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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Lavoro e Professioni

Infezioni ospedaliere. Nosocomio responsabile se non può dimostrare di aver fatto tutto il necessario per evitarle. Tribunale di Roma condanna azienda a risarcire il paziente

immagine 3 ottobre - Il Giudice ha condannato (sentenza 27 settembre 2018) un'azienda ospedaliera della Capitale al risarcimento di quasi 10mila euro a un paziente che dopo un intervento chirurgico aveva contratto un'infezione ospedaliera, poi recidivata, che lo aveva costretto a sottoporsi a ulteriori interventi chirurgici. Linee guida e protocolli inutili se non si vigila "quotidianamente, nei modi possibili e fattibili, sull'applicazione di esse sul campo, cosa che avviene di rado". LA SENTENZA.
Le infezioni ospedaliere non sono colpa di chi ha curato il paziente ma della struttura dove questo è stato curato e vanno condannate. Con questo principio il Tribunale di Roma ha condannato un’azienda ospedaliera a risarcire un paziente di quasi 10mila euro per aver contratto durante un ricovero e come conseguenza di questo un'infezione che lo aveva costretto a sottoporsi a ulteriori interventi chirurgici.

Il fatto
Un paziente veniva sottoposto ad intervento chirurgico e gli venivano impiantate le valvole meccaniche in posizione aortica e mitralica previa resternotomia mediana suturata al termine dell’intervento con punti metallici sullo sterno e piani superficiali.
 
Si era quindi manifestata una infezione della ferita sternale e veniva accertata la presenza di Corynebaiterium Amyiolatum. Il paziente è stato sottoposto a terapia antibiotica mirata associata a Vac-therapy. Una volta risolta l’infezione, la VAC è stata rimossa e la ferita suturata.
 
Una volta dimesso, quasi un anno dopo, si manifestava una recidiva dell’infezione e il paziente veniva ricoverato di nuovo e sottoposto a nuovo intervento chirurgico per la rimozione dei fili metallici della sternotopia. In quell’occasione si accertava anche la presenza dell’infezione da Corynebaiterium Amyiolatum ed era sottoposto di nuovo a terapia antibiotica.
 
Il paziente non si lamentava dell’intervento, ma dell’infezione ospedaliera per la quale chideva un risarcimento e l’ospedale si costituiva contestando la domanda ed evidenziano che al paziente erano state somministrate le migliore terapie per debellare l’infezione insorta, mentre non c’era nessuna correlazione con l’infezione insorta e diagnosticata dell’operazione.
 
Una prima perizia rilevava il nesso causale tra l’intervento e l’infezione della ferita da considerarsi a tutti gli effetti ospedaliera. Reputava in ogni caso che l’infezione non fosse attribuibile a malpractce medica quanto a carenza strutturali e organizzative dell’ospedale.
 
Per approfondire questo aspetto supposto dal CTU il giudice disponeva una nuova consulenza secondo la quale:
- non c’erano dubbi che il batterio fosse di origine ospedaliera. Quanto al primo contagio è concomitante all'intervento chirurgico e quindi laa cosa appare ovvia, quanto al secondo contagio il CTU motIva (anche per il tipo di batterio rilevato) che anche questo caso fosse legato al primo, senza il quale non vi sarebbe stato neppure il secondo;
- in secondo luogo ritiene che il contagio presuppone una qualche carenza, una deficienza di attenzione e di messa in opera in ordine alle procedure di sanifcazione e di asetticità che devono costantemente garantire la sicurezza del paziente contro i contagi da infezioni nella struttura ospedaliera.
 
La sentenza
Secondo il Giudice è pressoché impossibile, anche accertando la natura e provenienza ospedaliera del batterio che ha contagiato il paziente ricoverato, e anche nella certezza che questo non fosse affetto prima del ricovero dalla relativa patologia infettiva, individuare il luogo e il momento, il settore di attività, la causa scatenante, il punto debole della catena di protezione delle misure di sanifcazione. In altre parole, la mancata identificazione del dove e del quando e del come il batterio sia stato trasmesso al paziente è una costante della vicenda, anche in sede giudiziale.
 
Una volta accertato quindi che il paziente abbia contratto l’infezione, si legge nella sentenza, “in virtù dei principi che regolano l'onere della prova, in materia contrattuale non vi può essere alcun dubbio che incombe alla struttura ospedaliera provare di avere adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale, al fine di evitare la contaminazione. In altre parole l’Ao doveva fornire la prova che l'evento dannoso (contagio) non rientra tra le complicanze prevedibili ed evitabili. Qual è il modo di adempiere a tale prova negativa? Quello di fornire la prova positiva di aver fatto tutto quanto la scienza del settore ha finora escogitato per evitare o quanto meno ridurre al massimo il rischio di contaminazione e di diffusione del contagio”.
 
Dall’ulteriore, dettagliata, perizia chiesta dal Giudice può affermarsi, si legge ancora nella sentenza, “con assoluta certezza, che si aggiunge al deficit probatorio dell’Azienda, e in assenza di contributi di qualche efficacia dei CTP delle parti …. che è mancata la doverosa ed esigibile attenzione, da parte del nosocomio, alla predisposizione ed attuazione di adeguate misure di sanificazione”.
 
In questo senso il commento del Giudice nella sentenza è che “non può che apprezzarsi la sconsolata veritiera conclusione alla quale giunge il consulente infettivologo del giudice: ‘Da tutto quanto espresso è doveroso concludere che è completamente inutile elaborare protocolli e linee-guida da parte dei Comitati per le infezioni ospedaliere, ma è necessario invece vigilare quotidianamente, nei modi possibili e fattibili, sull'applicazione di esse sul campo, cosa che avviene di rado, come hanno dimostrato gli studi e che evidentemente non è avvenuto nel caso che abbiamo trattato’”.
 
La sentenza rileva quindi il danno biologico sia temporaneo che permanente evidenziando che le infezioni ospedaliere, oltre a essere una contraddizione, rappresentano un problema reale della sanità pubblica, che comporta un peso economico per i cittadini e un fallimento dell'assistenza.
 
E conclude, condannando al risarcimento del paziente la struttura, che in assenza della prova da parte di questa di aver adottato tutte le misure utili e necessarie per una corretta sanificazione ambientale e che quindi il contagio non sia una complicanza prevedibile ed evitabile della prestazione al paziente, “deve ritenersi che il nosocomio non abbia predisposto e adottato adeguate misure di sanificazione, con accoglimento delle pretese risarcitorie del paziente che, eventualmente, lo abbia tratto in giudizio”.
3 ottobre 2018
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