Anche se la condotta del medico non provoca un peggioramento della condizione di un paziente, ma allunga comunque i tempi di guarigione, si è in presenza di responsabilità sanitaria per condotta colposa, imperizia e negligenza, - in questo caso di tre medici - ognuno per la propria area di intervento.
Questo quanto prevede la Corte di Cassazione nella sentenza 5315/2020 che si è pronunciata sulla vicenda riguardante tre sanitari (due ortopedici e un radiologo), confermando l’assoluzione stabilita dalla Corte di Appello dal reato previsto dall’art. 590 c.p. (lesioni personali colpose: il Tribunale li aveva invece condannati in base a questo articolo), ma la cui sentenza è stata rinviata alla Corte di Appello per valutare i reati previsti dagli articoli 582 (“Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni”) e 583, commi 1 e 2 (La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni: “1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni; 2) se il fatto produce l'indebolimento permanente di un senso o di un organo”).
Il fatto
I medici sono stati accusati di non avere nelle loro rispettive competenze (ortopedia e radiologia) diagnosticato al paziente l'esistenza di una frattura del corpo vertebrale L1, omettendo, di conseguenza, di mettere in atto gli accertamenti per assicurargli la guarigione, determinando l'aggravamento delle sue condizioni e il ritardo nell'individuazione della giusta terapia.
La sentenza di secondo grado ha riconosciuto “antidoverosa” la condotta dei tre medici, per difetto dei necessari approfondimenti diagnostici, ma ha poi seguito le conclusioni dei periti, i quali hanno affermato che “i lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili al tipo di frattura lombare, sono primitivamente ascrivibili all'evento traumatico ed indipendenti dall'inadeguato trattamento”. Per questo la Corte di appello, pur affermando che la condotta degli imputati è comunque censurabile, ha sottolineato che non avendo provocato alcuna lesione, non essendosi verificate limitazioni funzionali o altri processi patologici diversi da quello che si sarebbe comunque verificato anche se gli imputati avessero tenuto il comportamento doveroso, non si era in presenza degli estremi per una condanna, appunto, in base all’articolo 590 del codice penale.
La sentenza
La Cassazione nella sua sentenza sottolinea prima di tutto la particolarità del caso nel fatto che di fronte alla condotta colposa, per imperizia e negligenza, tenuta dai tre medici non si è prodotto un aggravamento della situazione del paziente e quindi la Corte d’Appello ha concluso che i “lievi esiti algodisfunzionali ascrivibili alla frattura lombare L1' derivata dall'evento traumatico sono 'indipendenti dall'inadeguato trattamento'.
Ma ‘l'inadeguato trattamento’, secondo la sentenza, in questo caso coincide con il ritardo nella diagnosi e nel trattamento, “poi effettivamente posto in essere dai medici intervenuti in un secondo momento, a distanza di trenta giorni dalle dimissioni della persona offesa dal nosocomio ove era stata affidata alle cure degli imputati”.
Secondo la Cassazione quindi è necessario stabilire se possa considerarsi 'malattia', “non l'aggravamento della lesione, ma il prolungamento del tempo necessario per la sua riduzione o per la sua definitiva stabilizzazione, posto che detto ritardo non incide sulla perturbazione funzionale di tipo dinamico”. E su questo punto la Corte è giunta ad una affermazione positiva.
“La malattia, infatti – si legge nella sentenza della Cassazione - nella sua nozione penalistica, non è il post factum della lesione, ma ne costituisce il nucleo intrinseco. L'utilizzo del verbo 'deriva', nel testo della norma cardine di cui all'art. 582 cod. pen. (Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale 'deriva' una malattia è punito...), non indica un rapporto di conseguenzialità,.. ma cristallizza il concetto penalistico di malattia come connotato della nozione penalistica di lesione personale. Dunque, è sulla durata della malattia (più o meno di quaranta giorni) o sulla specificità dell'alterazione funzionale che essa comporta (indebolimento o perdita di un senso o di un organo, perdita di un arto, grave compromissione o perdita della favella, della capacità di procreare, ecc.) che l'ordinamento misura la sanzione penale, con l'introduzione delle aggravanti di cui all'art. 583, commi 1e 2 cod. pen.”.
Quindi secondo i giudici da quanto detto si ricava che ogni condotta colposa “che intervenga sul tempo necessario alla guarigione, pur se non produce ex se un aggravamento della lesione e della relativa perturbazione funzionale, assume rilievo penale allorquando generi la dilatazione del periodo necessario al raggiungimento della guarigione o della stabilizzazione dello stato di salute”.
“Essendo pacifico – conclude la Cassazione - che l'omessa diagnosi del crollo della veterbra L1 e della frattura pluriframmentata, con conseguente omessa tempestiva prescrizione del trattamento di riduzione (busto ortopedico e fisioterapia), ha comportato l'adozione di misure di trattamento con un ritardo di trenta giorni, intervallo intercorso fra la dimissione dall'ospedale dove operavano i tre imputati e la data in cui i sanitari dell'ospedale diagnosticarono la frattura in L1 impartendo la cura, ne consegue la necessità di rivalutare l'incidenza della condotta colposa degli imputati sul differimento della guarigione della persona offesa”.
La sentenza della Corte di Appello quindi secondo la Cassazione deve essere annullata agli effetti civili e rinviata al giudice civile competente “per valore in grado di appello” per nuovo giudizio.