Il pediatra non può rinviare la visita domiciliare e una volta effettuata non riconoscere la presenza di una violenta infezione in atto, omettendo di indirizzare la famiglia del bambino a un controllo presso il pronto soccorso per esami strumentali e di laboratorio.
La Cassazione (sentenza n. 3206 2019) partendo da questi presupposti ha respinto il ricorso di una dottoressa che condannata nei due gradi di merito (Tribunale e Corte d’appello) per omicidio colposo, riteneva di essere scusabile, nonostante avesse ritardato la visita domiciliare, perché aveva agito con colpa lieve e nel rispetto delle linee guida della comunità scientifica.
Il fatto
Una pediatra interpellata dalla famiglia di un bambino di 17 mesi con febbre alta, si era limitata a prescrivere telefonicamente paracetamolo e, successivamente ibuprofene. Poi, dopo averlo visitato nel pomeriggio non aveva formulato una corretta diagnosi nonostante un improvviso e forte calo della temperatura corporea e la comparsa di un esantema petecchiale sul corpo, segno di una sepsi batterica in atto.
Per la dottoressa non si riscontrava nulla di grave, ma semplici sintomi di influenza. Dall'auscultazione non aveva rilevato i sintomi della sepsi fulminante e non aveva rilevato altri indicatori quali le frequenze cardiaca e respiratoria o la pressione arteriosa. E non aveva indirizzato il bimbo al pronto soccorso per effettuare esami.
Ometteva quindi una visita accurata dei parametri del piccolo che avrebbe fornito dati obiettivi del quadro clinico di polmonite in atto, impedendo così che venissero somministrate le cure vitali.
La morte del bambino avveniva nella stessa serata.
La sentenza
La Cassazione esclude l'applicazione della norma (Balduzzi) sulla colpa lieve che decriminalizza la condotta del medico nel rispetto dell'applicazione delle linee guida medico-scientifiche e sottolinea che “le condotte omissive contestate alla prevenuta abbiano determinato le condizioni dell'evento fatale con alto o elevato grado di probabilità logica o credibilità razionale, potendosi escludere che la morte del bambino si sarebbe verificata, in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravita od intensità, se l'imputata non avesse omesso i comportamenti dovuti sul piano della migliore perizia e diligenza medica”.
La sentenza spiega poi che “per quanto attiene alla ‘colpa lieve’ invocata dalla ricorrente, è appena il caso di rilevare che la sentenza impugnata ha adeguatamente motivato sul punto nel senso di escluderla, in considerazione della notevole divergenza tra la condotta tenuta dall'imputata e quella cui sarebbe stata tenuta, avuto riguardo alla grave sottovalutazione delle condizioni generali e respiratorie del bambino, che avrebbero imposto la necessità di specifici riscontri mediante esami di laboratorio”.
“Sotto questo profilo – conclude la Cassazione - è stata, sostanzialmente, rimarcata la sussistenza di un marcato allontanamento del comportamento della pediatra da una appropriata condotta medica, certamente qualificabile in termini di colpa grave, tale da escludere che la fattispecie in esame possa essere ricondotta alla previsione decriminalizzante di cui all'art. 3 legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi)”.
Confermata quindi la condanna e anche il pagamento delle spese processuali.