Il rischio minimo non giustifica un consenso informato incompleto. Il paziente che si sottopone a intervento chirurgico deve essere sempre messo al corrente dei possibili rischi derivanti dall'operazione, anche se sono minimi. Lo chiarisce la Cassazione con l'ordinanza n. 30852/2018.
Il fatto
L’erede di un paziente deceduto aveva chiesto il risarcimento per il decesso del padre nel corso di un'operazione di revisione chirurgica di una protesi all'anca per una tromboembolia polmonare massiva da trombosi della vena femorale destra.
Secondo un CTU era impossibile una indicazione precisa in termini percentuali della riduzione del rischio trombotico se fosse stata somministrata una terapia a base di eparina e, quindi, il consenso informato era da considerare valido consenso sui rischi dell'intervento. La morte fu ricondotta a un trombo che si sarebbe potuto formare comunque.
In base a questa perizia il Tribunale ha rigettato in primo grado la domanda per mancato raggiungimento della prova del nesso causale tra la condotta del medico e la morte del paziente.
La Corte d’Appello ha poi confermato nei fatti la sentenza condannando il medico e la casa di cura a un risarcimento danni di 5000 euro oltre interessi compensativi sulla somma devalutata e poi rivalutata, compensando le spese.
L'ordinanza
La Cassazione non è stata affatto d’accordo con la sentenza e ha accolto il motivo del ricorso relativo alla violazione del diritto del paziente al consenso informato
, cassando la sentenza e rinviando alla Corte d'Appello in diversa composizione perché decida sul quantum da corrispondere.
Secondo la Cassazione la Corte d’Appello ha sbagliato nel non riconoscere il venir meno del diritto del paziente a essere informato dei rischi reali, e non vaghi e generici, stampati su un modulo del primo intervento e in particolare del rischio che l'intervento di artroprotesi dell'anca fosse a rischio di trombosi venosa profonda al 50% delle probabilità e che l'incidenza dell'embolia polmonare mortale fosse intorno al 2%: se il paziente fosse stato informato bene avrebbe potuto chiedere un consulto con lo specialista angiologo e l'esecuzione dell'ecodoppler molto prima che venisse eseguito il secondo intervento.
La Cassazione quindi, accogliendo il motivo del ricorso, ha ritenuto evidente la prova dell'inadempimento legato alla mancata e completa informazione sul rischio del primo intervento, con l'effetto che "su tale punto resta fermo l'
an debeatur, mentre per il quantum dovranno essere riesaminate le pretese risarcitorie dell'erede che agisce in proprio o in tale veste come si dovrà desumere dall'atto introduttivo."
Ha invece rigettato il ricorso sul secondo profilo del consenso informato per il secondo intervento riparatore perché il ricorrente avrebbe dovuto allegare e provare l'esistenza e l'entità del danno. Per questo la Corte d’Appello, vista la diversità del diritto alla salute rispetto al diritto al consenso informato, si è trovata nella necessità di rigettare la domanda, mancando la prova che il paziente, se fosse stato debitamente informato, non si sarebbe sottoposto all'intervento.
Per la Cassazione la Corte d’Appello “avendo riconosciuto l'
an in ordine alla violazione del diritto al consenso informato, avrebbe dovuto semplicemente pronunciarsi sul quantum, trattandosi di un giudizio rescissorio con funzione prosecutoria. Era precluso alla Corte d'Appello procedere, come invece ha fatto, all'accertamento dell'esistenza stessa del credito risarcitorio…. E la Corte ha errato nel non ritenere provati, in quanto consequenziali, i danni derivanti dalla mancanza di consenso informato sul primo intervento, distinguendo i danni ‘iure proprio’ da quelli ‘iure hereditatis’”.
La Cassazione poi censura il giudizio contro-fattuale seguito dalla Corte d’Appello per prospettare un diverso e opposto giudizio controfattuale giungendo alla conclusione che il paziente si sarebbe certamente sottoposto all'intervento anche se fosse stato informato delle conseguenze potenzialmente lesive.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso e stabilito che la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d'Appello, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di Cassazione.