Il chirurgo del futuro toccherà sempre meno il paziente e si affiderà sempre di più ai robot, in grado di effettuare interventi di chirurgia microinvasiva con una precisione impensabile per l’essere umano.
Gli statunitensi prevedono che nei prossimi cinque anni l’80% dell’intera chirurgia diventerà robotica, ma già oggi i numeri parlano chiaro: “Nel 2005, dei 105 mila interventi di urologia oncologica compiuti in 700 ospedali americani, il 70% erano in chirurgia aperta e il 30% in chirurgia robotica. Nel 2017 il rapporto si è invertito: degli 88 mila interventi effettuati, solo il 31% era in chirurgia aperta, a fronte di un 69% condotti con l’ausilio di robot”, riassume
Walter Artibani, direttore dell’Unità operativa di Urologia dell’Aou integrata di Verona e segretario generale della Siu, la Società italiana di urologia.
E l’Italia non sembra essere da meno: “Siamo leader in Europa per numero di robot in sala operatoria – rende noto
Vincenzo Mirone, direttore della Scuola di specializzazione in Urologia dell’Università Federico II di Napoli e responsabile dell’ufficio comunicazione della Siu – Con la recente istallazione al Policlinico di Catania, abbiamo raggiunto quota 100 nel nostro Paese”.
Tra i robot più diffusi al mondo c’è il Da Vinci: prodotto da Intuitive Surgical, è considerato oggi l’unica tecnologia disponibile per una reale chirurgia robotica. I bracci robotici che intervengono sul paziente consentono una libertà di movimento su 7 assi e una rotazione di circa 540°. Con le sue due consolle, inoltre, cambia anche la didattica delle scuole di specializzazione: “Il giovane medico è immerso nell’operazione al pari di chi la sta effettuando e può svolgerne alcune parti con il sistema “scuola guida”, monitorato cioè costantemente da chi è più esperto”, spiega Artibani. In futuro la tecnologia potrebbe permettere di effettuare simulazioni delle operazioni più complesse, al pari di quello che succede per i piloti, in modo che il chirurgo sia in grado di gestire al meglio le situazioni più delicate.
Urologia in pole position
Nel 2017 in Italia ci sono stati circa 18 mila interventi di chirurgia robotica, di cui quasi 12 mila in ambito urologico. Nel Belpaese ci si affida al robot soprattutto per le operazioni per tumore di prostata, rene e vescica, cui segue la chirurgia generale e la ginecologia. I motivi del successo in urologia sono la maggior precisione del braccio meccanico, la facilità d’accesso alle anatomie più complesse, minor sanguinamento e degenza post operatoria più breve. “Un robot Da Vinci costa circa tre milioni di euro – afferma Artibani – Si tratta di un investimento iniziale importante che viene però ammortizzato nel lungo periodo: i pazienti infatti sono mandati a casa prima rispetto agli interventi tradizionali”. Affinché sia sostenibile e competitivo, tuttavia, un centro deve trattare almeno 200 pazienti l’anno.
“Nel caso del tumore alla prostata, il robot permette di recuperare in modo completo e più rapido la continenza urinaria e una buona erezione, anche a fronte di interventi fortemente demolitivi”, riporta Mirone. Il rischio di impotenza, negli uomini giovani e sottoposti a intervento tradizionale, può infatti sfiorare il 60% nel primo anno dall’operazione.
In Italia il tumore della prostata interessa ogni anno 36 mila persone e provoca circa 7 mila decessi.
Distribuzione geografica. Dei 100 robot Da Vinci presenti in Italia, 51 si trovano al Nord (22 nella sola Lombardia), 30 al Centro (di cui 13 in Toscana) e 19 al Sud. “I robot istallati in Italia sono in continua e costante crescita, ma c’è ancora tanto da fare per colmare il divario tra aree geografiche – ammette Mirone – Questo gap deve essere sanato il prima possibile per frenare il fenomeno della migrazione sanitaria che spinge i malati ad abbandonare le proprie regioni di appartenenza alla ricerca di cure migliori, fronteggiando maggiori costi sanitari. La robotica al Sud è partita benissimo e si trova ora in una fase di massimo sviluppo. Quest’anno, per la prima volta, l’evento più importante dedicato agli utilizzatori di Da Vinci in urologia si è tenuto a Napoli. Si tratta di un segnale forte”.
Quali difficoltà. Come ogni innovazione, anche la robotica ha il suo rovescio della medaglia: “Su 320 centri di urologia italiani, circa un terzo hanno il robot”, nota Artibani. Per le prostatectomie, per esempio, nei centri utilizzatori il 90% degli interventi viene eseguito roboticamente. In Italia, invece, sul totale complessivo degli interventi di questo tipo, solo il 35% è robotico. “È auspicabile che si crei una rete integrata dei centri ad alta tecnologia, che sono quelli dove si concentrano i robot”, si augura l’esperto veronese.
L’altro aspetto critico riguarda il training dei giovani medici che grazie al Da Vinci apprendono in fretta la manualità necessaria a maneggiare i joystick del robot, ma rischiano di incontrare maggiori difficoltà con altri tipi di chirurgia più tradizionale. “Ci troviamo in una fase di transizione in cui vecchio e nuovo convivono – ammette Artibani – Sono certo che nei prossimi anni assisteremo a un’esplosione di queste tecnologie, che diventeranno sempre più autonome e permetteranno di preparare i chirurghi a gestire le emergenze nel migliore dei modi possibile grazie alle simulazioni degli interventi, cosa impensabile fino a pochi anni fa”.
Michela Perrone