Domani, primo maggio, si celebra in tutto il mondo una giornata di festa. Non una festa in senso stretto, non un’assenza dal lavoro con il pretesto – se la stagione lo consente – di una gita fuor di porta.
E neppure la rituale – seppur convinta – partecipazione a manifestazioni può ridurre la valenza complessiva di un giorno che simboleggia ovunque un’emancipazione dei lavoratori (indistintamente intesi) dall’applicazione grigia e acritica di canoni comportamentali, orari, turni, tempi di produzione.
Il primo maggio è tutto questo e molto ancora. Di più.
Perché ciascuno di noi, intimamente, ne arricchisce il significato e lo fa proprio.
Una festa individuale, quindi, che diventa di tutti perché nessuno deve essere escluso.
E purtroppo sappiamo quanti ancora lo sono.
Persone che non hanno ancora avuto il modo di entrare nel mondo del lavoro e altri che invece ne sono stati traumaticamente espulsi. Speriamo solo per poco…
Ma per una volta ci focalizziamo su una situazione che da episodica sta diventando rapidamente e drammaticamente comune.
Ci sono categorie di lavoratori che hanno nella propria essenza il lavoro festivo, sia esso domenicale sia esso in altre giornate della settimana.
Ci sono le forze dell’ordine, gli addetti alla ristorazione e allo spettacolo, e sono in aumento i lavoratori della distribuzione, del commercio che le leggi del mercato costringono a lavorare nei giorni canonicamente festivi.
Ma – e lo sanno tutti – c’è una categoria che proprio non può distinguere un giorno dall’altro, un insieme di persone che ha duramente studiato solo per dedicarsi agli altri.
L’art. 4 della nostra mai troppo conosciuta Costituzione asserisce che tutti hanno il dovere di contribuire al progresso della nazione con la propria attività.
E la difesa della salute è il primo obbligo per uno stato civile.
Pare – ai tempi d’oggi – che si sia però persa di vista la tutela di chi tutela il nostro benessere.
Medici e professionisti della sanità vengono - giornalmente ormai - maltrattati, insultati, aggrediti nei modi più violenti. Sia per un tempo di attesa che pare eccessivo, sia per un vaccino, sia per la nulla vigilanza nelle guardie mediche…medici e professionisti sono diventati categoria a rischio molto più di quanti non svolgano per propria scelta professioni naturalmente più pericolose.
Assistiamo quindi al drammatico paradosso per cui chi “dà la vita” rischia di perdere la propria, chi aiuta viene aggredito, chi soccorre insultato e minacciato.
E allora… oggi… che festa del lavoro è, per chi di solito lavora di festa?
La sanità è un bene assoluto di qualsiasi nazione, da preservare e difendere da ogni lato.
Crescere in cultura, in prevenzione, ma anche in investimenti per la sicurezza, affinché ci sia sicurezza sul lavoro ovunque, e non solo dove si credeva fosse necessario. L’Italia di oggi ne ha terribilmente bisogno.
Che sia un primo maggio di profonda riflessione per tutti.
Biagio Papotto
Segretario Generale Cisl Medici