Sono circa 140mila gli operatori sanitari dipendenti del Servizio sanitario nazionale che a fine 2018 avevano raggiunto i requisiti per “Quota 100”. E di questi oltre 40mila (tra il 22 e il 26% per i dirigenti e il 28 e il 35% per il personale non dirigente sulla base delle nostre stime effettuate tenendo conto della percentuale di domande fino ad oggi presentate sul totale degli aventi diritto) sono tra i possibili ‘pensionandi’ con il nuovo meccanismo.
I primi a segnalare il pericolo erano stati
qualche settimana fa i medici che avevano annunciato una fuoriuscita possibile di circa 4.500 professionisti. Poi l’
allarme rosso degli infermieri, la categoria più numerosa del Ssn, le cui previsioni sono state di una perdita di oltre 22mila unità. Assistenza più che a rischio quindi, soprattutto nelle Regioni che stanno peggio, quelle con i piani di rientro, dove le carenze di personale sono già gravi e pesano sui servizi: oltre il 35% di chi potrebbe andare in pensione con Quota 100 è nei loro territori.
E per le altre categorie della sanità cosa potrebbe accadere? Per scoprirlo Quotidiano Sanità, ha elaborato i dati del Conto annuale della Ragioneria generale dello Stato relativi all'età anagrafica e all'anzianità professionale dei dipendenti del Ssn (il dato del Conto annuale è del 2016, ma ai calcoli sono stati aggiunti due anni al totale e inserito un indice di errore medio), estrapolando così una stima complessiva della possibile fuoriuscita anticipata per tutti gli operatori della sanità (esclusi gli amministrativi) che conferma le stime già fornite da medici e infermieri per le loro rispettive categorie, offrendo a questo punto un quadro complessivo della situazione che si potrebbe venire a creare se tutti gli aventi diritto optassero per la Quota 100.
Si tratta del 7,72% di tutti gli operatori della sanità (si intende solo chi si occupa di cura e assistenza, anche sociale) del Ssn: in un colpo solo una perdita superiore a quella che il servizio pubblico ha subito tra il 2009 e il 2016 (ultimo anno del Conto annuale dell’Economia) che tra blocco del turn over ormai più che decennale e razionalizzazioni varie ha perso in 7 anni circa 32mila operatori che si occupano della salute dei cittadini.
E anche se il Parlamento dovesse approvare l’emendamento al decreto su Quota 100 del Governo, con cui si prevede la possibilità di copertura dei posti resi vacanti dal pensionamento, la necessità di farlo tramite concorsi pubblici e di pesare il tutto su un fabbisogno di personale ancora non calcolato in molte Regioni, potrebbe allungare pericolosamente i tempi.
Come dicevamo gli infermieri sono la categoria più a rischio e che perdono più professionisti, è vero (oltre 22mila, in media circa il 55% di tutte le possibili uscite dal Ssn), ma anche per le altre professioni non va bene.
In valori assoluti la perdita maggiore è tra le figure del ruolo tecnico dedicate all’assistenza (operatori sociosanitari, operatori tecnici dell’assistenza, assistenti sociali, ausiliari). Con Quota 100 sono davanti all’uscita dal Ssn quasi 6mila unità di personale.
Seguono i medici che – confermando il dato calcolato dai loro sindacati – hanno circa 4.500 professionisti a rischio.
Ma devono mettere in conto migliaia di possibili perdite anche gli altri ruoli sanitari: circa 3.500 unità di personale tecnico, quasi 2mila di personale con funzioni riabilitative, poco più di 1.300 unità di personale di vigilanza e ispezione.
Ci sono poi i dirigenti sanitari non medici (farmacisti, chimici, fisici, psicologi ecc.) che perderebbero oltre 1.200 unità.
E perdono pezzi, ma in misura minore perché per loro c’è un numero minore di dipendenti nel Ssn, anche i veterinari dipendenti (poco più di 300) e gli odontoiatri dipendenti (sono un centinaio nel Ssn e con Quota 100 potrebbero andarsene 3).
La classifica del personale a rischio cambia se invece dei valori assoluti si considera la percentuale delle possibili uscite sul totale del personale dedicato nel servizio pubblico a cura e assistenza (non quindi quello tecnico e amministrativo).Al primo posto balza il personale di vigilanza e ispezione che perderebbe l’11,75% dell’attuale forza lavoro, seguito dal personale con funzioni riabilitative (-9,89%) e da quello tecnico sanitario (-9,75%).
Poi ci sono i dirigenti sanitari non medici (-9,13%), gli infermieri (- 8,45%), il personale del ruolo tecnico ma con funzioni assistenziali (-7,83%), i veterinari (-5,76%), i medici (-4,21%) e gli odontoiatri (-2,91%).
Diverso il peso dell’effetto possibile di Quota 100 nelle varie Regioni, considerando il peso percentuale delle perdite sul totale del personale che opera nei singoli territori.Ad esempio, per gli infermieri, la categoria che in termini assoluti perderebbe più personale, si va da un peso dell’uscita per Quota 100 che vale il 40,68% del personale attivo in Basilicata al 63,94% in Sicilia. Per il ruolo tecnico si passa dall’8,16% ancora della Basilicata al 20,24% della Lombardia e per i medici dall’1,73% sempre della Basilicata al 15,71% della Calabria.
Odontoiatri a parte, la categoria professionale le cui eventuali uscite incidono meno sugli organici è quella dei veterinari che rispetto al personale sanitario regionale registrerebbe un -0,24% in Liguria e -2,10% in Basilicata.
Non è detto che tutti i possibili ‘pensionandi’ decidano di lasciare, è vero, ma una riduzione così drastica di personale, anche in attesa di possibili rimpiazzi, ma dopo aver bandito, espletato e chiuso i concorsi, ha effetti evidenti: liste di attesa più lunghe (a curare ed assistere le persone sono le persone, è ovvio), territorio già oggi carente e subito domani sempre più abbandonato, carichi di lavoro per chi resta che se sono già al limite, lo supereranno presto con buona pace del rispetto delle norme europee su turni e riposi e soprattutto della sicurezza di operatori e pazienti.