La Balduzzi “batte” la Gelli per i fatti di colpa medica commessi tra il 14 settembre 2012 e il 1° aprile 2017, da quando la prima legge è entrata in vigore quindi, fino all’applicazione ufficiale della seconda, “in quanto più favorevole”.
A deciderlo è stata la quarta sezione penale della Cassazione (sentenza 36723/2018) che ha ricalcato le indicazioni delle Sezioni Unite (sentenza
8770/2018) circa l’utilizzo delle due leggi in caso di fatti penali inquadrabili nella colpa sanitaria, ribadendo che la Balduzzi prevale sulla Gelli/Bianco in quanto vera e propria abolitio criminis, invece della causa di non punibilità prevista dalla normativa del 2017.
Il fatto
Un paziente si recava in Pronto soccorso per dolori addominali e nausea, dove gli veniva riscontrata un'infiammazione acuta della colecisti (colecistite acuta). Era quindi trasferito nel reparto di chirurgia e sottoposto a intervento chirurgico di colecistectomia video-Iaparoscopica.
Durante l’intervento, nella fase di "clippaggio", in cui si lega mediante clips metalliche l'arteria e il dotto cistico prima dell'asportazione della colecisti, i medici, per imperizia e imprudenza, hanno posizionato per errore una clip metallica sul dotto epatico comune, al di sotto della confluenza dei dotti epatici di destra e di sinistra, ostruendo completamente il deflusso del liquido biliare nel canale intestinale con conseguente versamento nella cavità peritoneale. Nei giorni successivi le condizioni del paziente sono state monitorate e il livello di bilirubina totale e di bilirubinemia diretta tendeva a salire.
Poi, nei giorni ancora successivi è subentrato ittero e subito dopo veniva richiesta una ERCP (colangiopancreatografia retrogada endoscopica) sulla base di una diagnosi di colecistite acuta, esame che veniva tentato nei due giorni successivi. Lo stesso giorno il paziente, rientrato all'ospedale, era sottoposto a ecografia per sospetto clinico di calcolosi coledocica, ma l'esame “veniva marcatamente inficiato” dal discreto meteorismo intestinale.
Si programmava quindi un'ulteriore ERCP. Lo stesso giorno è stata eseguita anche una TAC addominale senza mezzo di contrasto e ColangioRm, le quali permettevano di concludere per ostruzione della via biliare extraepatica con associata raccolta complicata nel letto della colecisti a quest'ultimo livello di maggiore estensione e in sede lateroconale più esteso a destra, nello spazio pararenale destro.
Nei giorni successivi era eseguita una nuova TAC con mezzo di contrasto e il paziente veniva trasferito presso una clinica ospedaliera dove era ricoverato con diagnosi di stenosi iatrogena della VBP. Di lì a poco il paziente veniva operato in urgenza per intervento chirurgico di caledoco-coledocoanastomosi su tubo di Kher vs epaticodigiunoanastomosi per ittero ingravescente.
Nel corso dell'intervento veniva riconosciuto il dotto cistico sul quale era stata applicata la clip metallica nel corso del precedente intervento e individuata la seconda clip presente sul dotto epatico comune, al di sotto della confluenza dei dotti epatici di destra e di sinistra, a ostruzione completa del lume.
La clip era rimossa. La brevissima distanza tra la sede della lesione del dotto epatico e la confluenza dei dotti di destra e di sinistra non permetteva di isolare una bocca anastomotica unica per la ricostruzione della continuità dello scarico biliare. Veniva quindi confezionata doppia anastomosi termino-laterale tra dotto epatico destro e dotto epatico sinistro e ansa digiunale antecolica alla Roux, con confezionamento del piede dell'ansa circa 50 cm a valle delle anastomosi bilieenteriche.
Erano poi posizionati tre drenaggi tubulari, ma nei giorni successivi si rilevava fuoriuscita di bile in quantità che arrivavano a 400 cc stabili nel drenaggio percutaneo. Dopo qualche giorno compariva temperatura cutanea di 38,2 °C e leucocitosi e il giorno successivo si potenziava la terapia antibiotica e si medicava la ferita infetta con bilicoltura positiva per Enterococcus faecium e Escherichia coli.
Successivamente il paziente è stato sottoposto a intervento chirurgico di laparotomia destra allargata lungo la linea mediana allo xifoide sulla precedente laparotomia, il quale rivelava diastasi completa della precedente sintesi della parte addominale, lisi di aderenze peritoneali viscero-viscerali e visceroparietali e deiscenza delle anastomosi bilioenteriche confezionate nel precedente intervento e della parete anteriore dell'anastomosi digiuno digiunale al piede dell'ansa alla Roux. II paziente veniva trasferito in rianimazione, sedato e intubato.
Nei giorni successivi la situazione rimaneva analoga: il paziente rimaneva sedato, con ventilazione meccanica, circolo e diuresi sostenuti farmacologicamente. Poi è stata effettuava TAC che evidenziava una falda 'di versamento pleurico bilaterale maggiore a destra. Subito dopo le condizioni sono peggiorate rapidamente con crisi epilettiche e segni di insufficienza multiorganica e il giorno dopo le condizioni diventavano gravissime e si effettuava una revisione chirurgica. Il giorno ancora successivo le condizioni si aggravavano essendo il paziente in stato epilettico con crisi convulsive generalizzate e di lì a due giorni se ne constatava il decesso, dopo 25 giorni di accertamenti, interventi e peggioramenti.
La sentenza
I giudici di merito hanno ritenuto senza dubbio provata la responsabilità penale degli imputati per colpa legata a una loro condotta commissiva, ossia all'errore consistito nel posizionare una clip metallica sul dotto epatico comune, occludendolo totalmente, ritenendo che tale occlusione non potesse considerarsi come complicanza dell'intervento, ma vero e proprio errore dei chirurghi.
E concludevano ritenendo che le condotte colpose, sia commissiva sia omissiva, addebitate agli imputati, fossero da considerarsi in stretto rapporto causale rispetto alla verifica dell'evento, in quanto se i medici non avessero erroneamente posizionato la clip metallica sul dotto epatico comune invece che sulla arteria cistica e se avessero, nel trattamento post-operatorio del paziente, sulla scorta dei segni clinici ed effettuando semplici esami diagnostici di primo livello, non invasivi e disponibili presso l'ospedale avrebbero effettuato una “doverosa, immediata e corretta diagnosi del danno iatrogeno determinante i crescenti valori di bilirubina e la comparsa di ittero ingravescente, il decesso non si sarebbe verificato”.
“La giurisprudenza di questa Corte – spiega la Cassazione nella sentenza - afferma che, in tema di colpa professionale medica, l'errore diagnostico si configura non solo quando, in presenza di uno o più sintomi di una malattia, non si riesca a inquadrare il caso clinico in una patologia nota alla scienza o si addivenga a un inquadramento erroneo, ma anche quando si ometta di eseguire o disporre controlli ed accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi”.
Questo sarebbe ciò che è accaduto nella vicenda, fermo restando, sottolineano i giudici, “il grave errore chirurgico di cui si è detto, infatti, i giudici di merito ritenevano correttamente che gli imputati versassero anche in colpa omissiva per avere omesso una tempestiva diagnosi differenziale nel periodo post-operatorio. I due medici, infatti, avevano omesso - dopo avere eseguito l'intervento chirurgico - di individuare con la dovuta prontezza l'errore chirurgico, per colpa grave e in violazione delle linee guida specifiche”.
Evidente quindi secondo la Cassazione la colpa omissiva degli imputati, consistita nell'errore diagnostico e nella reiterata violazione delle linee guida relative agli esami da effettuarsi in presenza del quadro sintomatologico riscontrabile.
“Tali due profili di colpa – si legge nella sentenza - devono correttamente ritenersi causalmente determinanti per il verificarsi dell'evento morte, dovendosi pertanto rigettare anche le censure difensive avanzate in ordine alla ricostruzione del nesso causale. L'accertamento del nesso causale deve avvenire con identico rigore in presenza sia di condotte attive sia di condotte omissive”.
“Ciò chiarito in linea di principio – prosegue la sentenza - è tuttavia noto che, in presenza di c.d. causalità commissiva, l'individuazione della progressione causale risulti facilitata. La natura commissiva della condotta, infatti, consiste nella trasgressione di un divieto, e quindi in un'azione difforme dal comportamento imposto dalla regola cautelare. Ciò implica che, ai fini dell'accertamento del nesso causale con l'evento, il giudizio controfattuale sia operato valutando se l'evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva. In altri termini, è necessario che il giudizio controfattuale non sia compiuto dando per avvenuta la condotta impeditiva e chiedendosi se, posta in essere la stessa, l'evento si sarebbe ugualmente realizzato in termini di elevata credibilità razionale (come accade nella causalità omissiva), bensì valutando se l'evento si sarebbe ugualmente verificato anche in assenza della condotta commissiva”.
In questo caso, scrive la Cassazione nella sentenza, “sono due i profili di colpa generica contestati agli imputati, uno commissivo e uno omissivo. Quanto a quello commissivo - consistente nell'avere i medici "clippato" erroneamente il dotto epatico comune nel corso dell'intervento di colecistectomia - non v'è dubbio che si tratti di un errore di tecnica chirurgica, come tale riconducibile alla species dell'imperizia”.
La Corte prosegue ricordano che “deve dunque essere affermato il principio di diritto per cui, in tema di responsabilità del professionista sanitario, qualora il fatto sia stato commesso sotto la vigenza dell'art. 3, c. 1, d.1. n. 158/2012, in presenza di errore dovuto ad imperizia non grave e intervenuto nella fase esecutiva delle raccomandazioni previste dalle linee guida adeguate al caso specifico, la suddetta previsione deve essere considerata più favorevole di quella di cui all'art. 590-sexies cod.pen. (introdotto con legge n. 24/2017), dal momento che integra una parziale abolitio criminis e non una mera causa di non punibilità, dovendo dunque essere applicata a norma dell'art. 2 cod.pen”.
Chiarito dunque che l'orizzonte normativo entro cui ricondurre il caso di specie debba essere quello della legge Balduzzi - come già correttamente affermato dalla sentenza d'appello – secondo la Cassazione “risultano infondati i motivi di ricorso volti a censurare il diniego di applicazione in concreto di tale disposizione da parte dei giudici di merito. Ciò a causa della gravità dell'errore chirurgico, che non permette di ritenere lieve l'imperizia degli imputati e che esclude in radice l'applicabilità dell'art. 3 citato. I giudici di merito, infatti, evidenziavano che i dottori erano chirurghi ospedalieri con esperienza ultraventennale, con elevatissima casistica di interventi alla colecisti eseguiti in laparoscopia e che pertanto dovevano considerarsi professionisti dotati di rilevante e approfondito bagaglio di conoscenze specialistiche; che l'intervento era di routine, essendo stato programmato e non eseguito in via d'urgenza e che esso rientrava nell'assoluta normalità, non implicando la risoluzione di problemi di particolare difficoltà”.
Per quanto riguarda la colpa omissiva - omessa tempestiva diagnosi differenziale della lesione iatrogena provocata nel corso dell'intervento chirurgico – “deve concludersi per la sua natura di errore diagnostico, dovuto a negligenza, intervenuto in innegabile ed evidente discostamento dalle linee guida, che prescrivevano, prioritariamente, di fare effettuare esami diagnostici di primo livello, non invasivi e prontamente disponibili, e solamente in subordine procedere all'ERCP. Ne consegue che, trattandosi di negligenza e di linee guida non rispettate, la legge Balduzzi risulti anche in questo caso essere la norma più favorevole”.
La Cassazione conclude affermando che “anche con riferimento a questo profilo di colpa, tuttavia, deve correttamente escludersi l'applicabilità della legge Balduzzi, essendosi in presenza di colpa grave, dovuta ad una deviazione ragguardevole rispetto all'agire appropriato, ossia al parametro dato dal complesso delle raccomandazioni contenute nelle linee guida di riferimento. Il trattamento post-operatorio non presentava alcuna difficoltà nel cogliere e collegare le informazioni cliniche a disposizione e dunque le omissioni degli imputati dovevano considerarsi marcatamente distanti dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della patologia e delle condizioni del paziente”.
I giudici hanno quindi chiuso la vicenda con la condanna dei due chirurghi per i due distinti momenti del trattamento di un paziente: un intervento operatorio terminato con il clippaggio del dotto epatico comune (errore tecnico determinato da “grave imperizia”), e da un altrettanto rilevante colpa omissiva per non aver disposto esami diagnostici di primo livello per individuare la causa dei gravi sintomi post operatori del paziente.
Nel ribadire il “maggior favore” della Balduzzi - che di fatto riconduce la colpa lieve solo per l’aspetto civilistico - sulla Gelli/Bianco (che si limita a individuare la non punibilità se c’è stato il rispetto delle linee guida o, in mancanza, delle «buone pratiche clinico-assistenziali») la Quarte sezione penale ha confermato in questo caso la condanna dei due medici perché la colpa a loro ascrivibile va ben oltre la “lievità” spigata dalla Balduzzi, sia nella fase commissiva (l’aver clippato, cioè bloccato, il dotto epatico principale del paziente) sia nella fase omissiva, per aver proceduto direttamente con un’invasiva indagine Ercp invece che con accertamenti di primo livello. Colpe che, peraltro, sarebbero state inemendabili anche applicando la Gelli/Bianco.