Nelle celebrazioni per i primi quarant’anni dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale uno degli argomenti meno trattati è stato quello del personale pur presentando delle specificità che ne fanno un unicum tra tutti i comparti lavorativi, basti pensare al fatto di esser composto in larga prevalenza da 30 professioni sanitarie laureate delle quali una parte rilevante è inquadrata nella qualifica dirigenziale.
In questi quarant’anni certamente l’elemento più rilevante e discontinuo è stata ed è la riforma delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, riabilitative, della prevenzione nonché della professione di ostetrica che sono state oggetto e soggetto di una evoluzione formativa ed ordinamentale che non ha pari in nessun’altra aggregazione professionale o pluriprofessionale.
Questi professionisti sono passati da una formazione regionale a quella universitaria con la medesima gradazione delle altre professioni liberali, da una condizione di ausiliarietà ed ancillarietà ad un riconoscimento della propria specifica autonomia professionale gestita in strutture dirigenziali dirette da dirigenti espressioni di queste professioni: oggi il direttore del dipartimento delle professioni sanitarie e sociali di un’azienda sanitaria è tra i più rilevanti incarichi manageriali e quello che ha più personale dipendente.
In questa innovazione e mutazione di rilievo storico, l’elemento che sarebbe dovuto essere quello più ovvio e con maggiore efficacia sia per i cittadini che per l’organizzazione del lavoro e cioè la valorizzazione dell’’implementazione delle competenze di queste professioni con il conseguente apprezzamento contrattuale sia normativo che economico; purtroppo non solo non si è realizzato, se non in forma sperimentale in alcune, poche, Regioni e solo recentemente, ma è stato trascurato se non ostacolato.
Di questa teoria di storia della sanità italiana proverò a dimostrarne la sua validità e le prove, almeno quelle che conoscono direttamente.
Questa storia in negativo ha iniziato la sua inversione di marcia dalla stipula recente del CCNL del Comparto Sanità: ne è recente prova la bozza di Patto per la Salute in quanto nel capitolo per le risorse umane si annuncia che “ Per quanto riguarda le professioni infermieristiche, ostetriche, tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, Stato e Regioni si impegnano a garantire la valorizzazione e lo sviluppo delle relative competenze professionali, tenendo conto dei livelli della formazione acquisita, in coerenza con quanto previsto nei Contratti Collettivi Nazionali di settore relativamente al conferimento degli incarichi professionali”.
Quindi il rinnovo contrattuale della sanità diventa una questione di rilievo strategico nella programmazione sanitaria proprio nella parte più innovativa per quanto attiene ai nuovi e discontinui incarichi professionale: un obiettivo che per essere raggiunto ha avuto la stessa durata di tempo della stessa legge 833/78: quarant’anni per raggiungerlo! In altra parte della stessa bozza si afferma la necessità di attivare l’infermiere di famiglia/di comunità che costituisce una dei più rilevanti ed innovativi incarichi professionali.
Inoltre, in Commissione Salute delle Regioni si sta delineando la formulazione di una proposta unificante ed omogenea per la sua attuazione ad iniziare dall’incarico di professionista esperto, recuperando da subito le esperienze già attuate.
Finalmente si prende consapevolezza che l’evoluzione scientifica e tecnologica, la nuova e più adeguata concezione della ospedalizzazione, il consolidamento ed il potenziamento delle cure primarie connessi all’evoluzione normativa e formativa degli infermieri e delle altre professioni sanitarie, presuppongono la necessita di avere professionisti sanitari in grado di rispondere a problemi di salute più complessi e nel contempo di gestire processi assistenziali più articolati sul piano organizzativo.
È evidente che tutto ciò ha bisogno di conoscenze e metodologie professionali in grado di rispondere al bisogno di prendersi cura della persona e della famiglia, educandoli a stili di vita più adeguati in grado di favorire lo sviluppo di competenze sempre più avanzate.
Quarant’anni ci sono voluti per avviare a livello nazionale, dopo le esperienze positive di alcune regioni iniziate negli ultimi anni mentre le competenze avanzate iniziavano ad attuarsi nel Nord America dal 1960 e dal 1980 nel Regno Unito per dare risposte adeguate alla mutazione della domanda di salutein risposta al cambiamento sociale, economico, e sanitario.
È ormai assodato a livello internazionale che l’implementazione delle competenze preveda lo sviluppo della pratica clinica, della ricerca sanitaria, dell'educazione alla salute, della leadership e dello sviluppo professionale, che non si acquisiscono solo con l’esperienza pluriennale bensì all’interno di un percorso formativo teorico-pratico verificato e verificabile, ovviamente post-laurea, che non necessariamente debba esser svolto dagli Atenei ma può essere programmato e gestito dallo stesso SSN, nelle sue articolazioni regionali ed aziendali, se del caso con il concorso accademico.
Laddove si sono realizzate sia in alcune Regioni che in altri Stati le competenze avanzate infermieristiche e delle altre professioni sanitarie si sono svolti studi sugli i esiti dell’assistenza in termini di costi per i Servizi Sanitari, efficacia degli interventi erogati e soddisfazione degli utenti, producendo i seguenti effetti positivi:
- riduzione della durata di degenza
- diminuzione del numero di riammissioni non programmate
- abbassamento della mortalità dei pazienti
- riduzione delle complicanze
- diminuzione degli errori
Mentre gli effetti sugli infermieri e gli altri professionisti ai quali siano state implementate le competenze sono stati quelli di aumentare la soddisfazione e la performance nell’attività professionale, ridurre lo stress, di incentivare l’autoformazione e la considerazione sociale sul ruolo professionale incentivando le giovani generazioni nello scegliere una professione che può avere un suo sviluppo al pari delle altre professioni.
Pare opportuno precisare che la c.d.” competenza avanzata” non solo va oltre il semplice ambito dell'approfondimento clinico, sebbene richieda alti livelli di sviluppo di conoscenza e di competenza da acquisire negli specifici ambiti clinici, ma richiede soprattutto una padronanza legata alla gestione totale del fenomeno dalla cura assistenziale, alla leadership gestionale e al riconoscimento del ruolo competente.
Con tale preparazione avanzata il professionista della salute è in grado di fornire interventi su un ampio raggio, che provengono dall'assunto teorico, dalla verificata capacità pratica e che sono sostenuti dalla ricerca attraverso l'evidenza scientifica il che tradotto nel linguaggio contrattuale si esplica così:
Art. 16
Contenuto e requisiti degli incarichi di funzione per il personale del ruolo sanitario e dei profili di collaboratore professionale assistente sociale ed assistente sociale senior
“
Per il personale del ruolo sanitario e dei profili di collaboratore professionale assistente sociale ed assistente sociale senior gli incarichi di funzione sono declinati secondo i criteri e i requisiti definiti nei commi seguenti.
L’incarico di organizzazione comporta l’assunzione di specifiche responsabilità nella gestione dei processi assistenziali e formativi connessi all'esercizio della funzione sanitaria e sociosanitaria.
L’incarico di organizzazione va graduato secondo i criteri di complessità definiti dalla regolamentazione di ogni singola Azienda o Ente.
La funzione di coordinamento prevista dalla Legge n. 43 del 2006 è confermata e valorizzata all’interno della graduazione dell’incarico di organizzazione, anche in relazione all’evoluzione dei processi e modelli organizzativi ed all’esperienza e professionalità acquisite.
Per l’esercizio della sola funzione di coordinamento, è necessario il possesso dei requisiti di cui all’art. 6, comma 4 e 5 della legge n. 43/2006. Il requisito richiesto per il conferimento degli ulteriori incarichi di organizzazione è il possesso di almeno cinque anni di esperienza professionale nella categoria D. La laurea magistrale specialistica rappresenta un elemento di valorizzazione ai fini dell’affidamento degli incarichi di maggiore complessità.
L’incarico professionale, in attuazione del dettato di cui all’articolo 6 della Legge n. 43/06 nonché di quanto contenuto nei decreti istitutivi dei profili professionali ex terzo comma dell’art.6 del D.Lgs. n. 502/92 può essere di “professionista specialista” o di “professionista esperto”. Nell’ambito delle specifiche aree di intervento delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione di ostetrica e in relazione alle istituende aree di formazione complementare post diploma, sono istituiti incarichi professionali per l’esercizio di compiti derivanti dalla specifica organizzazione delle funzioni delle predette aree prevista nell’organizzazione aziendale. Tali compiti sono aggiuntivi e/o maggiormente complessi e richiedono significative, elevate ed innovative competenze professionali rispetto a quelle del profilo posseduto.
Il requisito per il conferimento dell’incarico di “professionista specialista” è il possesso del master specialistico di primo livello di cui all’art. 6 della Legge n. 43/06 secondo gli ordinamenti didattici universitari definiti dal Ministero della Salute e il Ministero dell’Università, su proposta dell’Osservatorio nazionale per le professioni sanitarie, ricostituito presso il MIUR con il decreto interministeriale 10 marzo del 2016 e sentite le Regioni.
Il requisito per il conferimento dell’incarico di “professionista esperto” è costituito dall’aver acquisito, competenze avanzate, tramite percorsi formativi complementari regionali ed attraverso l’esercizio di attività professionali riconosciute dalle stesse regioni.
Gli incarichi di organizzazione di cui al comma 3, relativi all’unità di appartenenza, sono sovraordinati agli incarichi di “professionista specialista” e di “professionista esperto”.
Pertanto il contratto collettivo nazionale del comparto sanità, finalmente rinnovato e che vede in corso le trattative decentrate per la conseguente stipula dei contratti collettivi integrativi aziendali, ha finalmente definito una prima forma di carriera non solo esclusivamente gestionale, ma anche professionale con gli incarichi di “professionista esperto” e di “professionista specialista”: si chiude un capitolo durato decenni e di seguito descriverò le tappe compiute per giungere a questo risultato.
Aver chiuso un capitolo non vuol dire che da oggi tutto sia più semplice per dar corso in ogni azienda sanitaria alla nuova carriera professionale per gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie disciplinate dalla legge 251/00, bensì che da oggi si può, finalmente, dar corso alla sua attuazione, ben sapendo che gli atteggiamenti pregiudizialmente avversi come le precedenti abitudini a garantire solo gli incarichi gestionali sono sempre presenti ed attivi: ma prima non c’era nulla ora c’è una norma contrattuale sia giuridica che economica e da qui si riparte per una lunga marcia di vero rinnovamento che, se si ha finalmente coraggio da riformatori, può divenire senza ritormo
Questa lunga marcia mi sono trovato a percorrerla, certo non da solo talora con tanti altri, rivestendo nel suo corso più ruoli (dirigente sindacale, consigliere di Ministro e Sottosegretario della Salute, dirigente del Ministero della Salute, delegato dal Sottosegretario alla Salute nel Comitato di Settore Regioni-Sanità per le direttive all’ARAN per il rinnovo contrattuale ed infine consulente dell’ARAN per la contrattazione in sanità) avendo, tra gli altri obiettivi della riforma delle professioni sanitarie, peraltro raggiunti tutti prima e con meno difficoltà, quello di far cadere la “maledizione” per la quale un infermiere o un tecnico sanitario o un fisioterapista come viene assunto così andrà in pensione salvo che possa divenire coordinatore o, magari, dirigente.
Constatazione sindacale e professionale aberrante ed incomprensibile: non serve giuslavorista o un sociologo del lavoro per affermare che dovrebbe essere banalmente ovvio che un laureato sanitario, qual è l’infermiere o un tecnico sanitario o un fisioterapista ,che esercita la sua professione in un comparto qual è quello del SSN in continua evoluzione scientifica e tecnologica, debba poter avere una progressione di carriera professionale dinamica determinata dalla implementazione di ulteriori competenze di ulteriori saperi non solo complementari alla sua formazione ma anche più complessi e specialistici.
(Fine prima parte)
Saverio Proia