“La medicina delle cure primarie con, in prima linea, la medicina generale, il servizio di continuità assistenziale e la pediatria di libera scelta, si è trovata a fronteggiare situazioni complesse in condizioni estremamente precarie da un punto di vista organizzativo e preventivo. Durante l’emergenza sanitaria si è passati da uno standard di cura solitamente indirizzato ai bisogni medici e assistenziali specifici dei singoli pazienti a uno standard attento alla salute della comunità, cercando di mantenere comunque il miglior livello di cura individuale”.
È quanto scrive l’Istituto superiore di Sanità nel suo ultimo rapporto Covid (il n. 35)
‘Il Medico di Medicina Generale e la pandemia di COVID-19: alcuni aspetti di etica e di organizzazione’ tutto dedicato alle criticità e alle sfide che hanno dovuto affrontare i medici di famiglia durante la pandemia da Covid-19 (
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Ma non solo analisi dell’accaduto l’Iss rilancia e va oltre e per il futuro ribadisce che “gli MMG possono avere un ruolo di “equilibratore” nell’SSN, modulando i loro interventi tra cura e prevenzione, sorveglianza e monitoraggio a fronte di difficoltà oggettive che si riscontrano sul territorio”.
E in questo senso nel report si evidenzia come “dall’epidemia in corso possiamo trarre alcune riflessioni e porre delle questioni in merito alle problematiche attive in ambito di medicina ‘pubblica’”.
Il primo aspetto da approfondire è quello della “differente situazione geografica e l’impostazione di ognuno dei 21 Servizi Sanitari Regionali incidono sulla qualità ed efficacia degli interventi: quindi, si pone la questione su quale modello adottare per le problematiche di salute collettiva, se centrale unificato o decentrato, al fine di omogeneizzare gli interventi e i risultati di salute”.
A questo va sommata “la differente organizzazione dei servizi territoriali favorisce la diseguaglianza del diritto uniforme alla salute, quindi importante è almeno una solida coerenza a linee guida uniche per tutto il territorio nazionale”.
In questo contesto l’Iss rileva come “l’ospedalizzazione e la gestione territoriale di primo livello/domiciliare delle acuzie, e non solo delle cronicità, diventa una realtà d’assistenza e cura da cui nasce l’esigenza di un nuovo modello di gestione” e per questo “si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di creare un percorso comune di diagnosi e cura sul territorio (percorsi diagnostico terapeutici ospedalieri/territoriali) con ruoli, funzioni e responsabilità differenziate, al fine di ottimizzare i risultati di salute e la gestione delle patologie (croniche e acute) e di quelle cure intermedie garantite entro i soli spazi ospedalieri”.
Infine il report rileva come “il rapporto tra ospedale e medicina del territorio dovrebbe riconoscere la sinergia fra questi settori d’intervento per un’ottimale gestione sanitaria. In questo modo si possono rendere compatibili, in un’economia di scala, le peculiarità dell’approccio territoriale alle cure con quelle dell’ospedale, ovvero di medicina generale e specialistica”.