parte di chi spesso ha dimostrato di non essere in grado di gestire in modo diverso e più efficiente il sistema. Ma quella che per noi è libertà da gerarchie, carriere e condizionamenti, per il genitore è libertà di scelta, un diritto frutto proprio di quel rapporto fiduciario che permea il servizio convenzionato, che ricordiamo è un servizio pubblico, e ne ha decretato il successo e il gradimento nei decenni.
Rispetto ad una possibile seconda ondata di Covid-19 di cosa ha bisogno nello specifico la pediatria, anche considerando l’assenza al momento di un vaccino?
La prima ondata di Covid-19 è stata a scuole chiuse. La seconda sarà, se ci sarà, a scuole aperte. Noi sappiamo bene che in tali contesti si produce una miriade di patologie simili e indistinguibili dal Covid-19 e al momento di fatto non sono stati riconosciuti per il bambino dei sintomi che escludano o confermino con chiarezza la presenza del nuovo Coronavirus. Una condizione clinica di questo tipo metterà a dura prova il sistema della Pediatria di Famiglia insieme al fatto che nessuno può prevedere l’andamento epidemiologico autunnale e dell’influenza stagionale. Se ci occupiamo ora di perfezionare l’organizzazione, non dovremo preoccuparci poi di emergenze annunciate. Abbiamo assoluto bisogno di poter prescrivere i tamponi e arrivare a diagnosi tempestive. La decisione sulla necessità di esecuzione del tampone diagnostico deve essere del Pediatra di Famiglia che ha in carico il bambino e non dei Dipartimenti di Prevenzione. È un passaggio di cura fondamentale. Al momento un bambino febbrile che si reca in pronto soccorso ed esegue il tampone nasofaringeo ha un risultato nel giro di poche ore. Lo stesso che si rivolge al suo Pediatra di Famiglia deve attendere una risposta per 7-8 giorni mediamente. Una disparità inaccettabile. Vogliamo che le Istituzioni ci ascoltino. Altrimenti rischiamo di compromettere la tenuta dell’organizzazione scolastica, di creare gravi disagi ai familiari e ai contatti scolastici; si rischieranno nuovi cluster familiari e la stessa tenuta del Servizio Sanitario Nazionale.
Qual è la vostra proposta per alzare le coperture vaccinali per la prossima stagione influenzale?
Finché non ci sarà un vaccino contro il nuovo Coronavirus la copertura anti-influenzale andrà massimizzata. Noi la raccomandiamo almeno per i bambini dai 6 mesi ai 6 anni, perché i più piccoli sono i più colpiti dal virus influenzale stagionale spesso con pesanti conseguenze, entrano in contatto con persone a maggior rischio come i nonni, ma anche per i più grandi, e perché l’epidemia influenzale manda sempre in sovraccarico gli ospedali. E questo succederebbe proprio quando sarà necessario differenziare gli episodi di tipo influenzale da quelli da possibile COVID-19. Come snellire le procedure? Facendo le vaccinazioni dove è più semplice farle, cioè dal Pediatra di Famiglia. Chiediamo alle Istituzioni di renderci partecipi di questa essenziale attività di sanità pubblica per ottimizzare il raggiungimento degli obiettivi. Lo chiediamo da anni per tutte le vaccinazioni, abbiamo dato disponibilità, ma mai come in questo tempo ci sembra importante contribuire ad una necessaria semplificazione delle procedure, venendo incontro finalmente alle famiglie che ce lo chiedono.
In vista della riapertura delle scuole, quale modello organizzativo proponete per evitare che si attivino nuovi focolai?
Partiamo dai più piccoli, quelli sotto i 6 anni ai quali non possiamo chiedere di indossare la mascherina o il rispetto di un distanziamento sociale. Un ruolo centrale nell’interruzione di una potenziale catena di contagio lo avrà l’approccio per piccoli gruppi. Se infatti i bambini sono assortiti sempre nella stessa composizione e con gli stessi operatori responsabili, la sorveglianza sanitaria ne sarà agevolata e diventerà uno strumento immediato per bloccare i contagi all’interno dello stesso istituto. Crediamo che applicare questo modello ai bambini dell’asilo e della materna ci permetta di isolare tempestivamente il caso Covid-19 positivo, allertando le famiglie e gli operatori che con quella persona sono entrati in contatto ed evitando il coinvolgimento di altri bambini o personale scolastico. Per i più grandi saranno necessari momenti di formazione, ma niente gabbie in plexiglas o braccialetti che vibrano quando i bambini entrano in contatto. Piuttosto, sarebbero opportuni alcuni requisiti strutturali: ampiezza dei locali rispetto al numero di bambini e adeguata aerazione, arredi e giochi idonei dal punto di vista igienico, adeguata sanificazione con procedure codificate e verificate con regolarità. Non possiamo dimenticare, poi, che la scuola è formata non solo da bambini e ragazzi ma di educatori, insegnanti ed operatori che vanno tutelati e nei confronti dei quali i bambini devono essere tutelati.