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QS Edizioni - sabato 27 luglio 2024

Lavoro e Professioni

Il giudizio penale è indipendente da quello civile. Medico assolto per omicidio colposo condannato comunque al risarcimento

immagine 24 settembre - La Corte di Cassazione (sentenza 22520/2019) ha confermato la condanna di un medico al risarcimento della famiglia di un paziente deceduto, anche se il sanitario era stato prosciolto dall'accusa di omicidio colposo per assenza di prove sul nesso causale tra morte e condotta omissiva. Ma per la Cassazione il giudizio in sede civile che consegue alla revoca della sentenza penale è sostanzialmente e funzionalmente autonomo da quello penale. LA SENTENZA.
Il procedimento penale e quello civile camminano separati. La responsabilità penale del medico non può vincolare il giudice del processo civile che deve dare una diversa valutazione dei danni al paziente derivati dalla sua condotta.

A stabilirlo è la sentenza 22520/2019 della Cassazione (III sezione civile) in un caso legato a una mancata diagnosi da parte di un medico verso un paziente che si era presentato al pronto soccorso per problemi respiratori, ma era stato dimesso con una diagnosi errata e senza svolgere ulteriori accertamenti di natura cardiologica. Il paziente, rientrato a casa, era poi deceduto per insufficienza cardio-respiratoria nonostante un nuovo accesso al pronto soccorso, a causa di una cardiopatia non diagnosticata tempestivamente.

Nel procedimento penale il medico era stato assolto per assenza di prova sul nesso causale tra la sua condotta omissiva (accertata sul piano fattuale) e l’evento morte: per i giudici la prova di tale relazione diretta non è stata raggiunta “oltre ogni ragionevole dubbio”.

Il fatto
Al medico – condannato dal Tribunale alla pena sospesa di sei mesi di reclusione, al risarcimento del danno a favore della parte civile e al pagamento delle spese processuali, per omicidio colposo - è stato rimproverato di essersi limitato a eseguire sul paziente al pronto soccorso dell'ospedale dove prestava servizio, che accusava disturbi respiratori, dolori allo stomaco, al petto e al braccio e alla parte laterale destra, una puntura intercostale e un elettrocardiogamma e di averlo dimesso, con la diagnosi di torocoalgia conseguente ad esofagite da reflusso, senza effettuare un prelievo ematico, tenerlo in osservazione per eseguire un nuovo ECG o un ulteriore prelievo del sangue per controllare il dosaggio della troponina che avrebbero consentito di accertare e diagnosticare la malattia cardiaca e avviare l'adeguato percorso terapeutico.

Il paziente è deceduto per insufficienza cardiorespiratoria acuta, dissociazione elettromeccanica con arresto cardiaco irreversibile, dopo essere tornato al pronto soccorso, per il protrarsi dei dolori toracici, accompagnati da senso di soffocamento, essere stato sottoposto ad un nuovo elettrocardiogramma che non evidenziava alterazioni ischemiche ed essere stato trattato per via infusionale con un farmaco gastroprotettore.

La Corte d'Appello dichiarava la responsabilità professionale del medico ne rigettava l'appello interposto agli effetti civili contro la sentenza del Tribunale, ne confermava la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio e lo condannava al pagamento di una provvisionale di 150.000 euro. Da qui il ricorso in Cassazione.

La sentenza
Secondo la Cassazione il giudizio in sede civile che consegue alla revoca della sentenza penale è sostanzialmente e funzionalmente autonomo da quello penale, legato al primo solo dal punto di vista formale, “rappresentando il giudizio di rinvio, ex art. 622 c.p.p., la via fisiologica per transitare dal processo penale a quello civile quando parte impugnante sia la parte civile: non essendo più in discussione i temi centrali del giudizio penale, quali la sussistenza del fatto, la sua illiceità e l'attribuibilità all'imputato, l'ulteriore svolgimento del giudizio davanti al giudice civile si configura come prosecuzione solo formale del processo penale, giacché presenta quell'autonomia strutturale e funzionale che concretizza la scissione tra le materie oggetto del giudizio, con la restituzione dell'azione civile alla giurisdizione cui essa naturalmente compete”.

In base alla sentenza il giudizio che si svolge dinanzi al giudice civile cui è stato rimesso è autonomo strutturalmente e funzionalmente da quello penale da cui proviene.

In sintesi, si legge nella sentenza:
“- l'individuazione della domanda risarcitoria e restitutoria — petitum e causa petendi — avviene sulla scorta della rappresentazione del danneggiato costituitosi parte civile;

- i fatti costitutivi della domanda non sono gli stessi del fatto reato, perciò possono essere oggetto di diversa valutazione;

- i canoni probatori applicabili sono quelli del giudizio civile, anche relativamente al nesso di derivazione causale, essendosi reciso il legale con la fase penale;

- i reati a condotta vincolata non vincolano il giudice del rinvio, sicché si possono far valere indifferentemente condotte causative del danno diverse o quelle tipizzate;

- l'elemento soggettivo dell'illecito civile è sganciato da quello accertato con diversa finalità in sede penale; si può accertare la colpa rilevante ai sensi dell'art.  2043 c.c. anche se in sede penale fosse oggetto di accertamento un reato doloso; la colpa penale e quella civile non coincidono, se non morfologicamente, ai sensi dell'art. 43 c.p., ma differiscono funzionalmente;

- il titolo di responsabilità può essere oggetto d'ufficio di una diversa qualificazione dei medesimi fatti costitutivi posti a fondamento dell'atto di costituzione parte civile;

- le cause di esclusione della punibilità e le esimenti non producono effetti preclusivi sulla domanda risarcitoria (come risulta dalla legge Gelli Bianco e dalla legge sulla legittima difesa)”.

La Cassazione ha quindi confermato la sentenza di condanna e l’impianto della motivazione che aveva preso a base di valutazione il diverso iter processuale e probatorio che distingue sempre il processo penale da quello civile, a maggior ragione nella materia del danno clinico, in cui il giudizio prognostico può portare a valutare margini di intervento che un medico deve sempre percorrere.

Si legge ancora nella sentenza che “il giudizio che si svolge dinnanzi al giudice civile cui è stato rimesso è autonomo strutturalmente e funzionalmente da quello penale da cui proviene”. Autonomia che si riflette in molti degli elementi primari del processo e della sua fase istruttoria, come i “fatti costitutivi” che possono essere differenti nei due procedimenti, “i canoni probatori” del rito civile, dove il sanitario è tenuto a un onere di allegazione e prova più ingente che nel rito penale, fino all’elemento soggettivo che nell’illecito civile è sganciato da quello accertato con diversa finalità in sede penale.

Il giudice civile, quindi, nella ricostruzione del fatto, non è vincolato a tenere conto di quanto accertato già dal giudice penale. E il processo che deve decidere sul risarcimento del danno può portare anche all’assoluzione del medico in sede penale e la sua contestuale condanna in sede civile a risarcire il danno.

Infatti, una condotta non del tutto prudente del sanitario (che, nel caso esaminato dalla Cassazione, avrebbe potuto e dovuto estendere il campo dell’indagine diagnostica) può portare all’effetto di un’assoluzione nella sede penale per la mancata prova (“oltre il ragionevole dubbio”) di una correlazione tra omissione e danno, ma alla condanna a risarcire il danno nel processo civile se l’indagine riguarda la possibilità concreta (nella misura superiore al 50%) che l’evento si sarebbe potuto evitare.
24 settembre 2019
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