“Il sistema organizzativo non è idoneo a garantire quel diritto alla salute che tutti vorremmo. È quindi arrivato il momento di una sua rivisitazione. I disagi e le criticità da affrontare sono molteplici, ma nonostante tutto la professione è molto viva. Non c’è rassegnazione ma una forte volontà di continuare a chiedere una maggiore autonomia e capacità di incidere nei processi organizzativi assistenziali.
È questo il messaggio lanciato da
Filippo Anelli, Presidente della Fnomceo nel corso dell’ultimo incontro del 2019 degli
Stati Generali della professione medica voluti dalla Federazione proprio per ridefinirla e rilanciarla . Una giornata densa di interventi che ha visto protagonisti i rappresentanti sindacali delle varie anime che compongono le professioni mediche e sanitarie. A tenere banco il tema “Il medico e il lavoro”.
“È stata una giornata molto interessante – ha detto Anelli – quasi tutte le organizzazioni sindacali sono intervenute mettendo sul tavolo problemi, perplessità, i disagi della professione ognuno per le proprie specificità. Non sono mancate le proposte. Il tema delle diseguaglianze è stato più volte richiamato dai medici a testimoniare che c’è una forte necessità di difendere e recuperare i propri valori e quelli insiti nei principi costituzionali”.
Insomma, c’è una importante richiesta di intraprendere un risolutivo giro di boa. Ma come cambiare? Per Anelli, bisogna immaginare modelli organizzativi sovraregionali che consentano alle professioni di organizzarsi per assicurare la migliore assistenza nei territori, riducendo il più possibile la mobilità: “Dobbiamo portare l’assistenza lì dove serve. E per farlo servono modelli di assistenza in rete che superino la dimensione regionale. Serve una condivisione delle competenze per far sì che tutti i professionisti, in ogni luogo, possano dare l’assistenza di qualità che il cittadino chiede. È questo il messaggio forte emerso dal confronto di questa giornata e sui cui credo bisognerà avviare un dibattito, perché nessuno ha le soluzioni preconfezionate”.
I professionisti chiedono a viva voce non solo di vedere riconosciuto il proprio lavoro, ma di poterlo svolgere al meglio. Con responsabilità e soprattutto maggiore autonomia.
“Il Medice cura te ipsum, dovrebbe essere riportato in auge”, ha detto
Alberto Oliveti, presidente dell’Enpam
, che ha suggerito di applicare il modello delle tre “esse”: “Senso del proprio impegno per dare Soluzioni ai problemi e orientare le Scelte come compito caratterizzate della professione. Con l’etica come strumento di scelta che diventa un concetto logico per ponderare e scegliere con il buon senso secondo la situazione. La società è davanti al cambiamento, il medico è davanti al cambiamento – ha aggiunto – non va mai dimenticato che il lavoro è uno strumento sociale di inclusione nella società civile, uno stimolo costante al progresso fortemente associato ai diritti civili. Ma ricordiamo che non c’è welfeare se non c’è lavoro. La protezione sociale nasce dal lavoro. Non si può parlare di lavoro medico senza parlare della dignità suo lavoro”
Ad animare la discussione dell’assemblea dei rappresentanti sindacali
Ivan Cavicchi, filosofo della Medicina e autore delle “
Cento tesi” che ha dato il “la” al dibattito degli Stati Generali. “Siamo partiti dalla crisi analizzandone ogni componente con tutte le difficoltà che inevitabilmente si incontrano quando si affrontano le criticità e ora siamo arrivati alla fine del percorso – ha detto – parlare di lavoro non è semplice, perché bisogna analizzarlo su più fronti: profilo giuridico, filosofia retributiva, organizzazione del lavoro, forma e soluzione contrattuale. È un sistema complesso. La questione del lavoro non può quindi essere trattata con superficialità: si colloca inoltre tra le funzioni ordinistiche e sindacali, due anime completamente diverse che devono necessariamente saldarsi se si vuole raggiungere un obiettivo comune. Il problema – ha aggiunto – è che c’è una politica che tende a considerare il medico un anti-capitale, ossia solo un mero costo. Se al contrario lo dovessimo utilizzare come un capitale useremmo il medico in chiave di sviluppo cosa che non avviene, per cui negare il medico come capitale significa negare lo sviluppo”.
Bisognerebbe poi superare il concetto delle competenze, ha spiegato Cavicchi, ossia la quantità di conoscenza che ognuno possiede: “Sapere non basta più, bisogna imparare ad essere capaci ed abili a gestire situazioni complesse”. E ancora, ha spiegato “se l’obiettivo degli stati generali è la ridefinizione del medico, non possiamo pensare di farlo a lavoro invariante. Bisognerebbe parlare di lavori, perché ci sono tanti mondi diversi con le loro diverse organizzazioni lavorative”.
Ci sono poi quattro grandi temi da affrontare,il primo è il rapporto con gli altri. “La ristrutturazione della geografia delle professioni indicata dal Veneto mi rende sgomento, questo significa ridefinire i perimetri delle professioni. Vedo in questo un pericolo di sovrapposizione tra corporativismo e controriformismo. La mia idea è che serve cambiare, ma il cambiamento deve essere convolutivo e concertato”
Bisogna anche trovare una definizione giuridica più congeniale.“Abbiamo il lavoro dipendente quello convenzionato e il lavoro precario. A me piacerebbe un grande contratto unico per tutta la professione che elimini così le divisioni, ma per arrivare a questo bisogna avere una ridefinizione giuridica unica”. Cavicchi propone l’idea dell’autore: “Il medico ha perso la sua autonomia bisognerebbe invece farsi definire in base ai risultati”.
Terzo punto l’organizzazione,“non si può esserci un’autonomia professionale se non c’è un’organizzazione del lavoro che la supporti. “fin ora abbiamo lavorato nel principio della prescrizione va affiancato il principio della proscrizione fare quello che non è vietato. Il punto è riconoscer spazi di auto-oraganizzazione nelle organizzazioni date.
Quarto e ultimo punto Il valore del lavoro che chiama in causa il sistema retributivo. “Si parla di misurare il valore (Value based) – ha concluso – ma questo significa cambiare il modello retributivo ricontrattando i risultati. Si tratta di iniziare a pagare il lavoro sui risultati raggiunti, quindi risultati economici, organizzativi, clinici, relazionali, ecc”.
Ester Maragò