“Si invitano tutti i farmacisti dipendenti, disoccupati, borsisti e liberi professionisti e ‘non titolari di farmacia’ a partecipare alla manifestazione” indetta per il 9 aprile a Roma, sotto Montecitorio, “al fine di dare vita ad un Comitato No Enpaf dei Farmacisti Non Titolari che manifesterà per queste richieste: contribuzione Enpaf facoltativa per i farmacisti dipendenti che già possiedono altra previdenza obbligatoria e per i disoccupati iscritti all'albo; possibilità di restituzione dei contributi previdenziali Enpaf per quei farmacisti che avendo altra previdenza obbligatoria opteranno per la cancellazione da Enpaf, nonché di quelli silenti; contribuzione Enpaf legata al reddito e non più a quota fissa per i farmacisti liberi professionisti che hanno questo ente come previdenza di primo pilastro, borsisti compresi”. È questo il messaggio lanciato dalla presidente Assofarn Salerno,
Luisanna Pellecchia.
Si tratta del secondo atto della protesta che già a dicembre 2018 aveva visto sfilare i farmacisti dipendenti, disoccupati, borsisti e liberi professionisti sotto la sede dell’Ente previdenziale di categoria. Perché è una profonda riforma delle regole di contribuzione che questi farmacisti chiedono. A portare avanti le loro istanze non è solo Assofant. A evidenziare il bisogno di cambiamenti ci sono anche altre associazioni di farmacisti non titolari, come il Conasfa,
di cui abbiamo dato notizia ieri.
Assofant, però, è una delle associazioni che con più forza ha sostenuto la manifestazione del 9 aprile anche se, evidenzia Pellecchia, quella di Roma “non è la protesta di una associazione. Per questo sulle locandine non c’è logo. È una manifestazione che chiama a raccolta tutti i farmacisti dipendenti e disoccupati d’Italia, indipendentemente che facciano parte di una o un’altra associazione di categoria”. I partecipanti alla manifestazione, infatti, si riuniranno in una propria realtà, un “Comitato No Enpaf”, che sarà costituito proprio il 9 aprile.
Ma perché sotto Montecitorio per protestare contro l’Enpaf? Ce lo spiega Pellecchia in questa intervista. “Un’anacronistica legge del 1946 sugli Ordini delle professioni sanitarie prevede che tutti i farmacisti iscritti all'Albo, anche se disoccupati, debbano pagare una quota previdenziale all’Enpaf. Quindi anche i farmacisti dipendenti, oltre a pagare l’Inps, devono pagare una quota previdenziale ad Enpaf, benché ridotta, rispetto a quella versata dai liberi professionisti. Ma essendo, tutto ciò, previsto da una legge, è necessario un nuovo provvedimento legislativo per modificare le disposizioni del 1946. Ecco il motivo della protesta a Montecitorio. Vogliamo presentare le nostre istanze ai parlamentari e speriamo di essere ascoltati”.
L’Assofant sostiene la protesta, tuttavia non la promuove né lo fanno altre associazioni, giusto?
Abbiamo deciso che dovesse partire dalla base, cioè dai farmacisti dipendenti e disoccupati di tutta Italia, indipendentemente dall’appartenenza o no ad alcuna associazione di categoria. E’ una protesta contro un’ingiustizia subita da tutti i farmacisti che si trovano nella stessa situazione. È l’obiettivo che conta.
Di che situazione parla?
Dei farmacisti che pagano già i contributi Inps e sono costretti a pagare anche l’Enpaf, benché in forma ridotta, perché la legge prevede l’iscrizione d’ufficio all’Enpaf per i farmacisti iscritti all’Albo. Oggi in Italia i professionisti iscritti ad un albo sono obbligati all'iscrizione alla cassa di categoria solo quando liberi professionisti. Ma questo i farmacisti dipendenti, pur svolgendo un’unica professione come dipendenti, sono costretti ad un doppio obbligo previdenziale.
Ma il problema è legato non solo all'obbligo Enpaf, anche al suo sistema a quote fisse e al suo regolamento che penalizza i farmacisti più deboli, costretti a pagare quote fisse ed elevate anche se disoccupati.
Consideri che una norma prevede che il farmacista iscritto all'albo che supera i 5 anni di iscrizione e disoccupazione, anche frazionati, perde la possibilità di pagare una quota ridotta, ed è costretto a pagare circa 2.200€ all'anno all'Enpaf per mantenere l'iscrizione all'Albo. Non deve stupire, allora, se sempre più spesso i farmacisti disoccupati chiedono di essere cancellati dall’Ordine, e di conseguenza dall’Enpaf. Lo scorso anno a Salerno sono circa 100 i colleghi che hanno lasciato l’Ordine. Ma questo significa tagliarsi definitivamente fuori dal circuito del mondo del lavoro in farmacia.
Parliamo di cifre…
La quota intera per i titolari è di 4.400 euro all’anno. Poi sono previste 3 quote ridotte, del 335, del 50% e dell’85%. Ma, per intenderci, la quota con riduzione massima (85%) per gli iscritti per l'anno 2018 è di 714 euro, mentre lo stipendio medio di un farmacista dipendente si aggira intorno ai 1.400 euro lordo mensili, in pratica tra quota Enpaf e Quota Ordine quel farmacista dovrà rinunciare a una mensilità. Si immagini cosa voglia dire per un disoccupato, che dovrà pagare la quota pur non avendo stipendio.
E non finisce qui. Perché in termini di pensione, a 68 anni +9mesi, con il contributo minimo, l’Enpaf verserà di pensione al farmacista 54 euro al mese massimo. Le pare possibile?
Cosa chiedete, dunque?
La modifica del il D.LGS.C.P.S. 13 settembre 1946, n. 233, la separazione dell'iscrizione all'ordine professionale da quello all'Enpaf, che deve invece diventare facoltativa. Chiediamo poi il non pagamento della quota Enpaf per i disoccupati.
La situazione è grave, sia se si guarda al futuro che al passato, perché stiamo perdendo un enorme patrimonio umano e professionale costato, per la sua formazione, anni di sacrifici per lo studio, certo, ma anche per le famiglie che lo hanno sostenuto economicamente. Se non si fa qualcosa tutto andrà perso. La politica, ma anche la Fofi e l’Enpaf, non possono lasciare soli questi colleghi. Ne vale la vita di tante persone ma anche la dignità della nostra professione.