Un aborto mal eseguito e una nascita indesiderata che hanno portato a un cambiamento completo di vita di una famiglia: l’errore medico si paga (lo paga anche la struttura) non solo alla madre, ma anche al padre che non può rimanere estraneo alla vicenda e rientra quindi tra i soggetti ‘protetti’.
Così ha deciso la Cassazione con la sentenza 2675/2018, rinviando alla Corte di Appello la sentenza con cui questa aveva rifiutato il risarcimento di una coppia a cui era nata una bambina – non voluta - dopo un raschiamento mal eseguito.
Il fatto
Una donna incinta aveva deciso con il marito per l'aborto in funzione dell’età avanzata. Quindi si era sottoposta all'intervento di raschiamento, mal eseguito presso una struttura sanitaria. La gravidanza era andata avanti e non potendo più procedere a un ulteriore tentativo di aborto perché si erano superati i termini previsti dalla legge 194, era nata una bambina.
Sia la madre che il padre – che avevano già un altro figlio - avevano dovuto cambiare completamente il loro stile di vita:
la moglie aveva dovuto rinunciare al proprio lavoro per occuparsi della neonata,
il padre aveva rassegnato le dimissioni dal posto di lavoro per ottenere liquidità con il Tfr, necessaria per provvedere ai nuovi bisogni della famiglia ed
era stato poi costretto a trasferire la residenza in altra città, dove aveva dovuto ricercare una diversa attività lavorativa.
Per questi fatti e i gravi danni che ne sono conseguiti, la coppia ha chiesto il risarcimento, ma i giudici di merito avevano rigettato la richiesta del padre perché secondo loro non era stato dimostrato né che egli avesse osteggiato la gravidanza né che anche la madre della bambina avesse espresso la sicura intenzione di abortire.
La sentenza
Secondo la Cassazione invece “in tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente il feto e conseguente nascita indesiderata, il risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento della struttura sanitaria all'obbligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre ma anche al padre in funzione dei diritti e doveri, che secondo l'ordinamento si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile considerando che agli effetti negativi della condotta del medico e alla responsabilità della struttura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre che deve perciò considerarsi tra i soggetti ‘protetti’ e quindi tra coloro rispetto ai quali la prestazione medica inesatta è qualificabile come inadempimento con il correlato diritto al risarcimento dei danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli”.
La Cassazione ha ritenuto che “le articolate richieste istruttorie sono state respinte senza alcuna plausibile motivazione: l'affermazione che ‘appellante avrebbe dovuto provare non soltanto lo stravolgimento della propria vita in termini economici, ma, in presenza dei presupposti di cui alla legge 194/1978, che la moglie avrebbe optato per l'interruzione della gravidanza e , soprattutto, che quel nascituro era anche da lui non voluto‘ risultaradicalmente inidonea a soddisfare tanto il principio costituzionale sancito dall'art.111 comma 6 Cost., quanto la regola di cui all'art.132 co 2 cpc n° 4 cpc”.
Ma soprattutto, secondo i giudici, è “totalmente priva di significato rispetto al caso concreto ( in cui, nonostante l'esito sfavorevole del giudizio, è stato comunque accertato con statuizione ormai definitiva l'errore dei sanitari nella diagnosi e nell'esecuzione dell'intervento) risulta essere l'apodittica affermazione, espressamente censurata dal ricorrente, che ‘la riprova del fatto che la stessa non avesse intenzione di fare ricorso ad una interruzione volontaria di gravidanza è riscontrabile proprio nel fatto che la figlia è poi nata’: trattasi di argomentazione priva di senso logico anche rispetto alle premesse, ed in quanta tale inesistente come motivazione, con conseguente nullità della sentenza, dovendosi anche tenere canto della circostanza, emersa nel giudizio e documentata dalla stessa parte convenuta, consistente nella transazione alla quale sono pacificamente addivenute la compagnia di assicurazione della struttura e la moglie per ii medesimo fatto oggetto di separato giudizio”.
Quindi secondo la Corte di Cassazione “la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d'Appello di Torino, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la controversia attenendosi ai seguenti principi di diritto:
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ricorre ii vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza - che, in quanta tale, configura l'ipotesi di cui all'art. 360 n° 4 cpc - allorquando ii giudice di merito indichi gli elementi da cui ha tratto ii proprio convincimento senza una benché minima, approfondita loro disamina logica e giuridica, ovvero quando Ii illustri attraverso espressioni tautologiche che rendono impossibile ogni controllo sull'esattezza e sulla logicità del suo ragionamento, anche in relazione al corretto assolvimento degli oneri probatori rispetto ai quali la reiezione delle istanze istruttorie deve essere fondata su argomentazioni sintetiche ma esaustive;
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in tema di responsabilità del medico per erronea diagnosi concernente ii feto e conseguente nascita indesiderata, ii risarcimento dei danni che costituiscono conseguenza immediata e diretta dell'inadempimento della struttura sanitaria all'obbligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre, ma anche al padre, atteso ii complesso di diritti e doveri che, secondo l'ordinamento, si incentrano sulla procreazione cosciente e responsabile, considerando che, agli effetti negativi della condotta del medico ed alla responsabilità della struttura in cui egli opera, non può ritenersi estraneo il padre, ii quale deve, perciò considerarsi tra i soggetti protetti e, quindi, tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta è qualificabile come inadempimento, con ii correlate diritto al risarcimento dei conseguenti danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi ii pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli”.
La Cassazione ha quindi rinviato il tutto alla Corte di Appello decidendo che questa provvederà anche a liquidare le spese del giudizio di legittimità”.