Qual è il ruolo dei Direttori generali in una sanità che cambia?
È questa la domanda che ha dato il via a uno dei panel, o
rganizzato in collaborazione con Federsanità Anci, del 14° Forum Risk Management in corso a Firenze.
In un quadro sanitario estremamente disomogeneo, la norma definisce un profilo univoco di Dg. “Alla nostra figura è richiesta una coerenza di coordinamento manageriale rispetto alle linee d’indirizzo regionale, non una fedeltà politica”, ha ricordato
Fabrizio d’Alba, Dg Ao San Camillo Forlanini di Roma. Il problema è che spesso i margini di manovra sono risicati e “le responsabilità che gravitano sulle nostre figure sono spesso indipendenti dal nostro agire individuale”.
Una professionalità in evoluzione, che segue i cambiamenti che avvengono in sanità: “Il nostro non è un mestiere che si studia, ma è qualcosa che si impara giorno dopo giorno, anche osservando gli errori degli altri – ha esordito
Flori Degrassi, Dg Asl Roma 2 – L’unica vera qualità che dobbiamo avere è la curiosità, saper osservare quello che ci succede intorno. Credo che sia fondamentale riuscire a portare un metodo nel nostro lavoro e avere una visione in quello che facciamo”.
Una ricerca che ha analizzato i profili di 112 Dg nominati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 171/2016 (quello che ha cambiato i parametri per la selezione dei Direttori generali) fornisce un identikit interessante: l’età media è di 58,7 anni, le donne occupano solo il 16% delle posizioni e oltre la metà dei Dg (il 50,5%) sono laureati in medicina. Di questi, il 58,9% ha una specializzazione in Igiene e Medicina preventiva. “Questi risultati sono del tutto sovrapponibili a quelli di uno studio svolto dalla Bocconi nel 2016 – ha dichiarato d’Alba – Dovremmo chiederci cosa fare per stratificare meglio la nostra composizione”.
L’unificazione delle aziende sanitarie ha fatto sì che i territori con cui i Dg si devono interfacciare siano sempre più ampi e variegati. “I cittadini esprimono bisogni diversi tra loro e questo richiede non solo ai Dg ma anche al middle management di assumere nuovi ruoli, da una parte più gestionali e dall’altra di controllo e di rapporto con le comunità locali che vedono in questa unificazione una perdita d’identità”, ha sottolineato
Antonio D’Urso, Direttore generale Asl Toscana Sud Est.
E negli ultimi tre decenni non è cambiato solo il rapporto con i cittadini, ma anche quello istituzionale: “La riforma del Titolo V ha ribaltato le logiche di relazione con Regioni e Ministero, per non parlare del nodo dei piani di rientro e di efficientamento – ha ricordato Fabrizio d’Alba – È cambiata profondamente l’organizzazione e la gestione delle aziende. Per il futuro dovremmo capire in che modo lavorare sulle nuove competenze, come gestire in modo virtuoso le autonomie e come acquisire un ruolo più attivo nelle scelte di politica sanitaria”.
Tra gli elementi di complessità evidenziati, anche l’output, piuttosto delicato: “Il ‘prodotto’ che noi vendiamo, i percorsi di cura, è qualcosa di molto affascinante, ma anche complesso – ha notato
Daniela Donetti, Dg dell’Asl Viterbo – Deve essere personalizzato sul cittadino, innovativo e competitivo oltre che economicamente sostenibile”.
I direttori generali si muovono quindi in un contesto di competizione con un elemento di ulteriore complessità, il fattore tempo. “Il nostro ruolo è cambiato: per garantire salute ai cittadini dobbiamo diventare attivatori dei nostri sistemi”, ha concluso Donetti.