L’”indennità De Maria” non c’è più per il personale dirigente (ad abrogarla è stato il Dlgs 517/1999), ma nessuno l’ha mai “cancellata” per il personale del comparto dal Dpr 761/1979 in poi.
La sua funzione era (e per il personale del comparto a quanto pare è) quella di equiparare aritmeticamente la retribuzione complessiva che spetta all’equivalente figura del Ssn alla retribuzione universitaria di chi svolge compiti, oltre che di insegnamento, di assistenza.
Con l’entrata in vigore del Dlgs 517/1999, cessa quindi l’applicazione dell’art. 102 del D.P.R. 382/80 (quello che ha definito l’indennità che prende il nome del suo creatore nel 1979: Beniamino De Maria, padre costituente e poi deputato Dc di lungo corso), nei confronti del personale docente e ricercatore universitario “strutturato”, ma l’art. 31 del Dpr 761/1979 resta in vita (esclusivamente) nei confronti del personale del comparto, escluso dall’applicazione del Dlgs 517/1999.
Così la Cassazione civile (sentenza 5510/2018, depositata l'8 marzo) ha deciso che proprio in base alla “De Maria” deve essere concessa la perequazione economica al dipendente che rientra nel personale universitario e che grazie a un concorso interno sia passato dalla posizione C4 alla D equivalente a quella di dirigente del comparto sanitario.
Il fatto
La Corte di appello di Roma ha respinto l'appellopropostodi un dipendente dell’Università contro la sentenza del Tribunale, che aveva rigettato la domandadiottenere la corresponsione delle differenze stipendiali tra ii trattamento economico ingodimento e quello spettante in base al contratto 1998/2001 del personaleuniversitario edell'art. 31 del Dpr 761/1979, corrispondente a quello dei dirigenti sanitari non medici(IX livello) del Servizio sanitario nazionale.
II dipendente dell'Università, al lavoro presso il Policlinico aveva rivendicato l'indennità De Maria per la formale equiparazione alla categoria della dirigenza sanitaria, in quanta inquadrato nella categoria D1 a decorrere dal gennaio 2001 e nella categoria D2 dal gennaio2004.
La sentenza
La Corte di Appello ha sostenuto, respingendo la richiesta, che l'equiparazione era regolata non dal decreto Interministeriale del 9 novembre 1982, che aveva individuato le corrispondenze del personale in servizio presso l'Università e quello delle allora Unita sanitarie locali, ma dalla contrattazione collettiva: articolo 51 del contratto 1998/2001. La Corte ha ritenuto che l'inquadramento nella categoria D, avvenuto per la progressione verticale ottenuta con concorso interno, provenendo dalla posizione C4, non poteva comportare ii riconoscimento dell'appartenenza a un più elevato livello, perché non erano svolte mansioni corrispondenti al livello dirigenziale superiore che, unico, avrebbe potuto far riconoscere il diritto.
La Cassazione ha deciso invece che il ricorso va accolto – e cassata e rinviata al mittente la sentenza della Corte di Appello – per tre principi di diritto:
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l’articolo 31 del Dpr 761/1979 ha conservato la sua efficiacia per effetto della contrattazione collettiva fino all’entrata in vigore dell’articolo 28 del contratto 27/1/2005 per il personale del comparto università (quadriennio 2002.2005);
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la norma, che vincola la corresponsione della “De Maria” all’equiparazione del personale Universitario a quello del Ssn, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, non comporta l’applicazione di una equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche a indennità spettanti solo in relazione al conferimento di incarichi dirigenziali;
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i benefici economici che derivano dall’applicazione del contratto del 2000 e di quello del 2003, sono conservati “ad personam”, salvo eventuale successivo riassorbimento.
Quindi, come spiega la sentenza, poiché il ricorrente non aveva mai eccepito di aver assunto o svolto funzioni dirigenziali aveva diritto alla specifica indennità solo in funzione del proprio avanzamento di qualifica che corrispondeva a quella di dirigente di primo livello del contratto della dirigenza del comparto sanità. L'indennità in definitiva è stata concessa a parità di qualifiche sulla carta ma non dal punto di vista dell'assunzione tantomeno dello svolgimento di incarichi di natura strettamente dirigenziale.
Per questo la Cassazione “accoglie il ricorso nei limiti anzidetti cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione”.